Parole in storia: TAGLIATORE DI TESTE
di Jacopo Bassi
La locuzione “tagliatore di teste” ha per lungo tempo condiviso il significato con “cacciatore di teste”: solo di recente – allontanandosi dall’accezione e dal campo semantico originario – si è raggiunta una distinzione chiara fra le due espressioni. La pratica di tagliare le teste con finalità rituali – stando almeno alle definizioni proposte dai dizionari – sembra appartenere ad un immaginario lontano nello spazio e nel tempo. Il nuovo De Mauro alla voce “cacciatore di teste” chiarisce come, con questa espressione, ci si addentri nel campo dell’etnologia. Si parla infatti di: «chi appartiene a popolazioni dell’America meridionale, dell’Africa e dell’Indocina che hanno la consuetudine di tagliare ed esporre le teste dei nemici a scopo rituale o intimidatorio» [1]. Secondo lo Zingarelli, invece i “cacciatori di teste sarebbero”: «popoli primitivi, spec. antropofagi, che, per motivi magici o rituali, conservano e mummificano le teste dei nemici vinti» [2].
Ciò che balza immediatamente all’occhio è la connotazione geografica del termine, che indica un contesto di riferimento lontano dal mondo “civilizzato” occidentale. Tuttavia la decollazione post mortem non è un rituale sociale associabile alle tribù delle popolazioni indigene asiatiche, africane o sudamericane. È attestata da più di 100.000 anni: la testa è al centro di un cannibalismo rituale e alimentare.
In epoche arcaiche le decapitazioni erano riservate nella maggior parte dei casi ai nemici, ma il confine tra la caccia alle teste e gli olocausti umani per placare un dio terribile resta sottile […]. I grandi sacrifici umani sono sovente accompagnati da cannibalismo: si consuma il cervello delle vittime per assimilarne la potenza. Tale pratica, definita esocannibalismo, è considerata probabile tra gli australopitechi preumani ed è, generalmente ammessa tra gli arcantropiani (sinantropi di Chou Kou Tien), e soprattutto fra i preneanderthaliani (uomo di Tautavel e i neandertaliani. […] Attraverso tali pratiche barbare è l’interiorità umana a mettersi in atto; un’interiorità che intreccia paura dell’altro e aldilà con il desiderio d’identificazione, di potere e di durata sul e con il simile [3].
Il rituale della caccia alle teste è però attestato anche in Europa in epoca storica: si pensi ai Galli cacciatori di teste della tribù dei Salluvi [4], ma come a questa tradizione non fossero estranei neppure i Romani [5].
La storia europea è costellata da un uso rituale dei crani o delle teste, trasformati in coppe dai Longobardi [6] o issati sulle picche a simboleggiare la tangibilità, la mortalità dei nemici, come nei numerosi casi verificatisi durante la Rivoluzione francese [7].
Con il passare del tempo, l’idea di decollazione (così europea da essere uno dei simboli della rivoluzione per eccellenza, quella francese), grazie anche l’abolizione della pena di morte nei paesi dell’Europa occidentale, divenne sinonimo di orrore e disumanità e fu allontanata – almeno in termini di immaginario – dal mondo europeo, relegata a latitudini considerate ancora bisognose di civilizzazione [8].
Le popolazioni dei tagliatori di teste vennero quindi identificate con l’America Latina, l’Africa, l’Asia e relegate a queste realtà geografiche. Ma proprio l’originaria funzione della decollazione e della conservazione della testa venne meno a seguito dell’entrata in contatto con l’uomo bianco. Alcuni occidentali, collezionisti di souvenirs esotici, svilupparono infatti un gusto del tutto particolare per i macabri feticci realizzati dai guerrieri di queste tribù: desiderosi di impossessarsene iniziarono a richiederli alle comunità indigene. Se per i cacciatori di teste la decollazione del nemico catturato aveva una funzione rituale e apotropaica, per gli Europei si trattava di un’insolita testimonianza del proprio viaggio. Si creò così un mercato per le tsantsas degli shuar [9], per le toi moko dei maori neozelandesi [10]: i guerrieri nemici – e le loro teste nello specifico – divennero merci a cui era possibile attribuire un valore di mercato. La figura del tagliatore di teste, tuttavia, riecheggia anche nel XX secolo europeo. E anche in questo caso la ritualità lascia il passo alla quantificazione economica del valore della testa. In Grecia – nel quadro delle operazioni di guerriglia svoltesi durante la Guerra civile (1946-1949) – i cacciatori di partigiani comunisti divennero cacciatori di teste: i combattenti dell’ELAS eliminati venivano pagati un tot “a testa” [11]. Del resto la vicenda ricalca quanto avvenne nell’Italia meridionale nel periodo postunitario, quando venivano poste taglie sulla testa dei briganti, o nel Sertão brasiliano con i cangaçeiros nella prima metà del XX secolo (in questo caso la cabeça più nota è forse quella del bandito Lampião): anche in questi casi era la consegna della testa a comprovare l’avvenuta eliminazione del nemico. Inoltre il capo del brigante veniva esposto, nell’intento di mettere in guardia chiunque dall’intraprendere la strada dell’opposizione all’ordine costituito.
