Devenir historien-ne: post #32
Prosegue la partnership avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione storica di Émilien Ruiz, Assistant Professor in Digital History presso il Dipartimento di Storia di Sciences Po a Parigi. Questo mese proponiamo la traduzione del post «Faire de l’histoire des sciences comme de l’histoire du travail».
La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.
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di Pierre Verschueren
Quando si sono passati buona parte dei propri anni di dottorato a lavorare su… dei dottorati, la discussione è un momento piuttosto ambiguo: al tempo stesso, il rituale ufficializza il giudizio degli esaminatori, definisce il termine di un processo di pratica concreta della ricerca e concretizza la costruzione di un’identità scientifica – ma, come ogni rituale, è abbastanza difficile dovercisi sottoporre e riuscire ad oggettivarlo allo stesso tempo. Troppa riflessività diventa allora sgradevole e ostentare troppo apertamente ciò che si crede di aver capito, in questa occasione dimostra, in realtà, di non saper padroneggiare le norme del mondo accademico. Non si può dunque consegnare ai futuri candidati un codice di buona condotta statico; al massimo si può fornire una descrizione, come è poi stato fatto, sperando che possa essere utile dopo un confronto con altre esperienze. In quest’ottica, il seguito delle mie avventure è disponibile su un’altra rivista.
Discussione della tesi di laurea dell’8 dicembre 2017
Professore presidente della commissione e professori e professoresse della commissione tutta, la tesi che ho l’onore e il piacere di presentarvi oggi è intitolata « Da studiosi a ricercatori. Le scienze fisiche come mestiere (Francia, 1945-1968)». Innanzitutto, permettetemi di ringraziarvi per l’interesse che avete dimostrato per il mio lavoro facendo parte di questa commissione e ammettendo questa tesi di dottorato alla discussione. Mi preme inoltre ringraziare tutti e tutte coloro che mi hanno fatto la cortesia di venire ad assistere.
Me, myself and I
Piuttosto che tentare un riassunto, vorrei sfruttare il tempo che mi è stato concesso per prendermi un momento di riflessione e soffermarmi su ciò che mi ha spinto a dedicare quattro anni di lavoro a studiare le evoluzioni delle scienze fisiche pur non essendo né fisico né chimico.
Da quanto mi ricordo e per quanto le trappole dell’illusione biografica mi permettono di ricostruire, l’origine del mio lavoro è da cercare in un evento casuale e banale. Nella primavera del 2009 stavo cercando un argomento di studio per la mia tesi magistrale e l’offerta promozionale lanciata da un editore universitario mi ha fatto conoscere l’opera di François Dufay e Pierre-Bertrand Dufort, Les normaliens. De Charles Péguy à Bernard- Henry Lévy : un siècle d’histoire. In questo libro, agiografico se non addirittura pubblicitario, mi ha colpito una frase: « Le cœur de Normale sup bat chez les littéraires de la rue d’Ulm, de Péguy jusqu’à nos jours »[↩]. In queste pagine, quindi, non vi era niente di scientifico. Il che è, a priori, a dir poco sorprendente… ma è stato proprio affrontando l’argomento che mi sono reso conto della sproporzione dei testi e dei lavori tra scuola letteraria e scuola scientifica. La lettura de La noblesse d’ État di Pierre Bourdieu su consiglio di Antoine Lilti, oltre che i suggerimenti di Sophie Coeuré e Gilles Pécout mi hanno convinto a trarre da questa constatazione un soggetto di ricerca e a proporlo a Christophe Charle – che è stato così gentile da accettarlo.
Ho quindi dedicato il mio primo anno di magistrale in storia contemporanea all’università Paris1 Panthéon-Sorbonne ad una tesi consacrata agli allievi di materie scientifiche dell’ENS[↩] che si sono diplomati tra il 1944 e il 1960. Ciò mi ha permesso di approcciarmi sia ad un classico lavoro in archivio che alla prosopografia, grazie a fascicoli di studenti e ad indagini attraverso questionari o colloqui – dato che la maggior parte di questi ex studenti sono ancora vivi. Mi sono anche impegnato nel tracciare una storia sociale delle élite scientifiche applicando metodi quantitativi relativamente avanzati (grazie al seminario di Claire Zalc e Claire Lemercier) e associandoli alla pratica della storia orale ad alla ricerca sugli archivi d’istituzione dell’insegnamento superiore.
