ISSN: 2038-0925

Editoriale

a cura di Diacronie

Diacronie. Studi di Storia Contemporanea : il dossier [on-line], N.1, 19/10/2009

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IL MOSAICO DEI CONFINI. LE FRONTIERE DELLA CONTEMPORANEITÀ

Die Mauer. I significati del muro

Nel 1989 cadeva il muro di Berlino e il confine fisico, politico e ideologico che esso rappresentava. In occasione del ventesimo anniversario, Studi di Storia Contemporanea propone un dossier tematico dedicato alla riflessione sui complessi processi di costruzione e decostruzione di confini vecchi e nuovi da un punto di vista culturale, umano e geopolitico. Confini che saranno trattati, in un’ottica interdisciplinare, non solo come elementi territoriali in mutazione, ma anche come costruzioni storiche, vettori di identità e simboli.

Vent’anni fa cadeva il muro di Berlino, materializzazione di un confine che era al contempo fisico e ideologico, un confine che avvicinandosi all’«idea di una linea di separazione assoluta»1 divideva una città e contemporaneamente buona parte del mondo. Un confine geografico, politico ma – anche e soprattutto – mentale: alla caratteristica dell’invalicabilità, evidente necessità per la sopravvivenza del sistema socialista, si è progressivamente sostituita quella della permeabilità, attraverso le “falle” limitanee ungheresi e jugoslave.

Proprio gli sconfinamenti – il più famoso, quello di Conrad Schumann, ritratto in una foto-simbolo della guerra fredda – hanno determinato la volontà di costruire un muro2 che potesse eliminare una delle caratteristiche del confine: la permeabilità.

Occorre però ricordare che tra dissoluzione e nascita di vecchi e nuovi confini esiste una certa discordanza: l’ancora recente caduta del Berlino ci permette solo in parte di cogliere l’assetto del mondo che va definendosi.

Multiformi sono state le ripercussioni prodotte dalla sua caduta: i due blocchi contrapposti hanno cessato di esistere e si sta generando un nuovo ordine mondiale. Abbattuti i confini ideologici, sono rimasti – solo apparentemente “risorti” – quelli nazionali e intrastatali. La spinta all’abbattimento della cortina di ferro e alla riunificazione ha prodotto, al contempo, effetti apparentemente opposti; la cruenta dissoluzione della Jugoslavia, così come il “divorzio di velluto”3 della Cecoslovacchia – per citare due esempi differenti per modalità – hanno dimostrato l’esistenza di una tendenza alla divisione altrettanto marcata, sviluppatasi nel periodo immediatamente successivo alla caduta del muro.

Questa risurrezione del principio di autodeterminazione è figlia della sindrome da perdita dell’identità. L’Europa si è rapidamente avviata sulla strada dell’unificazione monetaria ed economica, favorendo la nascita di nuovi confini macroregionali che oggi dividono l’area dei paesi appartenenti all’Unione Europea da quelli che non vi appartengono; non ha tuttavia risolto il problema della condivisione dei principi alla base dell’unità politica europea. In tal senso il “ritorno all’Europa”4 dei paesi est europei – e il conseguente riassetto geopolitica, conseguenza dell’allargamento – hanno già duramente provato le capacità del sistema politico europeo.

L’UE che stenta a definire la propria identità ha pertanto tracciato le linee di esclusione dalle proprie sovranità territoriali: i tentativi di arrestare il flusso di immigrazione non regolare hanno causato, dal 1994, secondo le stime dell’ONU, 14.679 morti: quasi venticinque volte in più dei morti “sul muro” a partire dal 13 agosto 19615.

Per un muro caduto, molti ne rimangono in piedi, in Europa6 come nel resto del mondo7, ma – a dimostrazione del carattere tutt’altro che residuale della fortificazione come linea di separazione, persino nel XXI secolo – assistiamo alla costruzione di nuove barriere. Il caso della frontiera fra Stati Uniti e Messico è forse il più noto, ma non mancano esempi in ogni parte del mondo: la frontiera fra Arabia Saudita e Yemen8, o la barriera di separazione fra lo Stato d’Israele e l’arcipelago dei territori palestinesi9.

Confine sub specie aeternitatis? La geografia e le istituzioni.

