ISSN: 2038-0925

Introduzione n. 47 – ottobre 2021

di Maya DE LEO

Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, N. 47, 3|2021
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"dominoes" by Lia Kurtin on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)

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Introduzione

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Possiamo leggere nella realizzazione di questo numero uno dei tanti segnali di un interesse crescente per gli studi LGBTQIA+, da parte di un pubblico sempre più esteso. Se l’attenzione è crescente all’interno degli studi accademici, anche all’esterno possiamo registrare come i temi connessi all’identità di genere e all’orientamento sessuale abbiano assunto nel dibattito pubblico una centralità sempre maggiore in seguito all’introduzione della legge che regolamenta le unioni civili per le coppie same-sex e alla discussione intorno all’introduzione di norme a tutela della discriminazione omo-lesbo-bi-transfobica.

Tra i segnali di interesse manifestati per il contesto italiano alcuni sono davvero incoraggianti: le ricerche e le pubblicazioni scientifiche relative a identità e sessualità queer [1] si stanno senz’altro moltiplicando [2], anche se l’istituzionalizzazione degli studi LGBTQIA+ è un processo quantomeno in fieri. D’altro lato, sono altrettanto chiari i segni che evidenziano in questa produzione di ricerche e pubblicazioni un carattere, per così dire, “imprevisto”, per utilizzare un termine che torna nella storia del femminismo e degli studi di genere: una storia non attesa dai percorsi di istruzione universitaria e dalle settorializzazioni disciplinari.

Un bilancio ambivalente, dunque, che va letto come un invito a moltiplicare gli spazi, le risorse e le occasioni per la produzione di saperi LGBTQIA+, e a diffondere il patrimonio ricchissimo e più che quarantennale delle pubblicazioni alle quali questi saperi hanno dato luogo. È impossibile infatti dare qui conto in maniera stringata ed esauriente di quanto è stato prodotto, anche limitatamente all’ambito della storiografia queer. È tuttavia opportuno sottolineare la portata euristico-ermeneutica degli studi LGBTQIA+ in storiografia, ripercorrendo alcune delle questioni centrali, sempre aperte, che questi studi hanno contribuito a sollevare [3].

La produzione storiografica LGBT+ trova le sue origini nelle rivendicazioni e nelle riflessioni dei movimenti femministi e di rivendicazione LGBT+ degli anni Settanta del Novecento, quando i primi hanno denunciato il carattere politicamente rilevante e socialmente costruito della sessualità, e i secondi hanno affermato la dignità delle esperienze delle persone non cis-eterosessuali nel presente, gettando le basi per il recupero delle tracce da esse lasciate nel passato. È in quel contesto, infatti, che si creano le condizioni politiche e culturali necessarie a individuare e riconoscere una varietà di materiale documentario – libri, lettere, immagini – e, soprattutto, a interrogare storiograficamente le fonti in esso contenute.

Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, dunque, prende l’avvio un percorso di istituzionalizzazione degli studi LGBT+ che si rivelerà tutt’altro che lineare: in Europa le università di Amsterdam e Utrecht allestiscono i primi corsi nonché il primo archivio dedicato all’omosessualità, mentre negli Stati Uniti i Gay and Lesbian Studies fanno la loro comparsa nei dipartimenti universitari [4].

In questo percorso, la storia riveste un ruolo cruciale: nelle rivendicazioni formulate dall’attivismo LGBT+, infatti, i riferimenti al passato sono centrali, e si manifestano tanto nell’impegno per la commemorazione delle vittime del nazifascismo quanto nella scelta del triangolo rosa come simbolo di orgoglio identitario, tanto nell’istituzione della giornata del 17 maggio dedicata al contrasto dell’omolesbobitransfobia, che ricorda la storia della patologizzazione delle persone LGBTQIA+, quanto nell’istituzione della giornata di novembre dedicata alla commemorazione delle vittime della transfobia e soprattutto, nel mese del Pride, che ricorda un evento storico, le proteste allo Stonewall Inn del giugno del 1969 che, segnando la popolarizzazione di nuove forme e linguaggi dell’attivismo LGBTQIA+, indicano, nell’immaginario collettivo, l’“inizio” del moderno movimento.