La figura del tagliatore di teste è tristemente riecheggiata negli ultimi anni, sia per quanto riguarda i combattenti del sedicente Stato islamico [12], sia per la sua utilizzazione – in chiave eminentemente simbolica – da parte di gruppi politici xenofobi ungheresi [13]: in entrambi i casi l’intento era quello di instillare nel “nemico” un sentimento di terrore e repulsione. Ma esiste un altro campo in cui la locuzione ha trovato spazio. Si tratta del mondo del lavoro. E qui il termine, che nel contesto bellico trova una sostanziale corrispondenza fra “cacciatore di teste” e “tagliatore di teste”, ha assunto sfumature differenti, adeguate a descrivere due funzioni distinte. Il “tagliatore di teste” è colui che viene incaricato di operare una serie di licenziamenti all’interno dell’azienda; sempre più spesso questo compito viene affidato a società esterne, in modo da non minare i rapporti interni al microcosmo aziendale. Il “cacciatore di teste”, al contrario, è un professionista – interno o esterno all’azienda – a cui viene affidato il compito di scouting, ossia di ricerca e reclutamento di quelle figure professionali di cui l’azienda ritiene di avere necessità . [14].
In entrambi i casi la metafora fa riferimento ad un contesto violento: la realtà del mondo degli affari è dipinta alla stregua di un mondo selvaggio, in cui prevalgono le logiche della brutalità e della ferocia, spesso evocato come un ambiente ostile (“una giungla”). Una rappresentazione fortemente critica di questo aspetto di ferocia è offerta dal film di Costa-Gavras, Le couperet [15], tradotto in italiano – liberamente, ma efficacemente – come Il cacciatore di teste. Il protagonista, licenziato dalla sua azienda da un tagliatore di teste, si ritrova a postulare un incarico simile alla mansione che ricopriva in precedenza; non viene però preso in considerazione dalle aziende a cui si rivolge. Decide così di escogitare uno stratagemma per venire a conoscenza dei suoi potenziali concorrenti per la posizione che vorrebbe ricoprire: in questo modo finisce per svolgere il compito del cacciatore di teste. Il sottile confine fra metafora e realtà si rompe nella misura in cui il protagonista della pellicola da cacciatore di teste in senso figurato, si trasforma in un cacciatore di teste vero e proprio eliminando fisicamente i suoi potenziali rivali per occupare quel posto.
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NOTE
[1] «Cacciatore di teste», in I dizionari di Internazionale: Il nuovo De Mauro URL: < http://dizionario.internazionale.it/parola/cacciatore-di-teste > [consultato il 1 ottobre 2016]. ↑
[2] Sub vocem, «cacciatore di teste», in ZINGARELLI, Nicola, Lo Zingarelli 2015, Zanichelli, Bologna, 2014, p 331. ↑
[3] KRISTEVA, Julia, La testa senza il corpo, Roma, Donzelli, 2009, p. 18. ↑
[4] Ibidem, p. 31. ↑
[5] VOISIN, Jean-Louis, «Les Romains, chasseurs de têtes», in Publications de l’École française de Rome, 79, 1/1984, pp. 241-293. ↑
[6] Si veda il famoso episodio della coppa fatta con il cranio di re Cunimondo narrato da Paolo Diacono nella Historia Langobardorum, II, 28. ↑
[7] Fu il caso – nel 1789 – e del marchese Bernard-René Jordan de Launay, governatore della Bastiglia, o della Principessa di Lamballe – nel 1792 – le cui testa vennero issate su una picca e portate in processione durante i tumulti rivoluzionari. ↑
[8] Il campionario dell’incontro dell’uomo bianco con orde di cacciatori di teste è vasto; per quel che riguarda il caso italiano si può fare riferimento alla colonizzazione del Corno d’Africa e all’incontro con le tribù “selvagge” locali. URL: < https://www.youtube.com/watch?v=MzTQfLscUGA > [consultato il 21 agosto 2016]. ↑
[9] Le tsantsas venivano scambiate dagli Europei con armi (coltelli). La richiesta creò un intenso commerciò che finì per alterare le normali logiche di “caccia”: le tsantsas non venivano più realizzate solo a partire dai crani di guerrieri maschi catturati durante battute realizzate ad hoc, ma anche con teste di donne e bambini. Sul procedimento per realizzare le tsantsas si veda: URL: < http://www.nationalgeographic.it/dal-giornale/2012/01/16/news/piccola_testa_grande_lavoro-780384/ > [consultato il 15 agosto 2016]. ↑
[10] Il naturalista Joseph Banks fu il primo ad impossessarsi di una toi moko, una testa conservata realizzata dai maori neozelandesi. La prima metà del XIX secolo fu contrassegnata da una richiesta crescente di toi moko da parte degli esploratori britannici; ad attrarre gli Occidentali erano in particolar modo i tatuaggi e le scarificazioni degli indigeni. LARSON, Frances, Teste mozze. Storie di decapitazioni, reliquie, trofei, souvenir e crani illustri, Novara, UTET, 2016, passim. ↑
