ISSN: 2038-0925

Parole in storia: APARTHEID

di Claudio Sessa

Parole in Storia - Apartheid

Il termine apartheid è un neologismo che apparve, secondo alcune ricostruzioni [1], per la prima volta alla fine degli anni Venti del Novecento. In lingua afrikaans significa “separazione”. La parola deriva probabilmente dal termine inglese apartness e prima ancora dalla locuzione francese à part che, unita al suffisso olandese heid, indicante lo stato, la condizione, forma il termine apartheid. Fu usato per la prima volta nel parlamento sudafricano, il 25 gennaio 1944, da Daniel François Malan, futuro primo ministro del Sudafrica, che dichiarava di voler «garantire la sicurezza della razza bianca e della civiltà cristiana mediante una corretta osservanza dei principi dell’apartheid e della tutela» [2]. Principi approfonditi negli anni tra il 1945 ed il 1948, periodo in cui i nazionalisti guidati dal già citato Malan conquistarono il potere e modificarono gli assetti socio-economici della società sudafricana modellandola secondo i principi della dottrina dell’apartheid.

Le origini ideologiche e materiali dell’apartheid vanno ricercate nella storia del Sudafrica e nel suo complesso sviluppo sociale ed economico. Una nazione multicentrica, in cui le colonizzazioni susseguitesi nel corso dei secoli, hanno modellato e modificato a fondo le strutture portanti della società. Un Paese in cui la coesistenza di diverse popolazioni e soprattutto di differenti sistemi societari ha impedito l’affermazione di una realtà politica e sociale pienamente integrata. Nel corso dei secoli le differenze di sistema hanno assunto valori sempre più differenzianti, polarizzando ed estremizzando contrasti politici ed economici, dando luogo a vere e proprie guerre combattute nel nome della libertà e dell’indipendenza. Contrasti trasformati in scontri “etnici” e “razziali”, in cui il piano economico segnava il passo a quello ideologico ed esistenziale. Intere popolazioni venivano “segregate” o “separate”, con lo scopo ultimo di creare le condizioni per lo sviluppo e la formazione di società libere di esprimere i propri caratteri e vivere secondo le proprie regole.

L’affermazione della dottrina dell’apartheid deve essere considerata come un processo socio-culturale a cui hanno partecipato attivamente tutti i soggetti conosciuti di questa storia: dalle popolazioni locali, ai coloured (traducibile con meticci), ai colonizzatori boeri (poi chiamati afrikaner) ed inglesi, agli immigrati di qualsiasi provenienza, tra cui ricordiamo gli asiatici, indiani in maggioranza, ed agli ebrei [3]. Un vero e proprio processo, quindi, e non un provvedimento estemporaneo di una fazione politica.

È da queste premesse che bisogna partire per comprendere la complessità del fenomeno dell’apartheid, tentando soprattutto di de-costruire la versione oggi maggiormente circolante.

Nell’immaginario comune, infatti, questa nozione di separazione assume solamente una connotazione razzista, mentre se ne ignorano le radici e le origini e si ricordano soltanto i provvedimenti legislativi più importanti e in particolare i seguenti:

  • Prohibition of Mixed Marriages Act (1949)
  • Immorality Amendment Act (1950)
  • Population Registration Act (1950)
  • Groups Areas Act (1950)
  • The Natives Urban Areas Act (1952)
  • The Native Labor Act (1953)
  • Abolition of Passes and Co-Ordination of Documents Act (1952)
  • Reservation of Separate Amenities Act (1953)
  • Motor Carrier Transportation Amendment Act (1955)

Vengono dimenticate però le origini storiche del concetto di segregazione alla base dell’apartheid. Sampie Terreblanche individuava tre cesure storiche importanti per la formazione dell’idea di separazione:

The first occurred from 1840 onwards, when evangelical humanitarianism was replaces by Benthamite liberal utilitarianism and notions of racial superiority. The second occurred during the last quarter of the 19th century, when the upsurge of British imperialism was legitimized by the racial ideologies of Social Darwinism and white superiority. The third […] shift involved the rise of an aggressive and religiously oriented Afrikaner Christian Nationalism from the 1930s onwards, and the hardening of racist ideology during the NP’s implementation of apartheid after 1948 [4].

