Devenir historien-ne: post #18
Prosegue la partnership avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione storica di Émilien Ruiz, Assistant Professor in Digital History presso il Dipartimento di Storia di Sciences Po a Parigi. Questo mese proponiamo la traduzione del post «Comment (et pourquoi) écrire un projet de recherche ?».
La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.
.
di Émilien Ruiz
Scrivere un progetto di ricerca è un esercizio che dovrete affrontare ancora prima di iniziare il vostro percorso di laurea magistrale e che, se continuerete per questa strada, porterete avanti anche per molto tempo dopo.
Tesi di laurea, tesi di dottorato, progetto di ricerca per l’ottenimento di una borsa di studio, di un premio o di un altro tipo di finanziamento: i casi e le modalità possono essere tante. La sua forma dipenderà dalla natura della ricerca, dal formato imposto (numero di pagine, di battute, ecc.) e, come per qualsiasi scritto (universitario o no), della tipologia di lettore a cui farà riferimento.
Questo post vorrebbe dare qualche consiglio relativo al contenuto di un progetto di ricerca, ma anche riuscire a convincere dell’importanza che svolgere questo tipo di esercizio ricopre oltre alla mera costituzione del vostro portfolio.
Una tappa fondamentale per impostare al meglio il proprio argomento di ricerca
Cominciamo dal perché.
Scrivere un progetto di ricerca non è un semplice esercizio di stile o espositivo che poi verrà dimenticato non appena si comincerà a lavorare veramente, ma costituisce una componente essenziale del processo di costruzione dell’oggetto di ricerca.
Inoltre, rispetto ad altre attenzioni obbligatorie che bisogna avere, questo esercizio può rivelarsi molto utile per imporre a sé stessi di riflettere bene sulla propria ricerca. Riscrivere il progetto a varie riprese, a seconda dell’avanzamento della ricerca, permette di arricchirlo, precisarlo e spesso anche riorientarlo rispetto all’approccio iniziale. Si tratta di dotarsi degli strumenti per «sapere dove si è» reinquadrando gli approfondimenti in corso – letture, spoglio delle fonti, ecc.- all’interno del progetto complessivo.
Nell’ambito di un seminario di metodologia, l’esercizio principale che gli studenti degli ultimi quattro anni del corso hanno dovuto affrontare consisteva nella redazione di una presentazione del loro oggetto di studi argomentata in cinque pagine1. Benché in linea con le richieste da assolvere per le candidature ai dottorati, l’obiettivo dell’esercizio non si risolveva nel preparare gli studenti del primo anno di magistrale ad essere pronti per scadenze di quel tipo: il testo, magari ripreso due o tre volte a intervalli di qualche settimana, voleva essere un aiuto nella definizione del loro argomento di ricerca e un modo per fare regolarmente il punto sul loro approccio metodologico.
Qualche elemento imprescindibile
Veniamo adesso al come.
Se è vero che non esiste un’unica modalità ed un unico modello, è altrettanto vero che un certo numero di elementi fondamentali, pur esistendo delle eccezioni, devono generalmente figurare all’interno di qualsiasi progetto di ricerca. La collocazione che ciascuno di loro avrà nel testo finale dipenderà da due fattori principali: le consegne che dovrete rispettare (tanto in termini di forma che di contenuto) e la fase in cui sarete al momento della scrittura del progetto.
• Formulazione dell’oggetto della ricerca
Sembrerebbe andare da sé, ma invece è una dimenticanza molto frequente: indicare l’argomento scelto nel titolo del testo è indispensabile ma insufficiente. Inserire una frase che definisca l’oggetto nel corpo del testo è fondamentale, ma bisognerebbe, se possibile, evitare di cominciare direttamente con «La ricerca che vorrei condurre riguarda [titolo provvisorio]».
L’ideale sarebbe inserire questa frase in maniera più «fluida» dopo aver approcciato la materia nel modo più efficace: una citazione, un commento sulla storiografia o, eventualmente, un aggancio con l’attualità. In ogni caso, ciò che bisogna evitare è la sensazione di artificialità, sarebbe auspicabile che proprio il discorso in sé conducesse il ricercatore ad enunciare il proprio oggetto in maniera naturale.
• Definizione e spiegazione dei termini utilizzati
Non si tratta per forza (anzi, all’inizio direi che non si tratta di certo) di una definizione definitiva – specialmente perché è possibile che una parte della ricerca abbia proprio come obiettivo cercare di definire un fenomeno. La finalità di queste definizioni provvisorie è duplice:
– mostrare che i termini utilizzati non sono scelti a caso e che, almeno in parte, chi scrive sa di cosa parla;
– provare ad avviare una riflessione sull’oggetto stesso della ricerca: definire i termini implica cominciare a riflettere sul loro significato sia per i contemporanei che per noi stessi.