Il tema mi ha appassionato, in particolare perché permette di confrontare la molteplicità delle modalità di fare scienza e creare scienziati, a seconda delle discipline, all’interno di una stessa istituzione. Viene valorizzata anche la storicità delle funzioni sociali di un’istituzione: in effetti è da dopo il 1945 che l’ENS si concentra sul coltivare ricercatori ed universitari, prima di allora venivano proposti soprattutto seminari di formazione per insegnanti del liceo e, solamente per l’élite dell’élite, per professori universitari.
Con l’avvicinarsi del termine del mio primo anno di magistrale e dei miei studi sul tema, è nuovamente subentrato il destino: da una parte la mia candidatura a l’agrégation[↩] è stata posticipata di un anno a seguito della riforma chiamata di «masterizzazione», dall’altra parte, nel giugno 2010, la Maison française d’Oxford ha messo a disposizione posti annuali per gli studenti. Ho allora proposto uno studio comparativo sulle caratteristiche della formazione alla ricerca in scienze matematiche, fisiche e naturali all’università di Oxford, sempre al termine della Seconda guerra mondiale, progetto che Christophe Charle si è reso disponibile seguire anche a distanza. In sede le mie ricerche erano seguite da Pietro Corsi e Muriel Le Roux. Nonostante le incognite di Oxford mi abbiano, alla fine, portato a orientarmi sullo studio dell’università di Cambridge, questo lavoro mi ha convinto dell’importanza di estendere il confronto alla totalità dei sistemi di insegnamento superiore e di ricerca della Francia e del Regno Unito. Lo studio del caso dell’ENS lascia infatti intravedere le profonde ricomposizioni del campo scientifico e universitario tra il 1945 e gli anni Sessanta, anche solo attraverso la modifica delle possibilità di carriera offerte agli studenti; nello stesso periodo, quello di Oxbridge conduce nella stessa direzione, con la vittoria definitiva dello specializzato reading man sul dilettante rowing man. Dai due lati della Manica, le caratteristiche di formazione alla ricerca appaiono come indicatori utili per condurre uno studio delle due massificazioni gemelle della scienza e dell’insegnamento superiore.
Partendo dalla storia dell’insegnamento superiore, ho ritenuto di avere le linee principali su cui costruire un progetto di tesi che entrasse in stretto dialogo con la storia delle scienze – cosa che mi ha portato, su proposta di Christophe Charle, a chiedere a Nathalie Richard di unirsi a lui come relatrice e che mi ha inoltre spinto a partecipare al gruppo del seminario di storia politica delle scienze del mio laboratorio, l’Institut d’histoire moderne et contemporaine. Se fino a quel momento i miei studi avevano affrontato l’insieme delle discipline attinenti alle scienze «esatte», o «non sociali», a livello di una singola istituzione, il confronto dei casi dell’ENS e di Cambridge suggerisce che uno studio comparativo è possibile se si sceglie di concentrarsi su un campo disciplinare preciso. È dunque a quel punto che ho scelto le scienze fisiche.
Perché le scienze fisiche?
Perché? Da una parte perché, di fatto, i matematici britannici e francesi sono molto diversi, in particolare nel rapporto con le applicazioni; lo stesso vale per le scienze naturali e biologiche, la separazione tra facoltà di scienze e facoltà di medicina in Gran Bretagna non è avvenuta, mentre in Francia è netta. D’altro canto, dopo il 1945 le scienze fisiche sono in posizioni simili da entrambi i lati della Manica: hanno conosciuto una formidabile accelerazione del loro sviluppo, accelerazione attivamente sostenuta dagli Stati e, più in generale, da una forma di stato di grazia politica e culturale – cosa giustamente sottolineata da Robert Gilpin, Jean-Jacques Salomon, e soprattutto Dominique Pestre.
Come caratterizzare, in poche parole, le conseguenze sociali di tale accelerazione e massificazione? Sia in Francia che in Gran Bretagna alla fine degli anni Quaranta la maggioranza di fisici e chimici si consideravano e vivevano ancora come studiosi; poco numerosi, membri di una comunità molto forte, impregnati da ideali universalisti, attaccati all’ideale del genio che alza il velo della Natura, solo nel suo laboratorio e poi professa in cattedra la scienza così ottenuta. Il contrasto con la situazione della fine degli anni Sessanta è netto: l’ideale professionale proposto è quello del ricercatore, specializzato, che lavora in una o più équipe su progetti di dimensioni internazionali. L’immagine, e la pratica, della scienza non è più la lavagna di Louis de Broglie o di Paul Dirac, ma gli acceleratori di particelle.