Deus quer, o homem sonha, a obra nasce
Deus quis que a Terra fosse toda uma
Que o mar unisse, já não separasse10

Fernando Pessoa, O Infante

Una definizione univoca di confine non esiste e non può esistere. Essa varia a seconda delle epoche, del contesto geopolitico e del punto di vista che assumiamo. Così come il confine nel mondo romano rappresentava il limen ed il limes al contempo11 – la struttura militare che difende un dominio ma anche la permeabilità di questa soglia – i moderni confini rimandano ad una pluralità di significati. Per confine, nella sua accezione più comune, si intende una linea, una traccia, fisica o virtuale che delimita un territorio, una città o, nella maggioranza dei casi, uno stato. Il confine, in un certo senso, delimita uno spazio chiuso, ben definito. Permette di stabilire chi sta dentro e chi sta fuori, chi è da una parte e chi dall’altra. Il confine è un elemento fisico. È una linea divisoria; è un solco nel terreno. È l’inglese border o boundary, che assume quel significato di “fronte”, di “barriera”, legata ai concetti di opposizione e di discontinuità.

Qualsiasi sia la forma sotto cui si manifesta, il confine rimane comunque un segno antropico. A volte si presenta con i connotati dell’ostacolo naturale: ogni confine fisico, tuttavia, può essere superato e divenire trait d’union fra due mondi, se una volontà politica sostiene il desiderio di scambio e di incontro. La storia giapponese del XIX secolo, con le fasi di sakoku (“chiusura del paese”) e di kaikoku (“apertura del paese”)12, strettamente legate alla chiusura/apertura dei porti al mondo non nipponico, ci mostra come il mare possa divenire barriera o via d’acqua per effetto delle decisioni politiche. Il caso spagnolo – il mar Mediterraneo che separa e unisce Europa e Africa – che ci presenta Matteo Tomasoni nel suo articolo, La «Frontera Sur». Il confine dimenticato è in tal senso esemplare.

Il confine, d’altronde, è spesso tracciato dalle capitali, come ci racconta Deborah Paci in I confini di Urania. La geografia come limes perdurante?, che sfruttano più o meno sapientemente le linee offerte dalla geografia: è il caso di Corsica e Sicilia divenute “periferie storico-identitarie”13. Quando il confine è amministrativo, frutto dunque di una scelta politica, possiamo assistere a fenomeni di “colonialismo interno”14.

Le istituzioni continuano a disegnare confini interni, ma appaiono contemplare tempi per l’azione diplomatica e legislativa che risultano inadeguati ai cambiamenti innescati dalla fine dell’impermeabilità dei confini internazionali. La frontiera è «una costruzione storica evolutiva»15, che nel nuovo contesto post Ottantanove, almeno in Europa, si è aperta ed è divenuta maggiormente permeabile. Le frontiere politiche hanno visto emergere al loro fianco le nuove forme frontaliere, quelle reticolari e gestionali16.

Alessandro Petralia (L’antimafia oltre i confini: sviluppi, prospettive, aspetti metodologici) ci mostra come le organizzazioni criminali risultino incredibilmente rapide nell’adeguarsi alla contrazione dei tempi e degli spazi prodotta dalla globalizzazione, mentre gli Stati, riuniti negli organismi sopranazionali (ONU e UE), abbiano in effetti avviato sul tema della lotta alla criminalità organizzata un processo di cooperazione internazionale, che sovente è notevolmente rallentato dalla necessità di amalgamare culture giuridiche assai diverse tra loro in tale sforzo di produzione di una giurisprudenza comune.

Il confine non fisico

[…] inde ab irato Romulo, cum verbis quoque increpitans adiecisset, “Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea,”; interfectum17.

Tito Livio, Ab Urbe condita, I 2, 7a

Ma il confine è anche altro. È anche frontier18, “frangia pioniera”, “zona di confine”, e si riveste di una dimensione culturale e sociale. Una linearità, dunque, ma anche una zonalità, un’interfaccia che, ci ricorda Jacques Ancel19, non si fissa solo sugli elementi topografici, ma si riproduce anche su quello che vive al suo interno. Il confine, quindi, non si limita a configurarsi come elemento geopolitico che incide sull’organizzazione dello spazio, ma racchiude anche una dimensione simbolica. La famosa affermazione di Georg Simmel relativa alla frontiera, per cui «non è un fatto spaziale con delle conseguenze sociologiche, ma un fatto sociologico che prende una forma spaziale»20, ne fa anche un elemento mentale, interiore. Linee di divisione si creano e si tramandano originando e rigenerando profili identitari, politici, ideologici. Questo avviene attraverso le memorie, le tradizioni culturali e linguistiche, le culture politiche e le caratteristiche di genere. Affrontare il tema dei confini significa dunque “interrogarsi sulle forme di inclusione/esclusione, apertura/chiusura, identità/diversità, incontri/scontri, comunicazioni/silenzi, presenza assenza, sulle esperienze ‘di frontiera’, sulle anime culturali ‘miste’ o ‘contaminate'”21.