Non esiste una definizione unica: vorrete scegliere una definizione di uso comune e probabilmente anacronistica? Una sociologica? Giuridica? Economica? Una definizione che corrisponde a quella dei contemporanei ma non alla «nostra»? Che sia chiaro, a seconda della fase in cui siete, potete anche scegliere di non scegliere. La cosa più importante è conoscere le possibilità che vi si prospettano, esporle e saper spiegare la vostra scelta.
• Indicazione e spiegazione dei limiti cronologici
Così come i termini che utilizzerete per parlare del vostro argomento, anche i riferimenti cronologici all’interno di cui lo inserirete non sono per forza scontati – e se lo sono per voi, probabilmente non sarà così per i vostri lettori. Anche qui, le scelte e le spiegazioni possono essere provvisorie: molto spesso succede che la suddivisione cronologica divenga chiara solo con l’avanzare della ricerca.
Che abbiate già una suddivisione precisa in testa o che il periodo che vi interessa sia solamente una vaga idea (quali giorni, mesi, anni, decenni o secoli poco importa), bisogna indicarli e spiegare perché, nella fase in cui siete, sia stata proprio questa scelta a sembrarvi la più appropriata.
Spiegare i propri limiti cronologici vuol dire, prima di tutto, motivare perché vi è sembrato più opportuno studiare un preciso fenomeno in quel dato periodo invece che in un altro, ma significa anche tenere conto delle condizioni in cui la ricerca viene portata avanti. Teoricamente per terminare una laurea magistrale servono due anni: è importante che la scelta dell’oggetto di studio e, di conseguenza, del periodo considerato tenga conto del tempo a disposizione.
• Definizione e spiegazione dei riferimenti geografici
Nella stessa ottica, è necessario esporre e spiegare anche quale sia lo spazio geografico all’interno di cui volete collocare il vostro oggetto di studio.
Si tratta, innanzitutto, di inquadrare bene la vostra analisi – lavorerete su un continente, un paese, una regione, una città, ecc.? Fin dalla fase di progettazione della ricerca vale la pena di prendere in considerazione la possibilità di aggiungere, se necessario, una cartina geografica in appendice. Nel caso di una tesi universitaria, proporre una mappa che indichi almeno i toponimi citati è indispensabile. Certamente ci sono tantissime ricerche in cui l’aggiunta di una carta è superflua, ma è importante avere l’accortezza di domandarsi se la vostra ricada in questo caso o se invece un riferimento grafico potrebbe fornire delle precisazioni utili ai lettori.
Infine, bisogna riflettere sulla questione del livello di analisi: volete collocare il vostro studio su scala locale, nazionale, transnazionale? Volete fare un confronto tra diversi territori (città, paesi, ecc.)? É necessario esplicitare e motivare le vostre scelte, ma anche in questo caso possono essere provvisorie: potreste dire di voler intraprendere uno studio comparativo e rinunciarvi una volta constatato che una scelta del genere è impraticabile o supporrebbe un investimento di tempo ed energie che non vi sarebbe possibile assicurare nell’ambito di un corso di laurea o di un dottorato.
Essenziale è mostrare che, ad ogni fase della vostra ricerca, il punto di vista che adottate è il più in linea con il vostro obiettivo. Non si tratta di proporlo come l’unico o il migliore, ma sapere delineare cosa, nel vostro caso, lo renda il più interessante.
• Definizione e spiegazione dell’approccio considerato
É possibile che un’idea di quale approccio si vuole adottare ci sia fin dagli albori della propria ricerca: storia culturale, politica, economica, sociale, intellettuale? Approccio nazionale, transnazionale, globale? Storia comparata, incrociata, connessa? Se fin dall’inizio l’orientamento è verso un approccio particolare, rispetto al vostro metodo di lavoro e alle fonti che verranno utilizzate ci saranno sicuramente delle conseguenze. Tutto considerato, quindi, è necessario che in questo caso la scelta venga esplicitata il prima possibile.
Secondo l’esperienza dell’autore non ha senso scegliere l’approccio prima del tema di ricerca perché è l’oggetto di studio a dover guidare il metodo.
Questo vuol dire che, quali che siano le vostre preferenze a priori, le fonti, i metodi e i ragionamenti dovranno essere scelti e adottati a seconda di quali siano i più indicati per una miglior comprensione del vostro argomento di ricerca. Certamente anche qui dovranno essere tenute in considerazione le condizioni materiali della ricerca e il tempo a disposizione… lanciarsi in un’analisi quantitativa di un corpus di migliaia di documenti testuali che bisognerà conoscere e codificare senza alcuna assicurazione di poter raggiungere dei risultati utili sicuramente non è una scelta logica durante il primo anno di magistrale.