Nella mia tesi cerco di spiegare i meccanismi sociali di tale trasformazione, la modalità con cui un mestiere ha potuto cambiare al contempo così velocemente e così profondamente – cercando anche di completare, dal punto di vista della storia sociale, le analisi di storia culturale proposte da Dominique Pestre. A tal punto che le mie ricerche si sono progressivamente allontanate dal punto di partenza – che era, lo ricordo, l’analisi delle caratteristiche di formazione della ricerca -, per adottare sempre più una prospettiva di storia sociale delle professioni, che sostituisce il punto di partenza nell’evoluzione più generale delle traiettorie professionali degli scienziati. In quest’ottica, la popolazione di fisici e chimici è diventata un caso paradigmatico, inscritto in una riflessione più ampia che riguarda le modalità con cui una professione intellettuale si riconfigura, se non addirittura modifica le proprie funzioni sociali, le sue norme di funzionamento e i suoi meccanismi di regolazione e riproduzione, in collegamento o meno con l’evoluzione del sapere che detiene e produce.
Sfortunamente, la principale vittima di questo spostamento dell’attenzione è stata la dimensione comparativa: di fronte alla ricchezza e alla complessità del caso francese ho dovuto abbandonare il progetto di raccogliere un simile insieme di dati anche per quanto riguarda la Gran Bretagna nell’ambito del dottorato – visti i tempi troppo stretti –, nella speranza, però, che l’abbandono possa essere soltanto momentaneo.
Da qualche parte tra la storia e la sociologia
Come trattare e comprendere questa trasformazione globale considerando sia la produzione dei saperi che la produzione di successive generazioni di scienziati? Sul piano metodologico sono, come tutti noi, frutto del mio percorso; e questo percorso non è puramente storico. Ho studiato «lettere e scienze sociali» che, tradotto, significa molte più ore di scienze economiche e sociali che di storia; inoltre, lavoro da più di un anno con una squadra di sociologi per Pierre-Michel Menger. Pertanto, la mia pratica mi colloca di fatto non tra i sostenitori dell’interdisciplinarità, vista come dialogo tra due spazi distinti, ma come un ricercatore che lavora all’intersezione di due discipline diverse, la storia e la sociologia. È questo il concetto che il termine «storia sociale delle scienze» con cui cerco di auto-definire ciò che faccio cerca di racchiudere. Se malgrado tutto posso considerarmi uno storico è perché pratico il «metodo storico», per natura diverso dal «metodo sociologico»; è innanzitutto per eredità e percorso, nonché per attaccamento ad un approccio storicizzato dei fenomeni sociali – senza per questo sostenere che sia la storia, come disciplina, ad avere il monopolio di questa prospettiva.
Da questa posizione, si tratta quindi di servirsi di tutti gli strumenti metodologici possibili, partendo dai dati empirici di cui si dispone. Ho cercato di farlo oltrepassando il sottile limite che c’è tra una storia totale impossibile e una micro-storia frustrante, moltiplicando sia le tipologie di fonti mobilitate che il punto di vista, applicando quella che potrebbe essere definita una prospettiva cubista: l’ambizione di questo movimento artistico, che è in fondo anche la mia, è riuscire ad osservare contemporaneamente un soggetto da punti diversi nello spazio, conservare le proporzioni e fondere queste diversi punti di vista in un’unica immagine.
La struttura principale del lavoro è costituita dalla base Thésitifs, che raggruppa i circa 18 500 dottori di facoltà di scienze francesi che hanno ottenuto il loro titolo tra il 1944 e il 1968. Tale base permette sia di tracciare le grandi evoluzioni quantitative con precisione che di porre le fondamenta per un’analisi prosopografica. Questa ha l’obiettivo di costruire una tabella sociografica della popolazione scientifica ed è una delle condizioni necessarie per un’analisi in termini di social network analysis, che offre un punto di vista euristico per studiare le ricomposizioni delle relazioni che uniscono i principali attori del campo accademico.
