ISSN: 2038-0925

Devenir historien-ne: post #24

Prosegue la partnership avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione storica di Émilien Ruiz, Assistant Professor in Digital History presso il Dipartimento di Storia di Sciences Po a Parigi. Questo mese proponiamo la traduzione del post «Pourquoi s’intéresser à l’histoire du fait religieux?».

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.

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Gli usi storici della letteratura
9 novembre 2011

di Émilie Gimenez e Maxime Martignon

William-Adolphe Bouguereau (1825–1905), L’Art et la Littérature (1867), Arnot Art Museum Elmira, New York State
via Wikimedia Commons

L’obiettivo di questo post sui rapporti tra letteratura e storia – scritto da due studenti che se ne occupano a tempo pieno – è ancora oggetto di un accesso dibattito intellettuale. Per alcuni[] il testo letterario è portatore di conoscenze la cui scoperta è resa possibile grazie ad un’ermeneutica intra-diegetica; potremmo semplificare dicendo che il lavoro dello storico consiste essenzialmente in una critica interna e nell’analisi del discorso della fonte letteraria. Per altri[] sarebbero invece delle operazioni di contestualizzazione peculiari alla letteratura (studiata in quanto fenomeno) a permettere di chiarire i testi e di farne degli oggetti specificatamente storici.
La letteratura non può essere ridotta esclusivamente alla sua etimologia, che rinvia alla «cosa scritta», litterae, litteratura. Infatti la posterità di un’opera si basa su quanto sia ritenuto necessario leggerla; un testo letterario è quello giudicato meritevole di essere letto e riletto. Georges Ohnet, melo-drammaturgo della Seconda Repubblica, alla fine del XIX secolo era più venduto di Zola. Ciononostante, sono alcuni romanzi dei Rougon-Macquart ad essere studiati in numerose classi della scuola secondaria. Come sottolinea Florence Dupont, «l’esistenza della letteratura presuppone una sequenza aperta da una scrittura specifica e chiusa da una lettura non meno specifica. Detto in altre parole, non c’è letteratura se non dove esiste un’istituzione letteraria»[]. L’uso della parola «letteratura» sembra indicare anche le opere che testimoniano delle preoccupazioni estetiche. In questa sede si vuole solo dare consigli metodologici utili per giovani storici e storiche che desiderano utilizzare dei testi a priori letterari. Per quello che riguarda questi dibattiti, non si può che rinviare all’opera di Judith Lyon-Caen e Dinah Ribard L’historien et la littérature[].
Ancora oggi capita di sentire che non è possibile utilizzare la letteratura come fonte storica principale e che tutt’al più potrebbe essere utile per «l’apertura» di una tesi. Sembrerebbe dunque essere relegata al ruolo di ornamento estetico al lavoro dello storico e come momento di piacere all’interno dell’argomentazione.
Il nostro scopo qui è vedere come sia possibile prendere sul serio l’ornamento, l’esergo che riporta una citazione letteraria a partire da un caso concreto di una tesi discussa nel 2011 e, al contempo, fornire gli elementi teorici necessari a fare della storia utilizzando la letteratura.

Le pratiche dell’apertura letteraria

La cosa migliore per ragionare sulla pratica dell’apertura letteraria è proprio partire da un caso concreto. Citiamo il caso di Mélissa Bernier, studentessa all’Università di Besançon, che ha discusso una tesi sul fondo di emergenza della miniera di Machine dans la Nièvre[]. La sua introduzione era una riflessione generale sulla portata storiografica di un testo imprescindibile per chi lavora sulle miniere, quello di Zola. Con l’autorizzazione dell’autrice riproduciamo qui questa «apertura» per analizzarla.