Il concetto di apartheid, infatti, in base alla prospettiva da cui lo si analizza, muta di significato e di intenti. Dal punto di vista di chi lo subisce, ossia dal punto di vista dei neri, è vissuto come una violenza, ma dal punto di vista dei bianchi, degli afrikaner in particolare, da arma offensiva, come viene comunemente percepita, si trasforma in difensiva, una sorta di sovrastruttura socio-economica atta alla protezione dei bianchi da quella che era vissuta come l’imminente integrazione con la maggioranza nera. Da qui nasce l’esigenza di approfondire alcuni aspetti alla base dell’apartheid, poco conosciuti dal grande pubblico, che potrebbero restituire un quadro più completo del fenomeno storico in questione.

Ad esempio, soffermandosi sulla compagine bianca di discendenza boera, non vengono prese mai in considerazione le basi culturali ed ideologiche che spinsero quest’ultima ad appoggiare il disegno politico segregazionista proposto dal governo Malan. Viene ignorata, inoltre, la storia stessa del popolo boero che forgiò una cultura di frontiera costruita su basi politico-religiose tipiche di un popolo-Chiesa, in cui il sentirsi popolo eletto accentuava la sensazione di accerchiamento e, di conseguenza, la necessità di auto-protezione. Ciò ha avuto come conseguenza principale la formazione di una comunità autoreferenziale e chiusa in sé stessa, alla continua ricerca di un’autonomia esistenziale che portò i boeri all’isolamento. Questa impostazione ideologica viene espressa con chiarezza nell’articolo 11 dello statuto del Partito nazionale sudafricano, secondo cui l’apartheid

si propone il mantenimento e la protezione della popolazione di origine europea del nostro paese in quanto pura razza bianca, il mantenimento dei gruppi razziali indigeni in quanto entità nazionali separate […]. Noi dobbiamo o adottare la politica dell’eguaglianza, il che equivale alla lunga al suicidio nazionale della razza bianca o impegnarci nell’apartheid, grazie al quale il carattere e l’avvenire di ciascuna razza sono protetti e salvaguardati […] senza che gli uni possano considerare come una minaccia l’esistenza e lo sviluppo degli altri [5].

Apartheid, quindi, assumeva il significato di separazione, di divisione razziale della società, necessaria alla protezione e all’auto-conservazione del corpo sociale. Con l’introduzione di tale dottrina, gli afrikaner hanno tentato di costruire una sorta di Lebensraum, uno spazio vitale entro cui poter esercitare la propria esistenza, senza dover entrare in relazione con gli altri popoli. Un’ideologia o un modus vivendi che trova radicamento in una impostazione dottrinaria di stampo religioso, mutuata in particolare modo dalle Chiese riformate olandesi, in cui ciascuna razza era considerata una creazione di Dio, che doveva evolversi in modo autonomo e secondo la propria natura. Una commistione di fede messianica e di sindrome da “popolo eletto” che rappresenta uno degli aspetti più interessanti della storia dello sviluppo dell’apartheid in quanto, oltre ad elementi prettamente economici, troviamo elementi ideologico-religiosi che spostano il focus analitico su di un piano culturale, sociologico e psicologico.

Per comprendere la reale portata dell’apartheid è dunque necessario soffermarsi sul processo di fondazione del concetto socio-culturale che ne è alla base, l’Afrikanerdom: questa ideologia formatasi nel corso dei secoli conobbe una definitiva elaborazione solamente negli anni Venti e Trenta del XXI secolo, con la rinascita prepotente del nazionalismo “boero” o “afrikaner”. Secondo l’Afrikanerdom, il nemico era incarnato dall’imperialismo britannico e dalle prepotenti rivendicazioni sociali e politiche dei neri. Il movimento era guidato da aspettative utopistico-messianiche di un ritorno ai fasti e all’indipendenza del passato: «la storia degli Afrikaner rivela un intervento divino risoluto e preciso, e ciò induce a pensare che l’Afrikanerdom non sia una creazione umana bensì divina. È per diritto divino che noi siamo Afrikaner» [6].