• Posizione rispetto alla storiografia dell’argomento
Conoscere la storiografia dell’argomento di studio fa parte integrante del lavoro da ricercatore/ricercatrice. Non è una tappa preliminare, ma una procedura che dovrà essere seguita per tutto il tempo della ricerca. È quindi anch’essa una parte che, a seconda del momento in cui scrivete o riscrivete il progetto, può essere suscettibile di modifiche.
In ogni caso, fin dall’inizio sarà importante avere almeno un’idea di cosa esista già sul tema che volete affrontare, in modo da poter riflettere su quali potrebbero essere le nuove conoscenze che potreste apportare. Una tesi di laurea deve essere frutto di una ricerca inedita: questo non vuol dire che niente possa essere stato scritto a proposito di un certo argomento, ma suppone che voi forniate un nuovo punto di vista o spunto di riflessione (che sia tramite l’approccio, gli obiettivi, le fonti utilizzate o altro).
• Presentazione delle fonti e del modo di utilizzarle
Si noti che è indispensabile precisare fin dal progetto di ricerca quali siano le basi su cui pensate di intraprendere la vostra ricerca.
Non si tratta di essere esaustivi e definitivi, ma di mostrare di avere almeno una vaga idea del tipo di documentazione che pensate di sfruttare.
A seconda della fase di avanzamento della ricerca, questo punto può limitarsi ad essere una prima indicazione delle fonti potenziali o fornire una presentazione sintetica o dettagliata di ciascun tipo di fonte utilizzata, dalla sua natura ai modi in cui può essere sfruttata, passando per il suo sito di conservazione e le modalità di consultazione.
Qualche elemento imprescindibile
Torniamo l’ultima volta al perché.
Come è già stato spiegato questo esercizio costituisce una tappa fondamentale del processo di costruzione dell’oggetto di ricerca stesso. Continuare a farlo regolarmente durante il vostro percorso di studi sarà importante.
Dando da svolgere agli studenti del seminario di metodologia della ricerca storica un esercizio di questo tipo, l’autore ha individuato almeno quattro motivi di interesse. Rielaborare un testo a più riprese costituisce:
– un incentivo a riflettere continuamente sull’oggetto della ricerca, facilitando l’elaborazione di una vera problematica;
– un allenamento alla scrittura: tanto per quanto riguarda la forma (note a piè di pagina, ecc.) che per il contenuto (definizione precisa dell’approccio, motivazione degli argomenti, ecc.);
– un’occasione di produrre un testo che possa servire da base di discussione con un relatore o una relatrice, ma anche tra studenti o in caso di presentazioni del vostro lavoro in pubblico;
– un’elaborazione progressiva dell’introduzione della tesi: l’ultima versione del testo prodotto potrà servire come modello per l’introduzione finale.
Considerando tutto questo, anche se non vi è esplicitamente richiesto in un corso universitario, se praticaste questo esercizio a più riprese man mano che la vostra ricerca avanza, magari facendovi rileggere prima da qualche collega, poi dalla vostra relatrice o dal vostro relatore, seguireste un buon consiglio. Sarebbe anche l’occasione per incentivarvi a formare un piccolo gruppo di scrittura che, quando poi dovrete redigere la tesi, potrebbe dimostrarsi molto utile.
Nello stesso tempo, inoltre, avrete un punto di partenza pronto «sotto mano» nel caso in cui doveste trovarvi a dover produrre un progetto di ricerca (per una borsa di studio, una richiesta di dottorato, ecc.).
Infine, è una buona misura di sicurezza: non è impossibile che una volta lanciati nello spoglio delle fonti vi lasciate prendere dall’«amore per l’archivio». Questo potrebbe condurvi al gusto per l’annotazione esaustiva della quasi totalità delle fonti a vostra disposizione per poi, forse, scoprire (dolorosamente) che la metà dei vostri appunti sono in realtà inutili.
Riprendere il progetto di ricerca per fare regolarmente il punto sul suo avanzamento permette di non perdere di vista il fatto che l’analisi delle fonti non è un obiettivo di per sé, ma solo l’inizio del cammino da percorrere per scrivere una tesi.
- Il docente nel seminario metodologico citato, anche autore del post, aveva scelto il formato “presentazione argomentata in 5 pagine” perché corrispondente a quello richiesto dall’Ecole des hautes études en sciences sociales (EHESS) per la domanda di dottorato.
.
.