Parlare della miniera e dei minatori nel XIX secolo porta necessariamente a pensare a Zola e a Germinale. In questo romanzo pubblicato a puntate all’interno di «Gil Blas» a partire dal 26 novembre 1884, Émile Zola (1840-1902) traccia il ritratto di un paese minerario, certamente fittizio, ma che tratta tutti i temi legati alla condizione del minatore nel XIX secolo. Vengono ripercorso tutti i punti chiave; le condizioni di lavoro e la vita degli operai, i loro rapporti con la compagnia, i loro passatempi e le loro opinioni politiche. Questi elementi costituiscono il primo romanzo sul popolo. Quest’opera romanzata, fondata su un’inchiesta sul campo realizzata dall’autore nelle miniere d’Anzin dal 23 febbraio al 4 marzo 1884, marca la cultura storica[]. Avendo considerato l’immersione il miglior metodo investigativo, Émile Zola è sceso nel pozzo di una miniera per visitarlo[]. Si tratta comunque di un romanzo: il libro dà quindi al lettore la sua rappresentazione della realtà e certi elementi sono inventati o esagerati. Gli elementi che fornisce non possono essere applicati alla lettura di documenti storici nell’ambito di una monografia.
Questo romanzo costituisce un’introduzione ai rapporti di forza o asservimento esistenti nelle imprese industriali del XIX secolo. I problemi e le sfide legate ai fondi di emergenza sono riassunti nelle parole di M. Hennebeau, direttore della miniera di Montsou, ad una delegazione di operai in sciopero: « […] questo cassa previdenziale che avremmo tollerato più che volentieri se fosse stata solamente un risparmio, ma la percepiamo come un’arma contro di noi, un fondo di riserva per pagare le spese di guerra. E riguardo a questo, devo aggiungere che la Compagnia intende avere un controllo su questa cassa»[].
L’utilizzo del condizionale introduce le condizioni poste dalla direzione riguardo l’esistenza di un fondo di emergenza o previdenza. Questa forma verbale rimanda l’istituzione in un lontano inaccettabile futuro che crea un’antifrasi con la parola «tollerare». C’è parallelamente una sovversione del vocabolario paternalista con l’utilizzo del campo lessicale dell’esercito. Infatti, l’azienda più che il confronto tra due eserciti deve costituire un’unità: se da una parte Zola trasmette l’immagine negativa dei fondi di emergenza corrispondente a quella dell’immaginario padronale, la sua scrittura lascia però pensare che lui sia dalla parte degli operai.
Nel caso della miniera di carbone de La Machine, i fondi di emergenza non sono diventati oggetto di lotta tra i partiti del XIX secolo. Questa istituzione di assistenza ha conosciuto diversi cambiamenti di gestione, sempre giustificati dalla scusa dell’interesse comune. In più, i fondi di emergenza sono stati troppo spesso legati ad un’immagine, che in questa sede si vuole analizzare studiando quella de La Machine, che richiama la protesta e lo sciopero, ancora di più a causa delle distorsioni del discorso padronale[].

Diversi elementi, qui, permettono di prendere sul serio questo incipit. Non si tratta di una citazione buttata lì come una prova seguendo l’equazione Miniera = Germinale = realtà o finzione. Innanzitutto, M. Bernier si adopera per precisare il procedimento autoriale di Zola, facendo implicitamente riferimento ai lavori sull’apparente scientificità degli scritti naturalisti. Inoltre, la citazione è situata all’interno di un’interpretazione storiografica («i rapporti di forza o asservimento») che scoraggia qualsiasi volontà di fare di una citazione una testimonianza trasparente o il fantasma o la strategia di scrittura di uno scrittore. Un’analisi del discorso permette poi di mostrate le modalità con cui il testo di Zola crea un effetto di realtà («il vocabolario paternalista») che ne fa una fonte seducente per lo storico non abbastanza all’erta, mentre questo effetto localizza lo scritto come «dalla parte degli operai». Infine, il ritorno al soggetto specifico permette di mostrare la dimensione storiograficizzante del testo di Zola sulla questione degli usi del fondo di emergenza nel XIX secolo. Ben lontano dal chiarire il soggetto, il testo di Zola produce un effetto di generalizzazione la cui analisi contestuale ed ermeneutica permette di comprendere che è un pregiudizio storiografico.
Si vede quindi che per fare una citazione letteraria seria è necessario percorrere numerose tappe: contestualizzarla non significa solo mettere insieme diversi elementi di conoscenza riguardo al testo, ma anche proporre un’interpretazione del passaggio proposto. La seconda tappa consiste nell’analisi minuziosa del discorso sviluppato nel testo che consente di supportarne il punto di vista. Attraverso questa pratica si rinuncia ad una citazione sul soggetto e si apre un altro tema di studio considerato letterario. Si presuppone che quest’ultimo costituisca un incipit non pretestuoso che permette di ampliare le problematiche del soggetto generale: tutto questo anche a costo di mobilitare la letteratura come fenomeno storico per fornirne una spiegazione, a dispetto del fatto che – almeno in apparenza – la problematica di cui si tratta non abbia nulla a che vedere con il soggetto di partenza.

Consigli teorici e metodologici

Édouard Manet (1832-1883), Portrait of Émile Zola (1868),
Paris, Musée d’Orsay
via Wikimedia Commons