I percorsi e le indagini della storia LGBTQIA+ sono dunque estremamente intrecciati con quelli dell’attivismo: lo attesta la centralità della restituzione delle esperienze di soggetti queer nel passato, la pervasività del tema della persecuzione omolesbobitransfobica, della violenza della patologizzazione, ma anche l’attenzione alla ricostruzione della storia politica e comunitaria delle persone LGBTQIA+, prima e dopo Stonewall [5].

D’altra parte, l’interrogazione storica dei desideri e delle esperienze che sfuggono alle norme di genere è anche, al tempo stesso, un «tradimento comunitario» [6], ovvero un’indagine che mostra tutta la variabilità e mutabilità delle categorizzazioni di genere e sessualità nel tempo, interrogando i processi di costruzione identitaria – anche quelli costruiti attorno al genere e alla sessualità – in una prospettiva denaturalizzante. Sono, per prime, autrici come Mary McIntosh, Gayle Rubin, o ancor prima Simone De Beauvoir, a proporre, in questo senso, letture decostruttive dei ruoli di genere e sessuali [7]. Ma è senz’altro con La volontà di sapere, l’opera del 1976 di Michel Foucault, che l’indagine della sessualità – e in particolare proprio dell’omosessualità – si accompagna all’abbandono di prospettive essenzialiste: «Dopo Foucault, è diventato letteralmente impossibile – salvo anacronismo – approcciare la sessualità secondo una prospettiva naturalista e universale, intrinsecamente naïve» [8].

Il processo di denaturalizzazione delle categorizzazioni di genere e sessualità conosce poi un nuovo impulso a partire dalle riflessioni della stagione degli anni Novanta: sul versante filosofico, il 1990 è l’anno in cui Judith Butler, tematizzando in Gender Trouble [9] la sua lettura performativa del genere, offre nuovi strumenti per l’indagine – anche storiografica – delle sessualità queer. Butler, da una prospettiva filosofica, è infatti in straordinaria sintonia con le suggestioni che Joan Scott ha posto al cuore della sua sistematizzazione del concetto di genere nella cornice dell’analisi storica [10]. Il Gender as A Useful Category of Historical Analysis di Scott, come il carattere performativo del genere descritto da Butler, fa riferimento alla mutevolezza di sistemi di genere diversi, che sono percepiti come naturali e metastorici ma che in realtà all’analisi storiografica si rivelano in continua evoluzione. In particolare, è l’età contemporanea a vedere «l’affermazione dell’omosessualità» [11], ovvero è tra il XIX e il XX che secolo che viene messo a punto teoricamente, in ambito medico, il concetto di orientamento sessuale e che le sessualità non eterosessuali e le identità di genere non conformi vengono marcate come patologiche. Questo percorso si intreccia ai macro-processi socio-politici che attraversano la contemporaneità: l’affermazione dello stato-nazione, con le implicazioni biopolitiche che investono il campo della sessualità, l’affermazione del modello familiare costruito attorno alla coppia coniugale intima, l’urbanizzazione.

La prima sezione di questo numero si concentra proprio sul processo di medicalizzazione dell’omosessualità, un tema che ha assunto una centralità nella produzione storiografica sulle sessualità e identità LGBTQIA+ soprattutto a partire dall’analisi che Foucault ne ha fatto nel già citato La volontà di sapere. Nei due saggi qui pubblicati, il processo ottocentesco di istituzionalizzazione dei saperi medico-antropologici che mettono a punto le coordinate teoriche dell’“inversione sessuale” è analizzato, in linea con la lettura di Foucault, ponendo il focus sugli aspetti che concorrono alla produzione di discorsi sulla sessualità. Escherich e Campani insistono sui margini di negoziazione che l’“esplosione discorsiva” [12] sulla sessualità, e in particolare sull’omosessualità, tardo-ottocentesca ha offerto all’emancipazionismo omosessuale. Le autrici, descrivono così una ricchezza di strategie discorsive molto ampia e diversificata, che faceva uso di linguaggi e concetti del pensiero medico e criminologico con modalità e finalità molto diverse. Concentrandosi su due contesti differenti, quello tedesco e quello italiano, i due saggi mostrano le specificità nazionali ma anche la dimensione transnazionale del dibattito sull’“inversione”, che sembra delineare un campo di tensioni aperto, attraversato da una molteplicità di speaker e istanze a volte confliggenti, in un contesto in cui la sovrapposizione del “normale” e del “naturale” con la cis-eterosessualità non può ancora dirsi compiuta.