Comunque, questa struttura quantitativa da sola non è sufficiente, non è che uno dei contributi della tesi. Classicamente, acquisisce senso solo se confrontata all’analisi delle rappresentazioni sociali, politiche e mediatiche delle discipline considerate. Non consente di per sé di descrivere e comprendere la riconfigurazione delle carriere scientifiche: perché sia possibile farlo deve essere completata da uno studio degli ambiti giuridici e pratici dei percorsi professionali – cosa che ho potuto fare per l’Università e il CNRS, ma che resta ancora da fare per gli altri organismi pubblici di ricerca e per le imprese private. Anche l’analisi quantitativa, necessariamente sviluppata in ambito nazionale, deve essere completata da un’analisi delle condizioni di esistenza dell’internazionalità delle scienze – che ho potuto fare grazie al supporto della direzione della scuola estiva di fisica teorica di Houches e grazie ad un soggiorno negli Stati Uniti finanziato da un programma Alliance, l’American institute of Physics e il Collège des écoles doctorales dell’università Paris 1. Altro punto, l’analisi trae grande beneficio dal confronto dei dati quantitativi con lo studio delle istituzioni educative e dei testi che esse producono, quando si tratta di studiare la tecnologia sociale di percolazione che forma, differenzia e gerarchizza gli scienziati – le relazioni di tesi di dottorato e i ringraziamenti costituiscono, rispetto a questo, una fonte particolarmente ricca e ancora molto poco sfruttata. Infine, Thésitifs si sofferma lungamente alle porte dei laboratori: anche se la storia orale produce diversi elementi, se lo storico vuole poter valutare le trasformazioni più locali dei dispositivi di produzione scientifica deve ricorrere allo studio di casi specifici – su questo punto, i due casi che ho selezionato e scelto per ragioni di accesso agli archivi, la Scuola normale superiore e la coppia Institut du Radium/Institut de physique nucléaire d’Orsay, richiedono ulteriori lavori.
Quattro anni di lavoro
Una volta definite le linee direttrici, quali sono i risultati? Quali sono i meccanismi che spiegano questa trasformazione del mestiere dello scienziato?
Innanzitutto, il primo risultato: questa trasformazione è prima di tutto voluta e incoraggiata dai protagonisti stessi, o come minimo almeno dalla parte di loro che si mostra in prima linea attivamente. È il caso, dopo la Seconda guerra mondiale, degli ultimi membri ed eredi del gruppo dell’Arcouest, riuniti intorno a Frédéric Joliot e Pierre Auger; molto legati agli ambienti della resistenza, la loro attività era sostenuta in modo particolare dalle origini del sindacalismo dell’istruzione superiore. In ogni caso, durante gli anni Cinquanta il gruppo si scioglie e viene sostituito da uno autoproclamatosi «riformista» legato a Pierre Mendès France. Il nebuloso sostituto si manifesta alla luce del sole al convegno di Caen nel 1956 e poi, dopo il 1958, si unisce a Charles de Gaulle che gli dà mezzi d’azione che fino ad allora non avevano avuto eguali. Queste coalizioni tra imprenditori accademici sono però sempre in movimento, cambiando a seconda della congiuntura politica e dei rapporti di forza; lo stesso vale per i registri d’azione utilizzati, dalla petizione al lobbismo attraverso lo sciopero, passando per la manifestazione e gli articoli di stampa.
Secondo punto: questo attivismo in favore di una trasformazione del mondo professionale scientifico si manifesta anche all’interno dello stesso insegnamento superiore e della ricerca. Se gli scienziati di nuova generazione, i ricercatori, possono esistere, è perché una serie di imprenditori, come Yves Rocard o Georges Champetier, hanno agito in modo tale da aver accumulato un capitale sufficiente, in termini di personale, finanziamenti, spazio di lavoro, per creare un ambiente adeguato a queste nuove pratiche professionali. È solamente in un secondo tempo che lo Stato, in questo caso gaullista, ha colto l’occasione di questa trasformazione per lanciare una politica scientifica, con leva principale da ritrovare nella Delegazione generale alla ricerca scientifica e tecnica (DGRST), in modo da creare le condizioni di possibilità di una generalizzazione, dell’istituzione come norma delle nuove forme di esercizio della professione di scienziato.