[11] Sui crimini di guerra durante la Guerra civile greca: WOODHOUSE, Christopher M., The struggle for Greece, 1941-1949, New York, Beekman-Esanu, 1979; GEROLYMATOS, André, Red Acropolis-Black terror. The Greek Civil War and the Origins of Soviet-American Rivalry, 1943-1949, New York, Basic Books, 2004. ↑
[12] Il riferimento è a figure come quelle di Jihadi John, divenute famose come boia degli Occidentali. SAWER, Patrick, «Who is Jihadi John, and how did Mohammed Emwazi become the symbol of Isil?», in The Telegraph, 16 novembre 2015, URL: < http://www.telegraph.co.uk/news/2016/03/16/who-is-jihadi-john-and-how-did-mohammed-emwazi-become-the-symbol/ > [consultato il 1 ottobre 2016]. ↑
[13] Qui si fa accenno alla comparsa di barbabietole lavorate in modo da assumere le fattezze di teste umane – ed impiegate a mo’ di spaventapasseri – lungo il confine ungherese. Un monito per i migranti in fuga intenzionati ad attraversare il confine magiaro. THAROOR, Ishaan, «Hungarians are making these creepy scarecrows to stop migrants», in The Washington Post, 15 agosto 2016, URL: < https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2016/08/15/hungarians-are-making-these-creepy-scarecrows-to-stop-migrants/ > [consultato il 18 agosto 2016]. ↑
[14] «Headhunter», in Investopedia, URL: < http://www.investopedia.com/terms/h/headhunter.asp > [consultato il 19 agosto 2016]. ↑
[15] COSTA-GAVRAS, Konstantinos, Le couperet, K.G. Productions – StudioCanal – France 2 Cinéma – Les Films du Fleuve – Radio Télévision Belge Francophone (RTBF) – SCOPE Invest – Wanda Visión S.A. – Canal+ – Eurimages – Wallimage – Scope Pictures, Belgio-Francia-Spagna, 2005, 117’. ↑
Bibliografia essenziale
- CAMPANILE, Enrico, Aspetti del sacro nella vita dell’uomo e della società celtica, in BOYER, Régis (a cura di), L’uomo indoeuropeo e il sacro, Milano, Jaca Book, 1991, pp. 149-177, pp. 167-168.
- KRISTEVA, Julia, La testa senza il corpo, Roma, Donzelli, 2009.
- LARSON, Frances, Teste mozze. Storie di decapitazioni, reliquie, trofei, souvenir e crani illustri, Novara, UTET, 2016.
- VOISIN, Jean-Louis, «Les Romains, chasseurs de têtes», in Publications de l’École française de Rome, 79, 1/1984, pp. 241-293.
Video
L’album Head Hunters (1973) di Herbie Hancock.Considerato uno dei più importanti nel campo del jazz-funk, il lavoro si contraddistingue per il recupero di sonorità africane abbinate all’uso dei sintetizzatori, in un connubio che mirava a dare vita a uno stile urbano e selvaggio al contempo. Per la realizzazione di questo album, Hancock mise assieme una nuova band (chiamata proprio Headhunters); in copertina campeggia la rielaborazione artistica (opera dell’artista Victor Moscoso) di una maschera baoulé, una popolazione ivoriana famosa per la realizzazione di questo tipo di manufatti. |
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Le couperet (2005) di Costa-Gavras.Il trailer del film. |
Galleria di immagini
Credits
- Immagine 1: by Luis García via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
- Immagine 2: by Michel wal via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
- Immagine 3: by Leonidas Papazoglou via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
- Immagine 4: by André Koehne (in CASTRO, José, Memórias da Bahia, vol. 4, Ciclo do Cangaço, Salvador de Bahia, Empresa Baiana de Jornalismo, 2002) via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
- Immagine 5: in DEROO, Eric, CHAMPEAUX, Antoine, La force noire: gloire et infortunes d’une legende coloniale, Paris, Tallandier, 2006.
- Immagine 6: in DEROO, Eric, CHAMPEAUX, Antoine, La force noire: gloire et infortunes d’une legende coloniale, Paris, Tallandier, 2006.
- Immagine 7: in McDOUGALL, William, The pagan tribes of Borneo: a description of their physical, moral and intellectual condition, with some discussion of their ethnic relations, Haddon, Alfred Cort, 1912, p. 54; via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
- Immagine 8: by Theo’s Little Bot via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
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[…] “cacciatore di testa” in ambito aziendale deriva direttamente dall’antropologia culturale: i veri cacciatori di teste erano e sono, in società arcaiche, guerrieri particolarmente esperti o abili che conservavano la […]