La seconda sezione, mette al centro un altro processo individuato come caratteristico delle società contemporanee, quello di community building: proprio con “l’affermazione dell’omosessualità” emerge un tessuto comunitario, a volte informale, altre politicamente organizzato, articolato attorno a comportamenti, identità e pratiche non cis-eterosessuali. Sottoculture urbane, associazionismo, network amicali configurano reti spesso sovrapposte, diversificate, che in ogni caso individuano un soggetto collettivo che elabora strategie di resistenza [13].

I due saggi di questa sezione si concentrano sull’attivismo LGBTQIA+ di due contesti lontani storicamente e geograficamente: l’Italia degli anni Settanta del Novecento e la Tunisia degli ultimi anni: il filo rosso che lega queste due analisi è dato dalla centralità del mediattivismo, ovvero la necessità di costruire reti che siano in primo luogo strumenti di comunicazione, in grado di provvedere alla circolazione di informazioni all’interno e all’esterno della comunità LGBTQIA+. È questo un aspetto cruciale nella storia LGBT+, che individua la “posta in gioco” proprio nel linguaggio e nelle sue potenzialità: non solo quella di opporsi all’invisibilizzazione e alla stigmatizzazione, ma soprattutto, quella di trovare e organizzare le risorse culturali e materiali per nominarsi e articolare l’espressione di sé. I processi di costruzione identitaria si rivelano, anche in questi saggi, collettivi, inseriti all’interno di scenari transnazionali, inscindibili dai linguaggi e dai media utilizzati.

In questo senso, l’analisi di Bulgarelli sul periodico «FUORI!» mira alla ricostruzione della “geografia dell’immaginario militante”, in cui profili identitari, elaborazioni teoriche e pratiche politiche si intrecciano, restituendo un panorama plurale e diversificato attraversato da tensioni, attriti e intersezioni che mostrano la sessualità come «fatto sociale totale» [14], centrale nella costruzione di tutto lo spazio sociale e culturale. Per quanto concerne la storia contemporanea, in particolare, gli studi di storia della sessualità hanno mostrato come l’indagine delle tensioni attorno al genere sia fondamentale nella comprensione dei grandi processi di trasformazione sociale, politica, culturale, che hanno caratterizzato le società occidentali, e offra una lente privilegiata per l’indagine delle dinamiche coloniali e postcoloniali [15]. Inoltre, il dispiegarsi di analisi e rivendicazioni LGBTQIA+ su scenari globali ha imposto una rielaborazione delle periodizzazioni, dei concetti e delle categorie di analisi dei movimenti sociali, come mostra efficacemente la ricostruzione di Touati.

La questione della nominazione, e in particolare dell’autonominazione, attraversa tutti i saggi: nella terza sezione questo aspetto è osservato dalla prospettiva dei soggetti minoritari all’interno della stessa comunità LGBTQIA+, per i quali la contesa sulle risorse discorsive è ancora più conflittuale.

Il saggio di Biagini è dedicato a un tema che attraversa tutta la storia lesbica, ovvero il rapporto con i femminismi: se il lesbismo politico ha trovato il suo spazio grazie al femminismo e, allo stesso tempo, nonostante il femminismo [16]. Nel contesto italiano, è il “femminismo della differenza”, in particolare, a porsi al centro di questa complessa dinamica. L’esperienza del femminismo, infatti, fornisce una cornice teorica e spazi di militanza in cui articolare la soggettività lesbica, ma, d’altro canto, gli strumenti analitici e le rivendicazioni politiche che offre si rivelano costruiti attorno a una soggettività eterosessuale: indagare le voci critiche che in questo senso investono il “femminismo della differenza” si rivela di estremo interesse non solo per la storia lesbica ma per tutta la storia del femminismo.