Afrikanerdom rappresentava quindi un concetto astratto, una fede civile, che permetteva al Partito nazionale di rafforzare il suo potere ed instaurare il regime di apartheid. Malan sintetizza così questa ideologia:

Our history is the greatest masterpiece of the centuries. We hold this nationhood as our due for it was given us by the Architect of the universe. [His] aim was the formation of a new nation among the nations of the world… The last hundred years have witnessed a miracle behind which must lie a divine plan. Indeed, the history of the Afrikaner reveals a will and a determination which makes one feel that Afrikanerdom is not the work of men but the creation of God [7].

È su questa idea di predestinazione che si fonda, in parte, la politica di apartheid che consisteva in una separazione di carattere politico e sociale in cui la nazione bianca, afrikaner, poteva conservare la propria purezza e ricoprire il ruolo di arbitro o tutore dello sviluppo delle altre popolazioni. Una sorta di ideologia evoluzionista in cui l’apice della civiltà, per indicazione divina, era rappresentato dalla comunità di discendenza boera, impegnata in una sorta di missione civilizzatrice.

Una missione terminata ufficialmente nel 1994, ma che ancora oggi fa sentire la sua eredità continuando ad influenzare lo sviluppo socio-economico del Sudafrica e, secondo alcuni analisti, anche di altri Stati. Eredità strutturale e materiale o eredità culturale? Ciò che sicuramente è interessante ed evidente è l’eredità concettuale e linguistica. Soprattutto nel contesto contemporaneo, tra crisi umanitarie e guerre economiche, il termine apartheid è tornato ad essere utilizzato e rappresenta una sorta di contenitore onnicomprensivo che definisce tutti quegli atteggiamenti o inclinazioni definibili razzisti e discriminatori, ricalcando quella che era la percezione e l’idea comune, descritta in precedenza, che si aveva dell’apartheid sudafricana. Basti pensare all’utilizzo della parola apartheid da parte dei giornali e degli analisti per descrivere due differenti situazioni politiche e sociali come la cosiddetta “emergenza migranti” [8] in Italia (è eufemistico definirla tale in quanto è da un trentennio che l’Italia convive con tale fenomeno) e il conflitto israelo-palestinese [9], ponendo sullo stesso piano semantico e concettuale, eventi e situazioni differente, in una sorta di unicum discriminatorio fuorviante ed acritico. Per queste ragioni bisogna stare attenti alle derive e soprattutto alle forzature linguistiche ed ideologiche, evitando di utilizzare termini in modo inappropriato e cominciando a riflettere sui lasciti della storia traendone, non insegnamenti, ma strumenti con cui interpretare e (ri)strutturare, con cognizione di causa, il presente e soprattutto il futuro.

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NOTE


[1] LUGAN, Bernard, Storia del Sudafrica, Milano, Garzanti, 1989, p. 217. 

[2] Ibidem, p. 218. 

[3] Sul tema immigrazione ed identità nazionale cfr. PEBERDY, Sally, Selecting Immigrant- National Identity and South Africa’s Immigration Policies 1910-2008, Johannesburg, Wits University Press, 2009. 

[4] TERREBLANCHE, Sampie, A History of Inequality in South Africa 1652-2002, Pietermaritzburg, University of Natal Press, 2002, p. 297. 

[5] LUGAN, Bernard, op. cit., p. 219. 

[6] CORNEVIN, Marianne, L’Apartheid. Violenza e falsificazione storica, Milano, Marzorati, 1983, p. 48. 

[7] DUNBAR, T. Moodie, The rise of Afrikanerdom: Power, Apartheid, and the Afrikaner civil religion, Berkeley, University of California Press, 1975, p. 1. 

[8] SASSO, Michele, «L’Italia? Per gli immigrati è da apartheid», in L’Espresso, 29 maggio 2014, URL: < http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/05/07/news/apartheid-italia-un-giorno-di-ordinaria-discriminazione-per-i-cittadini-di-serie-b-1.164367 > [consultato il 24 luglio 2018]; PROSPERO, Michele, «Immigrazione, un apartheid silenzioso avvelena la convivenza civile», in Left, 23 luglio 2017, URL: < https://left.it/2017/07/23/immigrazione-un-apartheid-silenzioso-avvelena-la-convivenza-civile/ > [consultato il 24 luglio 2018]. 

