ISSN: 2038-0925

Gabriele D’Annunzio

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Io sono il Vate

Io sono il Vate. Amatissimo e odiatissimo, perciò immenso. Eroe di guerra, conquistatore di terre e di cuori, amante della patria e della donna, chi, se non io, sublime poeta, raffinato dicitore, combattente senza onta, eccelso con la penna e con la spada, potrà raccogliere i frutti di una guerra sanguinosa che i politicanti, seduti sugli scranni del parlamento, vorrebbero gettare alle ortiche? Infame razza di borghesi, dimentichi dell’Italia vera, quella del fante, dell’aviatore, del marinaio, che io, solo io, a capo di una schiera di legionari impavidi, riscatterò conquistando Fiume, avamposto latino sul Quarnero, perla adriatica che incastonerò nel diadema italico!

L’arrivo

Gabriele D'Annunzio in marcia verso Fiume / D'Annunzio il conquistatore.

Sul mio bolide amaranto, oggi, 12 settembre 1919, seguito da una colonna di granatieri e patrioti della più bell’acqua, giungo a Fiume. L’ho sedotta. Garriscono al vento i tricolori, la folla esulta, le ragazze lanciano fiori dai balconi. Gli ex alleati, capitanati da un borioso presidente col panciotto a stelle e strisce, vorrebbero negarci ciò che ci appartiene. Lo impedirò. I fiumani, quelli veri, sono dalla mia parte, l’Italia, quella vera, è dalla mia parte, la gioventù è dalla mia parte, i reduci sono dalla mia parte. Soprattutto, l’esercito è dalla mia parte. Millo mi ha assicurato il presidio militare della Dalmazia. Chi contro di noi? Ricacceremo il barbaro straniero nelle lande orientali da cui proviene, isseremo sugli spalti del castello di Tersatto la bandiera verde-biancorossa, e all’aquila dello stemma fiumano mozzeremo una delle teste: non più asburgica ma romana!

Compromesso?

Il seduttore sedotto / D'Annunzio abbandona Fiume. Disegno di Giulia Giaccaglia ©
Il Consiglio nazionale fiumano mi ha nominato Comandante. Mi si addice. Eppure, ciò non basta a zittire i nemici di dentro e di fuori: i putridi autonomisti di Zanella e il presidente del consiglio stravaccato a Roma. “Cagoia” Nitti prima deplora la spedizione alla Camera, poi mi manda il generale Badoglio con una carta in mano, dove sta scritto: Fiume città aperta. È il modus vivendi, ossia, chiamiamolo col suo nome: un vile compromesso. Io, accettare ingiunzioni da un lacchè? compromettermi con un compromesso? Giammai! I fiumani, però, abusano della parola che ho concesso loro, e con plebiscito si dicono d’accordo. Mi chiedo se il popolo mi meriti. No, non mi merita. Solo una ristrettissima cerchia di eletti può cogliere appieno il genio mio. Invalido il risultato elettorale. Lo faccio per Fiume. Io sono il Vate.

L’utopia realizzata


Primavera 1920: esiste una stagione più dannunziana? Il seduttore sedotto / D'Annunzio abbandona Fiume. Disegno di Giulia Giaccaglia ©Primo vere è stato, lo sa il mondo, il mio esordio letterario, acerbo e maturo insieme. Zanella si arrabatta inutilmente per mettermi i bastoni fra le ruote e Nitti esce di scena. Era tempo. Al suo posto l’orribile labbruto, Giolitti. Me ne frego. Estate 1920: esiste una stagione più dannunziana? Non ho forse dedicato ad essa i madrigali dell’Alcyone? Il 30 agosto consegno alla storia la Carta del Carnaro, costituzione della Reggenza italiana del Carnaro. Sono io che reggo. Reggo uno Stato che non è regno e non è repubblica, fondato sull’arte e sulla bellezza, utopia realizzata, sogno che si fa vita. Nulla vi è proibito, tutto vi è concesso.

La Nave affonda

Il seduttore sedotto / D'Annunzio abbandona Fiume. Disegno di Giulia Giaccaglia ©
Il tradimento è consumato: i rappresentanti italiani firmano il trattato di Rapallo con gli jugoslavi e dichiarano Fiume Stato libero, indipendente e sovrano. Io, imperterrito, rimango: ho ordinato ai miei fedelissimi di occupare Veglia e Arbe. Ma il tradimento continua. Impauriti dal prossimo naufragio, i topi abbandonano La Nave, superba tragedia in cui ho esaltato la polena spinta nella acque azzurre del mare nostrum. Millo mi volta le spalle. Due giganti marini d’acciaio sono ancorati nel golfo dirimpetto al mio palazzo. Nel genetliaco di nostro Signore avviene il misfatto. Cannoneggiano. L’Italia, anch’essa, non mi merita. Lascio Fiume. Ho compiuto un’impresa memorabile, un’avventura da far impallidire gli argonauti. Ho inciso il mio nome nel marmo della storia. Io sono il Vate.

Bibliografia

  • DE FELICE, Renzo, D’Annunzio politico 1918-1938, Roma-Bari, Laterza, 1978.
  • GUERRI, Giordano Bruno, Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920, Milano, Mondadori, 2019.
  • SERVENTI LONGHI, Enrico, Il faro del mondo nuovo. D’Annunzio e i legionari a Fiume tra guerra e rivoluzione, Udine, Gaspari, 2019.
  • TODERO, Fabio (a cura di), Qualestoria : L’​impresa di Fiume. Memorie e nuove prospettive di ricerca, 48, 2/2020, .

Sitografia

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