Infine, nel saggio di Niri è possibile osservare l’emersione progressiva di una comunità BDSM all’interno di quella LGBTQIA+: anche qui, il caso italiano si rivela particolarmente interessante per indagare le tensioni attorno alle pratiche sessuali e in particolare alle letture politiche – confliggenti – che ne vengono date, e al modo in cui esse si intrecciano ai processi di community – o meglio communities – building.

Osserviamo come in tutti i saggi il focus delle analisi sia, in ultima analisi, concentrato sulla presa di parola, collettiva ancorché molteplice, e come l’enfasi sia posta sulle possibilità di articolazione di riflessioni e rivendicazioni anziché sulle implicazioni normative del discorso dominante. Si tratta di uno sguardo “dall’interno” della comunità, non solo e non tanto perché “empatico”, quanto piuttosto perché orientato a restituire agency ai soggetti LGBTQIA+, restituendo le molteplici direzioni divergenti indicate da diverse sottoculture, gruppi, identità e disidentità. Tale ricchezza si riscontra anche nella varietà degli approcci dei saggi qui proposti, nell’eterogeneità delle scelte linguistiche adottate, nella diversità di fonti e metodi: si delinea quindi un campo di studi aperto, che non si limita a descrivere esperienze e soggettività eccentriche rispetto alle norme di genere, ma mostra anche quanto negli scarti da queste ultime sia possibile leggere dei contesti culturali, delle tensioni che li innervano, dei mutamenti che attraversano nella loro interezza le realtà delle quali queste esperienze e queste soggettività sono parte.

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NOTE


[1] Utilizzo qui il termine queer come termine ombrello per indicare le soggettività che scartano dalle norme di genere e sessualità.

[2] Segnalo qui sui movimenti: BIAGINI Elena, L’emersione imprevista. Il movimento delle lesbiche in Italia negli anni ’70 e ’80, Pisa, ETS, 2018; PREARO, Massimo, La fabbrica dell’orgoglio. Una genealogia dei movimenti LGBT, Pisa, ETS, 2015. Sull’Italia liberale: BENADUSI, Lorenzo, GUAZZO, Paola e al., Homosexuality in Italian Literature, Society, and Culture, 1789-1919, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2017; ROSS, Charlotte, Eccentricity and Sameness: Discourses on Lesbianism and Desire Between Women in Italy, 1860s-1930s, Oxford, Peter Lang, 2015; BECCALOSSI, Chiara, Female Sexual Inversion. Same-Sex Desires in Italian and British Sexology, c. 1870-1920, London, Palgrave Macmillan, 2012. Sul fascismo: CHAMPAGNE, John, Queer Ventennio: Italian Fascism, Homoerotic Art, and the Nonmodern in the Modern, Oxford, Peter Lang, 2019; ROMANO, Gabriella Romano, The Case of ‘G’;. The Pathologisation of Homosexuality in Fascist Italy, London, Palgrave Macmillan, 2019 (trad. it.: Il caso di G. La patologizzazione dell’omosessualità nell’Italia fascista, Pisa, ETS, 2019). Infine segnalo GIORI, Mauro, Homosexuality and Italian Cinema: From the Fall of Fascism to the Years of Lead, London, Palgrave Macmillan, 2018 (trad. it. Omosessualità e cinema italiano, Torino, UTET, 2019).

[3] Limitandomi alla bibliografia in italiano, per una esauriente ricostruzione delle sollecitazioni prodotte da questi studi e per una contestualizzazione della loro genesi, rimando a: GARBAGNOLI, Sara, Denaturalizzare il normale. L’interrogazione paradossale degli studi di genere e sessualità, in «Genesis. Rivista della Società italiana delle storiche», XI, 1-2/2021, pp. 193-229; ID., Classi, classificazioni, identità. Gli studi gay e lesbici come fabbriche di interrogazioni storiche, in «Rivista di Storia dell’800 e del ‘900», 4/2012, pp. 714-721. Segnalo inoltre: BINI, Elisabetta, «Gli spazi del margine. Storia della sessualità e studi LGBTIQ in una prospettiva interdisciplinare», in La camera blu. Rivista di studi di genere, IX, 2013, URL: [consultato il 23 ottobre 2021]. Su storia e soggettività trans* si veda FIORILLI, Olivia, «Note per una storia trans-», in Contemporanea, 2/2019, pp. 305-316.

