Focus: L’autonomismo fiumano
Diacronie > La trama e l’ordito: l’impresa fiumana > Riccardo Zanella > Focus: L’autonomismo fiumano
Posta al limitare fra Istria e Dalmazia, nel tempo Fiume ha goduto di forme particolari e intermittenti d’autonomia. Soggetta in modo discontinuo alla Repubblica di Venezia, a metà Quattrocento essa passò sotto il dominio asburgico, in realtà esercitato attraverso l’intermediazione dell’Ungheria, che nel Settecento, conclusa la sua secolare spinta verso il mare, instaurò un rapporto politico con Fiume destinato a durare fino alla fine della prima guerra mondiale. Nel 1530 la città ottenne dall’imperatore Ferdinando d’Asburgo, il primo esponente della casata a cingere la corona d’Ungheria, degli statuti che ne assicurarono l’autonomia. Il suo carattere italiano fu garantito dall’uso della lingua e dalle relazioni intrattenute in età moderna con gli Stati della costa dirimpetto, il regno di Napoli e lo Stato Pontificio.
L’autonomia cittadina si basava precisamente sul concetto dell’equilibrio fra posizione geografica croata e identità culturale italiana. Gli inurbati dalla campagna retrostante subivano un processo di spontanea assimilazione, secondo modalità che si replicavano altrove lungo la fascia litoranea dell’Adriatico orientale. Dopo la dichiarazione del porto franco da parte di Carlo VI nel 1719, Maria Teresa sancì nel 1776 l’incorporazione dell’abitato nella Croazia, sollevando il malcontento della rappresentanza municipale. L’imperatrice sciolse il problema emanando un diploma che stabiliva per Fiume la condizione di corpo separato, cioè annesso direttamente al regno ungherese. La Croazia occupò la città dal 1848 al 1870, estromettendo le autorità magiare e iniziando un duro contenzioso coi fiumani, che reclamarono il ripristino dello status quo ante.
A partire dalla riorganizzazione dell’impero nel 1867, che segnò il passaggio dall’Austria all’Austria-Ungheria, si aprirono nuove trattative per dirimere la questione. Il regio rescritto del 28 luglio 1870 sancì un compromesso che avrebbe dovuto essere, e per questo fu detto, «provvisorio». In attesa di un miglior accomodamento, la città e il suo distretto furono affidati all’amministrazione, rispettivamente, dell’Ungheria e della Croazia. La soluzione, stante la mai avvenuta stipula di ulteriori intese, si rivelò a ogni effetto permanente. Fiume assunse i tratti di un’enclave dotata di larghi margini decisionali all’interno del regno di Croazia. La lotta per l’autonomia cittadina corrispose a una lotta per la fisionomia culturale italiana, scevra da implicazioni politiche e pertanto condotta senza che venissero parallelamente elaborati piani di separazione. Tennero fede a simile impostazione di fondo molti dei sodalizi fiumani votati alla diffusione e al rafforzamento dell’idioma di Dante, ad esempio il Circolo letterario, che aveva come simbolo l’immagine del poeta fiorentino.
Un vero partito autonomista sorse nel 1896, su impulso di Michele Maylender, in reazione al nazionalismo ungherese che auspicava la completa magiarizzazione dei territori della Transleitania, l’area a est dell’impero. Budapest estese a Fiume delle misure amministrative senza consultare il potere locale, gesto che fu considerato una sfida ai diritti storicamente detenuti dal municipio. L’anno successivo fu eletto podestà Maylender, mentre nel partito emerse la personalità di Riccardo Zanella. Nonostante l’invadenza ungherese, il principale nemico degli autonomisti rimase la volontà d’annessione croata. Il progetto era di costituire un regno formato da Croazia, Slavonia e Dalmazia comprendente Fiume, mutando la struttura istituzionale della monarchia da dualista a trialista con l’aggiunta di un polo slavo-meridionale.
Anche il nazionalismo italiano mise radici nel golfo del Quarnero. Nel 1905 venne fondata la Giovine Fiume, associazione irredentista frequentata soprattutto da giovani. In ritardo rispetto all’irredentismo triestino, istriano e dalmata, quello fiumano scontava, dal punto di vista astratto, il ricordo degli amichevoli trascorsi italo-ungheresi nell’epoca del risorgimento, che poneva degli ostacoli al pieno dispiegamento della sua carica anti-magiara.