Il confine diviene il primo strumento per la determinazione dell’«altro da sé» perdendo la sua funzione fisica in favore della capacità di determinare un contenuto e, conseguentemente, ciò che è escluso, il non-contenuto.

I confini non fisici si stabiliscono a partire dal senso di appartenenza ad una comunità: sembrano fornire la base per creare i presupposti della «società chiusa» di cui parla Karl Popper22: pur mantenendo un grado di permeabilità maggiore rispetto al confine strictu sensu, i confini mentali presentano, generalmente, la capacità di sopravvivere alla dissoluzione delle cortine “fisiche”.

I fenomeni di Ostalgie23 – vagliando nello specifico il caso del crollo del muro – rappresentano l’incapacità di liberarsi del cordone ombelicale dello status quo ante. La ridefinizione di sé e dei propri spazi è un’operazione che produce senso di spaesamento: accade quindi con maggior frequenza che le dinamiche di costruzione dell’identità si originino a partire dagli «altri», ovvero da ciò che si sa – o si crede di sapere – di non essere.

È proprio nel discorso, ovvero nella costruzione della realtà nella sua forma più immediata , come ci illustra Alessandro Cattunar nel suo Memorie di confine e identità plurime. Il confine italo-jugoslavo nei racconti di vita dei testimoni: 1943-47, che nascono le definizioni e le demarcazioni: lo straniero, il diverso, ciò che appartiene ad un mondo incognito ed inquietante.

Ed è nella determinazione – sempre surrettizia e frutto di una volontà politica – dell’esistenza di mondi differenti che si generano confini fra classi e fra sessi, fra cittadini e non-cittadini, fra membri della comunità ed esclusi: fra i due lati del confine. L’invenzione di spazi separati per la donna e per l’uomo, come ci spiega Alice de Rensis con il suo I confini dell’harem di Fatema Mernissi, a volte rispecchia una norma comportamentale, finalizzata al mantenimento di rapporti di potere socialmente stabiliti e alla continua affermazione di una forma di discriminazione.

Dove ci conduce il crollo? Transizioni, muro e muri nel XXI secolo

Kebabträume in der Mauerstadt
Türk-Kultur hinter Stacheldraht
Neu-Izmir ist in der DDR
Atatürk der neue Herr.
Milliyet für die Sowjetunion
In jeder Imbissstube ein Spion.
Im ZK Agent aus Türkei
Deutschland, Deutschland, Alles ist vorbei
Wir sind die Türken von Morgen…24

D.A.F., Kebab-Träume

I confini, si costruiscono e si abbattono continuamente, in un processo dinamico e variegato che per essere studiato e compreso, in almeno alcune delle sue sfaccettature, ha bisogno di un approccio multidisciplinare e interdisciplinare. Capire quale processi si determinino a seguito del crollo dei muri, dell’abbattimento dei confini e quali spinte ne abbiano determinato la caduta è l’ambizione di chi si misura – in prospettiva storica – con queste tematiche.

Il processo di transizione che accompagna la caduta dei muri, fisici o metaforici, comporta il problema dell’integrazione in un mondo nuovo e del passaggio da un sistema all’altro. In questa prospettiva vanno inquadrati i saggi di Jacopo Bassi – Il lungo ’89 albanese – sull’Albania e sull’uscita dallo stato di isolamento comunista e quello di Fausto Pietrancosta – Caduta dei confini politici, destrutturazione dei confini partitici – sulla situazione politica italiana.

L’importanza della progettazione di una transizione e della gradualità della rimozione dei confini emergono fortemente nel contesto balcanico post ’89. È proprio in questa fase di de-costruzione dei confini – come evidenzia Marco Abram con il suo saggio L’UJDI. Un’esperienza alternativa nell”89 jugoslavo – che si possono individuare esperienze volte allo smantellamento dell’apparato militaresco ed escludente del confine e non alla semplice costruzione di nuove barriere. Il caso albanese, preso in esame da Jacopo Bassi, rivela le mancanze della classe dirigente, che, seppur conscia dell’imminenza del crollo del sistema, fu incapace di elaborare un’entità statuale alternativa a quella comunista.