[4] L’università di Amsterdam comincia infatti in quegli anni una raccolta di materiale che poi assume la sua forma più compiuta nel 1999 con l’International Homo/Lesbian Information center and Archive (IHLIA). Jonathan Ned Katz, uno storico americano che sarà attivo a Yale, Princeton e Harvard, pubblica Gay American History: Lesbians and Gay Men in the U.S.A. (1976) e, pochi anni dopo, nel 1981, la storica americana Lillian Faderman, docente presso diverse università della California, tra cui la UCLA, pubblica Surpassing the Love of Men: Romantic Friendship and Love Between Women from the Renaissance to the Present, una raccolta di materiali sull’amore tra donne che spazia su cinquecento anni di storia.

[5] Segnalo alcune ricostruzioni d’insieme relative a diversi contesti: BEACHY, Robert, Gay Berlin. Birthplace of a Modern Identity, New York, Alfred A. Knopf, 2014 (trad. it. Gay Berlin. L’invenzione tedesca dell’omosessualità, Milano, Bompiani, 2014); TAMAGNE, Florence, Histoire de l’homosexualité en Europe: Berlin, Londres, Paris, 1919-1939, Paris, Seuil, 2000; BRONSKI, Michael, A Queer History of the United States, Boston, Beacon, 2011.

[6] Cfr. GARBAGNOLI, Sara, Classi, classificazioni, identità, cit.

[7] Ibidem.

[8] PREARO, Massimo, «Le radici rimosse della queer theory. Una genealogia da ricostruire», in Genesis, XI, 1-2/2012, pp. 95-114, p. 98.

[9] BUTLER, Judith, Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, New York, Routledge, 1990 (trad. it., Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Roma-Bari, Laterza, 2013)

[10] SCOTT, Joan, «Gender: A Useful Category of Historical Analysis», in American Historical Review, 5/1986, pp. 1053-1075 (trad. it. In; ID., Genere, Politica, Storia, Roma, Viella, 2013, pp. 31-63).

[11] Cfr. STEINBERG, Sylvie (a cura di), Une histoire des sexualités, Paris, PUF, 2018.

[12] FOUCAULT, Michel, La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 38.

[13] Segnalo qui sul contesto statunitense: CHAUNCEY, George, Gay New York: Gender, Urban Culture, and the Making of the Gay Male World, 1890-1940, New York, Basic Books, 1994; D’EMILIO, John, Sexual Politics, Sexual Communities: The Making of a Homosexual Identity in the US, 1940-1970, Chicago, University of Chicago Press, 1998; ARMSTRONG, Elizabeth, Forging Gay Identities. Organizing Sexuality in San Francisco, 1950-1994, Chicago, University of Chicago Press, 2002; MEEKER, Martin, Contacts desired. Gay and Lesbian Communications and Community, 1940s-1970s, Chicago-London, The University Chicago Press, 2006; LAPOVSKY KENNEDY, Elizabeth, DAVIS, Madeline, Boots of Leather, Slippers of Gold, The History of a Lesbian Community, New York, Routledge, 2014. Sul contesto inglese: COOK, Matt, Queer Domesticities: Homosexuality and Home Life in Twentieth-Century London, Palgrave Macmillan, New York, 2014; HOULBROOK, Matt, Queer London: Perils and Pleasures in the Sexual Metropolis, 1918-1957, Chicago, University of Chicago Press, 2006. Per il contesto francese: PREARO, Massimo, Le Moment politique de l’homosexualité: mouvements, identités et communautés en France, Lyon, Presses universitaires de Lyon, 2014.

[14] STEINBERG, Sylvie (a cura di), Une histoire des sexualités, cit., p. 11.

[15] Cfr. GEVISSER, Mark, The Pink Line: The World’s Pink Frontiers, New York, Farrar Straus and Giroux, 2020 (trad. it.: La linea rosa, Milano, Rizzoli, 2021).

[16] Su questo mi permetto di rimandare a DE LEO, Maya, Queer. Storia culturale della comunità LGBT+, Torino, Einaudi, 2021.

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Per citare questo articolo


DE LEO, Maya, «Introduzione», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, N. 47, 3|2021

URL: <http://www.studistorici.com/2021/10/29/deleo_numero_47>

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