Autonomisti e irredentisti, accumunati dall’obiettivo di tutelare l’identità italiana del luogo natio, collaborarono fra loro in un clima di sospetto reciproco. A propiziarne l’avvicinamento fu l’intransigente politica di magiarizzazione adottata dal governatore István Wickenburg, insediatosi a Fiume nel 1909, che impose l’istruzione in lingua ungherese, lo scioglimento delle aggregazioni filo-italiane e la promulgazione di una legge sugli stranieri che consentiva l’allontanamento dei residenti regnicoli, vale a dire dei sudditi sabaudi. Il consiglio comunale, che protestò vivacemente, fu sciolto d’imperio. Nel febbraio 1912 la Giovine Fiume subì il medesimo trattamento e la confisca dei beni. Le tensioni raggiunsero il culmine nell’ottobre del 1913, quando delle bombe esplosero, con pochi danni e nessun ferito, nei pressi del palazzo del governatore.
L’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa accese le speranze degli irredentisti fiumani e mise in difficoltà gli autonomisti, sudditi leali degli Asburgo. Disertarono l’esercito imperiale sia Riccardo Gigante, nome di punta dell’irredentismo cittadino, sia Zanella, che nella penisola istituì il Comitato pro Fiume e Quarnero. Il momento di massima sintonia fra autonomisti e nazionalisti si ebbe nella fase compresa tra la fine del conflitto e il principio dell’impresa dannunziana. Il crollo dell’impero danubiano indusse i primi a far gruppo coi secondi nella richiesta di congiungere Fiume all’Italia, sebbene l’opzione non rientrasse nelle clausole del Patto di Londra. Le potenze vincitrici riunite a Versailles non furono però disposte a concedere per intero all’Italia quanto promessole in una situazione geopolitica diversa. Il presidente americano Woodrow Wilson, che non aveva sottoscritto i precedenti accordi, si dimostrò non solo contrario ad assegnarle la costa dalmata e porzioni dell’Istria, ma pose un veto assoluto su Fiume, sebbene il Consiglio nazionale italiano, sorto in
contrapposizione all’omologo croato, avesse proclamato l’accorpamento a quella che la cittadinanza italofona, timorosa d’esser fagocitata dallo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni, considerava ormai la madrepatria salvatrice.
Sottoposta a un’occupazione militare interalleata, il 12 settembre 1919 la città quarnerina vide sfilare colonne di soldati ammutinati guidati da Gabriele D’Annunzio. Installatosi a Fiume coi propri legionari, egli diede vita a uno dei più originali e controversi laboratori politici contemporanei. Il colpo di mano suscitò l’iniziale approvazione di Zanella, ma presto emersero fra i due divergenze irreconciliabili. Costretto a fuggire, il capo degli autonomisti seguitò a manovrare da lontano per mezzo di uomini di fiducia al fine di mettere in difficoltà D’Annunzio orchestrando scioperi e insurrezioni. Fautore della trasformazione di Fiume in uno Stato libero riconosciuto internazionalmente, cioè il massimo a cui gli autonomisti potessero aspirare, Zanella sembrò avere la meglio sul poeta-soldato in seguito al Trattato di Rapallo del novembre 1920 fra Italia e Jugoslavia, che ne regolò i sospesi confinari e mise una pietra sull’esperimento politico-militare del vate, definitivamente conclusosi in dicembre con le cannonate sparate dalle navi italiane sul suo quartier generale.
Nelle elezioni dell’anno dopo il partito autonomo raddoppiò il consenso degli avversari, ma la situazione a Fiume rimase tesa a causa degli atti d’insubordinazione verso l’Assemblea costituente presieduta da Zanella perpetrati dai legionari e dai fascisti rimasti in città, che puntualmente – e inutilmente – egli denunciava al governo italiano. Convinto ad abbandonare Fiume da un violento assalto al palazzo del governo, Zanella si rifugiò in Jugoslavia e da lì continuò una propaganda che andò lentamente esaurendosi, fino all’annessione di Fiume
all’Italia mussoliniana nel 1924. Non tornò mai più in città, a differenza dei suoi seguaci, tollerati dal fascismo purché rinunciassero alla politica, che ripresero a fare nel 1943, alla caduta del regime.
Bibliografia
- BALLARINI, Amleto, L’antidannunziano a Fiume. Riccardo Zanella, Trieste, Italo Svevo, 1995.
- PUPO, Raoul, Fiume città di passione, Roma-Bari, Laterza, 2019.
- STELLI, Giovanni, Gli autonomisti fiumani: storia di due liquidazioni, in NARDELLI, Dino Renato, STELLI, Giovanni (a cura di), Istria, Fiume, Dalmazia, laboratorio d’Europa, vol. II, La minoranza italiana in Slovenia e Croazia, Foligno, Editoriale umbra, Perugia, Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, 2014, pp. 191-217.
- STELLI, Giovanni, Storia di Fiume. Dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2017.
> Torna alla pagina iniziale di Riccardo Zanella
> Torna alla homepage del progetto La trama e l’ordito: l’impresa fiumana