In ultimo, il terzo punto: ciò che permette a questa trasformazione di stabilizzarsi e divenire definitiva non è la moltiplicazione dei laboratori, la nascita di una politica di ricerca o la crescita che gli organismi di ricerca hanno fatto a livello di potere, ma la sua iscrizione all’interno di un inquadramento giuridico e le strutture pedagogiche dell’insegnamento superiore. A partire dalla metà degli anni Cinquanta, infatti, i giovani ricercatori hanno cominciato ad abituarsi, molto prima dei loro predecessori, ad avere dispositivi di produzione di fatti scientifici che si avvalevano di tirocinanti e praticanti sempre più specializzati e che tiravano in ballo, per esempio, il lavoro collettivo e l’inserimento nella comunità internazionale. Rispetto a questo bisogna sottolineare gli effetti della creazione di insegnanti-assistenti, di quella del dottorato di terzo ciclo e delle riforme sulle lauree del 1958 e de 1963; più discretamente, anche l’evoluzione delle norme che gerarchizzano le tesi di dottorato svolge un ruolo cruciale. È così che le nuove pratiche si normalizzano definitivamente grazie al loro inserimento nel sistema riproduttivo delle élite scientifiche.
Ed è grazie alla combinazione di queste tre prospettive che la ricerca diventa, per le scienze fisiche, un mestiere (quasi) come un altro, ovvero dotato di norme ed esplicitazioni per quanto riguarda la socializzazione, le certificazioni e l’organizzazione delle carriere.
Cosa fare?
Cosa fare adesso? La tesi che oggi sono qui a sostenere porta con sé ancora molti angoli bui. Innanzitutto, al di là del rammarico per aver dovuto abbandonare il confronto, ho potuto affrontare i legami con l’industria solo attraverso il caso delle tesi di ingegneria. Il ruolo delle imprese può comunque essere particolarmente importante. Penso al caso della chimica, disciplina in cui senza dubbio le richieste industriali hanno avuto conseguenze sia sulle prospettive di ricerca adottate che sui dispositivi di formazione alla ricerca utilizzati. Non ho avuto il tempo di elaborare i dati che i ringraziamenti delle tesi contengono a questo riguardo, ma sicuramente permetteranno, a breve termine, di impostare nuove linee di ricerca – sperando che gli archivi delle imprese coinvolte siano accessibili (a prescindere da qualsiasi quantificazione, imprese come la Compagnie générale de télégraphie sans fil (CSF), Rousse-UCLAF o Péchiney hanno avuto un ruolo indiscutibile). Questa questione dovrebbe essere allargata anche agli organismi di ricerca che non vengono considerati nel sistema educativo nazionale, in particolare il Commissariat à l’énergie atomique e il Centre national d’étude des télécommunications – istituto di cui è già stato affrontato lo studio da François Jacq e Michel Atten, ma di cui i collegamenti con il resto del campo scientifico restano ancora da chiarire. In entrambi i casi, l’imminente deposito degli archivi personali di Yves Rocard presso la biblioteca dell’ENS dovrebbe consentire lavori rivelatori a partire dal caso di un grande proprietario proprio sfruttando i suoi legami con spazi sociali molto diversi. Approfitto dell’occasione per esprimere un altro rammarico: mi rendo conto, rileggendo, che le facoltà che si trovano fuori Parigi non hanno ricevuto, nella redazione del mio lavoro, la stessa attenzione che ho dedicato a quelle al suo interno…
Al di là di questi approfondimenti, comunque, più a lungo termine il mio obiettivo è quello di affrontare lo studio della medicina universitaria. Con lo sviluppo della ricerca biomedica che entra in concorrenza con le norme di un mondo fondato sulla clinica, con il riavvicinamento delle carriere ospedaliere e universitarie fino alla riforma del 1958 che crea i CHU[↩], questo settore, produttore di numerosi archivi, lascia sperare in un magnifico nuovo terreno di ricerca dove testare, affinare e modificare le prospettive proposte in questa tesi.
Sperando che questa presentazione abbia chiarito il procedimento che ho seguito, vi ringrazio per la vostra attenzione e rimango a disposizione per rispondere alle vostre domande.
- In italiano: «Il cuore della Normale Superiore batte nei letterati della rue d’Ulm, di Péguy fino ai nostri giorni». [↩]
- «Ecole normale supérieure. [↩]
- Concorso per l’insegnamento superiore in Francia [↩]
- Centre hospitalier Universitaire, sono ospedali che possono far parte di un’università o aver stipulato una convenzione con la stessa e che permettono la formazione di operatori medici e personale paramedico. [↩]
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