Anche chi è nella parte di mondo che “conquista” – e non in quella conquistata – deve e ha dovuto mettere nuovamente in discussione la propria identità: ce lo mostra bene l’attenta analisi di Fausto Pietrancosta del mutamento del quadro politico italiano nei primi anni Novanta.

L’Europa, patria degli Stati-nazione, sembrava dover essere la prima a vedere l’eclissi di quello che è il suo feticcio per eccellenza, il confine: il 1989, in tutto questo, doveva rappresentare l’ideale climax del processo di smantellamento delle frontiere. Così non è stato, e gli anni Novanta hanno visto la recrudescenza dei nazionalismi25. Ma il revival del nazionalismo etnico26 è l’ultimo rigurgito del passato o il segno della ineludibilità delle linee di divisione?

Proprio sui mutamenti di significato nel corso dei secoli e sul futuro della nozione di confine si interroga Giampaolo Amodei con il suo La liminarità nell’era del fluido. Confini, frontiere e identità.

Per comprendere veramente cosa sia questo complesso mosaico che chiamiamo confine dobbiamo quindi guardare all’insieme delle tessere che lo compongono e non al singolo elemento.

È quello che cercheremo di fare con la raccolta di saggi contenuta nel dossier qui proposto: la redazione di “Studi di storia contemporanea” lo presenta con l’intento di avviare una riflessione sul concetto di genesi e abbattimento del confine, inteso anche in senso lato. L’intento è quello di avviare una riflessione pluridisciplinare sui processi di costruzione e de-costruzione dei confini e delle frontiere, delle linee di divisione e delle aree di scambio, delle zone di scontro e di confronto tra popoli, lingue, culture, ideologie, classi sociali e sessi.

I differenti contributi nascono principalmente da una prospettiva storica, ma si basano su approcci metodologici, tagli di ricerca e fonti estremamente varie, all’insegna della multidisciplinarietà e nell’intento di fornire al lettore spunti di riflessione sul passato e sul presente.

Per citare questo articolo:

Studi di Storia Contemporanea, «Il mosaico dei confini. Le frontiere della modernità : Editoriale», Dossier: Il mosaico dei confini. Le frontiere della modernità, [on line], 1, (1/2009), URL: <http://www.studistorici.com/2009/10/10/editoriale1_2009/>.

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Questo articolo è pubblicato a cura di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea is licensed under a Creative Commons Attribuzione 2.5 Italia License.
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[1] LÉVI, Jacques, s.v. «Frontière», in LÉVY, Jacques, LUSSAULT, Michel (dir.), Dictionnaire de la géographie et de l’espace des sociétés, Paris, Belin, 2003.

[2] Il muro, la cui edificazione iniziò il 13 agosto del 1961 doveva inizialmente impedire il passaggio dei cittadini tedeschi orientali nel settore occidentale di Berlino per lavorare; la perdita di manodopera, di cui la RDT necessitava fortemente, preoccupava i vertici della SED quanto la propaganda anticomunista a cui erano sottoposti i lavoratori che si recavano a Berlino Ovest. COLLOTTI, Enzo, Storia delle due Germanie. 1945-1968, Torino, Einaudi, 1971, pp. 1081-1088.

[3] HILDE, Paal Sigurd, «Slovak Nationalism and the Break-Up of Czechoslovakia», Europe-Asia Studies, 51, (4/1999), pp. 647-665.

[4] HENDERSON, Karen, Back to Europe: Central and Eastern Europe, London, UCL, 1999.

[5] 687 persone persero la vita complessivamente, dalla data di edificazione del muro, nel tentativo di fuggire all’Ovest. HILDEBRANDT, Alexandra, Die Mauer. Zahlen. Daten, Berlin, Verlag Haus am Checkpoint Charlie, 2005, p. 75.

[6] La peacelines o peace walls in Irlanda del Nord, edificati a Londonderry e Belfast testimoniano ancora la divisione fra la popolazione di fede protestante e quella cattolica. DOHERTY, Paul, POOLE, Michael A., «Ethnic Residential Segregation in Belfast, Northern Ireland, 1971-1991», The Geographical Review, 87, (4/1997), pp. 520-536.