[9] «In Israele c’è l’apartheid?», in Il Post, 9 aprile 2017, URL: < https://www.ilpost.it/2017/04/09/apartheid-israele/”> [consultato il 24 luglio 2018]; «Siria: La nuova legge israeliana va oltre l’apartheid sudafricano», in L’AntiDiplomatico, URL: < “https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-siria_la_nuova_legge_israeliana_va_oltre_l’apartheid_sudafricano/82_24805/ > [consultato il 24 luglio 2018].

Bibliografia essenziale

Bibliografia essenziale

  • BLOOMBERG, Charles, Christian-nationalism and the rise of the afrikaner broederbond in South Africa, 1918-1948, Indianapolis, Indiana University press, 1989.
  • CORNEVIN, Marianne, L’Apartheid. Violenza e falsificazione storica, Milano, Marzorati, 1983.
  • DUBOW, Saul, Racial segregation and the origins of apartheid in South Africa: 1919-36, London, MacMillan, 1989.
  • DUNBAR, T. Moodie, The rise of Afrikanerdom: Power, Apartheid, and the Afrikaner civil religion, Berkeley, University of California Press, 1975.
  • FURLONG, Patrick J., Between Crown and Swastika: The Impact of the Radical Right On the Afrikaner Nationalist Movement in the Fascist Era, Middleton (CT), Wesleyan University Press, 1991.
  • JAFFE, Hosea, Storia del Sudafrica, Milano, Jaca Book, 1980.
  • LAKE, Marilyn, Drawing the Global Colour Line, Cambridge, Cambridge University Press, 2008.
  • LUGAN, Bernard, Storia del Sudafrica, Milano, Garzanti, 1989.
  • PEBERDY, Sally, Selecting Immigrant- National Identity and South Africa’s Immigration Policies 1910-2008, Johannesburg, Wits University Press, 2009.
  • TERREBLANCHE, Sampie, A History of Inequality in South Africa 1652-2002, Pietermaritzburg, University of Natal Press, 2002.
  • ZAMPONI, Mario, Breve storia del Sudafrica: dalla segregazione alla democrazia, Roma, Carocci, 2009.

Video

Video

APARTHEID: 46 YEARS IN 90 SECONDS

BBC News.

Interviste ai leaders neri ed afrikaner sul razzismo: 1957

The Best Film Archives.

The Death Of Apartheid – The Whites Last Stand

Un documentario sul tentativo dell’AWB di Eugene Terreblanche di fermare le elezioni del 1994, che portato al potere in Sud Africa l’ANC.

Galleria di immagini

Galleria di immagini

Una spiaggia vicino a Città del Capo (1982)" by United Nations photo on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).

1. Una spiaggia vicino a Città del Capo (1982).

John Maynard Keynes" by UN Photo/Kay Muldoon (CC BY-NC-ND 2.0).

2. Un’area residenziale per soli bianchi a Città del Capo (1970).

Una spiaggia riservata ai soli bianchi a Stranofontein nei dintorni di Città del Capo (1985)" by UN Photo/A Tannenbaum on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)

3. Una spiaggia riservata ai soli bianchi a Stranofontein nei dintorni di Città del Capo (1985).

Apartheid Simulacra by Raymond June on Flickr (CC BY-ND 2.0)

4. L’entrata dell’Apartheid Museum a Johannesburg.

Cartello che riserva l'uso ai soli bianchi" by David Johnson on Flickr (CC BY-SA 2.0)

5. Un cartello – ora conservato nel Museo dell’apartheid – che riserva l’uso degli spazi di un locale e dei servizi relativi ai soli bianchi.

Credits

  • Immagine 1: Apartheid: the Tyranny of Racism Made Law by United Nations photo on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).
  • Immagine 2: Apartheid in the Republic of South Africa  by UN Photo/Kay Muldoon on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).
  • Immagine 3: Apartheid – A Crime Against Humanity by UN Photo/A Tannenbaum on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).
  • Immagine 4: Apartheid Simulacra by Raymond June on Flickr (CC BY-ND 2.0).
  • Immagine 5: p1000548.jpg by David Johnson on Flickr (CC BY-SA 2.0).

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