Nell’intero processo di coinvolgimento delle fonti «letterarie», ci sembra importante non ridurre il testo letterario ad un enunciato fisso, unico e definitivo, ma domandarci quali siano le pratiche indotte dalla trasmissione di tale testo. Il soggetto deve quindi essere definito a seconda della sua produzione e della sua ricezione, prendendo in considerazione le vie che portano dall’una all’altra e conoscendo la storia della trasmissione. Prendiamo l’esempio della tragedia greca. Se viene ricondotta al suo contesto di enunciazione iniziale, la rappresentazione tragica si inserisce ad Atene durante la festa rituale delle Dionisie; dal momento che il testo non è autonomo e non esiste che all’interno di una dimensione performativa nel teatro di Dioniso[] non corrisponde più a quello che ammettiamo come letteratura. Ricondurre il soggetto alla sua storicità può comportare la negazione del suo statuto letterario.
Questa operazione di contestualizzazione permette allo storico di comprendere il suo oggetto di studi e di non fargli dire quello che non dice. Ogni oggetto ha la propria originalità e funzione inscritte nel luogo e nel tempo in cui è stato prodotto. Per qualsiasi studente o studentessa che desidera utilizzare della letteratura è necessario storicizzarla, perché è in questo modo che si può oggettivizzarla e staccarla dagli a priori ereditati dal nostro rapporto con la lettura ed il suo insegnamento. È la classificazione in generi e sottogeneri letterari (teatro, poesia, romanzo, autobiografia…) e in registri (tragico, comico, epico…) che ci permette di pensare la letteratura. Sono operazioni di produzione del sapere, non sempre contemporanee all’opera, che possono anche essere ritenute anacronistiche. Ma finché si tratta di un processo consapevole anche l’anacronismo può rivelarsi utile[]; bisogna solo riuscire a distinguere la differenza tra i concetti etici che elaboriamo e le categorie originali delle persone, autore/autrice o destinatari della letteratura. In questo modo, si comprende, ad esempio, che la nozione di «tragico» come registro nasce nel XIX secolo, dalla filosofia idealista tedesca, ed è quindi difficilmente applicabile alla tragedia antica[].
Le questioni che si pongono sul soggetto letterario e la qualifica che gli viene attribuita riguardano la scelta delle procedure epistemologiche. Nel suo lavoro di ricerca, articolando l’antropologia storica e i gender studies[], Émilie Gimenez sostiene che la tragedia greca permette di comprendere la realtà storica della città ateniese del V secolo, non direttamente ma grazie al gioco dello specchio rotto[]. Con tutt’altro procedimento suggerisce, invece, Maxime Martignon[] cercando di comprendere gli usi sociali della corrispondenza di Cabart de Villermont (1623-1707): deve investire i testi messi in circolazione di una dimensione estetica specificatamente orientata ad avere degli effetti di lettura anche se non apparterrebbero al «canone letterario». Quindi, l’uso storico della letteratura dovrebbe portare ad una riflessione complessa; non solo una critica delle fonti, ma anche una critica epistemologica del proprio lavoro, per sfuggire alla tentazione di fare della letteratura un semplice documento sul proprio soggetto di ricerca.

Linea di separazione
  1. Tra gli altri : Savoirs de la littérature : Annales. Histoire, Sciences Sociales, 2010/2. []
  2. VERNANT, Jean-Pierre, Le moment historique de la tragédie en Grèce : quelques conditions sociales et psychologiques, in VERNANT, Jean-Pierre, VIDAL NAQUET, Pierre, Mythe et tragédie en Grèce ancienne, vol. I, Paris, Maspero, 1973, pp. 11-17. []
  3. DUPONT, Florence, L’invention de la littérature, Paris, La Découverte, 1998, p. 14. []
  4. LYON-CAEN, Judith, RIBARD, Dinah, L’historien et la littérature, Paris, La découverte, 2010. []
  5. BERNIER, Mélissa, La caisse de secours de la mine de la machine au XIXe siècle, tesi discussa all’Università di Franche-Comté sotto la direzione di Jean-Claude Daumas, 2011. []
  6. Ad esempio, PRADALIE, Georges, Balzac historien, Paris, PUF, 1955; O GRIBET, Marie-Françoise, « Horace Busquet, Directeur des mines de La Machine à l’époque de Germinal », in Le marteau pilon, 18, 2006, pp. 113-120. []
  7. ZOLA, Émile, Carnets d’enquête : une ethnographie inédite de la France, Paris, Plon, 1987. []
  8. ZOLA, Émile, Germinal, Paris, Hachette, 1993, p. 259. []
  9. Traduzione e adattamento di un estratto della tesi sul fondo di emergenza della miniera di Machine dans la Nièvre che Mélissa Bernier, studentessa all’Università di Besançon, ha sostenuto nel 2011. []
  10. DUPONT, Florence, L’insignifiance tragique, Paris, Gallimard, 2001. L’autrice elabora la nozione di «insignificanza tragica» che prevede che la tragedia greca non possa essere compresa e studiata se non portata alla sua storicità e alla sua situazione di enunciazione iniziale, la performance; capitolo 1 «En finir avec la tragédie grecque?», pp. 11-29. []
  11. LORAUX, Nicole, « Éloge de l’anachronisme », in Le genre humain, 1993, pp. 23-29, ripreso in « Les Voies traversières de Nicole Loraux : une helléniste à la croisée des sciences sociales », in Espaces Temps/Les Cahiers Clio, 87-88, pp. 127-139. []
  12. JUDET DE LA COMBE, Pierre, Les tragédies grecques sont-elles tragiques ?, Paris, Bayard, 2010. []
  13. GIMENEZ, Émilie, Electre est-elle une héroïne? Approche des genres dans les Choéphores d’Eschyle et l’Electre d’Euripide et de Sophocle, Tesi discussa all’EHESS sotto la direzione di Claude Calame, 2011. []
  14. VIDAL-NAQUET, Pierre, Le miroir brisé, Paris, Belles-Lettres, 2002. []
  15. MARTIGNON, Maxime, Les pratiques épistolaires d’un intermédiaire à la fin du règne de Louis XIV : Cabart de Villermont (1623-1707), Tesi discussa all’EHESS sotto la direzione di Christian Jouhaud, 2011. []

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