[7] È il caso dei muri edificati dal governo marocchino dal 1981 per “proteggersi” dagli attacchi del fronte POLISARIO; oggi il fronte dei muri (in effetti si tratta di una complessa serie di fortificazioni e zone minate, sparse in tutto il territorio del Sahara occidentale) taglia il territorio rivendicato dal POLISARIO in lungo e in largo. SHELLEY, Toby, Endgame in the Western Sahara. What future for Africa’s last colony?, London, Zed Books, 2004, pp. 187-207.

[8] Il confine fra Arabia Saudita e Yemen, appare forse più di ogni altro vallo contemporaneo, un muro economico; lo Stato saudita prosegue nella sua opera di costruzione di un muro “difensivo” in chiave antiterroristica, con l’obbiettivo di tenere di fatto a freno l’immigrazione proveniente dallo Yemen. MAHDI, Kamil A., WÃœRTH Anna, LACKNER Hellen, Yemen. Into the twenthy-first century: continuity and change, Reading, Ithaca Press, 2007, pp. 53-78.

[9] BOUSAC, Julien, «L’arcipelago della Palestina orientale», in L’Atlante di Le Monde Diplomatique-il Manifesto, Roma, il Manifesto, 2009, p. 129.

[10] Dio vuole, l’uomo sogna, l’opera nasce / Dio ha voluto che la terra fosse una / che il mare unisse, mai separasse.

[11] FORNI, Giovanni, «’Limes’: nozioni e nomenclature», in SORDI, Marta (a cura di), Il confine nel mondo classico, Milano, Vita e pensiero, 1987, pp. 272-294.

[12] KAZUI, Tashiro, DOWNING VIDEEN, Susan, «Foreign Relations during the Edo Period: Sakoku Reexamined», Journal of Japanese Studies 8, (2/1982), pp. 283-306; JOOS, Joel, «Maruyama on Kaikoku: Ruptures in a Frame of Vertical Development», in EDSTRÖM, Bert (a cura di), Turning Points in Japanese History, Richmond, Japan Library, 2002, pp. 102-119.

[13] ROKKAN, Stein, Stato, nazione e democrazia in Europa, Bologna, Il Mulino, 2002.

[14] GRAMSCI, Antonio, Quaderni del carcere, quaderno 1, § 149, Torino, Einaudi, 2001.

[15] ARBARET-SCHULT, Christiane, [et al.], «La frontière, un objet spatial en mutation», EspacesTemps, [on line], 29.10.2004, URL:<http://www.espacestemps.net/document842.html>, (10.09.2009).

[16] Ibidem.

[17] […] quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». TITO LIVIO, Ab urbe condita, I 2, 7a, [trad. it. di G. Reverdito], Milano, Garzanti, 2005.

[18] Si veda l’ormai noto TURNER, Frederick Jackson, The Frontier in American History, New York, Holt, 1921.

[19] ANCEL, Jacques, Géographie des frontières, Paris, Gallimard, 1939.

[20] SIMMELL, Georg, Soziologie: Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, Leipzig: Duncker & Humblot, 1908.

[21] CHEMELLO, Adriana, MUSETTI, Gabriella, Sconfinamenti. Confini, passaggi, soglie nella scrittura delle donne, Trieste, Il ramo d’oro, 2008.

[22] POPPER, Karl, La società aperta e i suoi nemici. Hegel e Marx falsi profeti, Roma, A. Armando, 1977.

[23] BANCHELLI, Eva, Taste the East. Linguaggi e forme dell’Ostalgie, Bergamo, Bergamo University Press, 2006.

[24] Sogni di kebab nella città del muro / la cultura turca dietro al filo spinato / una nuova Smirne è sorta nella DDR / Atatürk il nuovo signore. / Milliyet al posto dell’Unione Sovietica / in ogni tavola calda una spia. / Nel Comitato Centrale agenti dalla Turchia / Germania, Germania tutto è finito / Noi siamo i Turchi di domani…

[25] BRUBAKER, Rogers, I Nazionalismi nell’Europa contemporanea, Roma, Editori Riuniti, 1998, pp. 6-9.

[26] SMITH, Anthony D., Il revival etnico, Bologna, Il Mulino, 1984, cap. III.

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