Parole in storia: RADIO LIBERE
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L’espressione “radio libere” ha origine in Italia a partire dalla metà degli anni Settanta per indicare quella parte della nascente radiofonia privata che agiva non solo a scopo commerciale e di puro intrattenimento, ma puntava a utilizzare lo strumento radiofonico per scopi politici e sociali. L’espressione era stata coniata per sottolineare la libertà da ogni vincolo istituzionale in materia di programmazione e impegno civile. Infatti, fino alla sentenza della Corte costituzionale del luglio 1976, la legge riservava all’ente pubblico l’esclusiva di trasmettere sul territorio italiano. In particolare, l’aggettivo “libere” si riferiva sia ai limiti posti dal monopolio (censura, mancanza di pluralismo, impossibilità di accesso per le minoranze e per la comunicazione locale), sia alle opportunità di innovazione sancite dallo sfruttamento delle onde radiofoniche da parte di soggetti privati, movimenti politici, enti e associazioni che fino a quel momento erano stati tenuti ai margini della comunicazione audiovisiva (produzione di contenuti, rapporto tra emittenti e riceventi, diffusione di musica, toni e contenuti parlati, al di fuori dell’impostazione ingessata e tradizionale della radio pubblica)[1]. Espressioni come “libertà d’antenna” ed “emittenti libere” indicavano proprio questa volontà di liberalizzare il settore e renderlo accessibile a una moltitudine di attori differenti.
Il connotato libertario del termine risaliva agli sviluppi dei movimenti del Sessantotto che si erano dotati di strumenti di comunicazione scritti, autofinanziati e autoprodotti sfruttando il ciclostile – riviste, manifesti (a mano e serigrafati) e quotidiani. Le innovazioni tecnologiche nell’ambito della radio rendevano accessibili, a costi relativamente economici e in assenza di avanzate conoscenze, le diffusioni radiofoniche in ambito locale, favorendo la nascita nel giro di pochi anni di migliaia di esperienze diffuse su tutto il territorio nazionale, in aree metropolitane come in aree di provincia, rendendo l’Italia un vero e proprio laboratorio di sperimentazione radiofonica che ne faceva il secondo Paese al mondo per rapporto tra numero di emittenti e abitanti. Nel 1979 si registravano in Italia oltre 2600 stazioni e il Paese era secondo solo agli Stati Uniti che vantavano da decenni una legislazione che favoriva ampiamente la libertà di emittenza privata mentre in Italia fino al luglio 1976 le trasmissioni radiotelevisive erano monopolio dello Stato.
Prima dell’avvento delle radio libere, le uniche radio non Rai che trasmettevano in alcune porzioni del territorio nazionale erano Radio Monte Carlo e Radio Capodistria. Al di là di queste, la prima esperienza capace di incrinare il monopolio scelse esplicitamente di rivendicare la libertà di antenna a partire dal nome di Radio Sicilia Libera. L’emittente nacque grazie all’iniziativa di Danilo Dolci, che nell’ambito del suo impegno in sostegno delle popolazioni della Sicilia occidentale duramente colpite dal terremoto del 1968, usò la radio per denunciare i ritardi dei soccorsi e la mancata ricostruzione con una trasmissione speciale di 24 ore nel marzo 1970. Il programma e l’esperimento della radio furono prontamente ridotti al silenzio dall’intervento delle autorità. Sempre nel 1968, attraverso Radio Gap, militanti di Lotta Continua a Trento interruppero per alcune sere le trasmissioni del telegiornale del primo canale televisivo per lanciare messaggi radio non autorizzati, definiti messaggi “partigiani” dagli stessi militanti, sottolineando il carattere eversivo del trasmettere senza chiedere permesso allo Stato[2]. Senza chiedere permesso era proprio il titolo di un fortunato pamphlet curato dal regista Roberto Faenza nel 1973 che illustrava come era possibile creare una radio locale in alternativa alla radio nazionale della Rai a costi limitati[3]. Dal 1975 iniziarono così a proliferare numerosi esperimenti di radio locali promosse da movimenti politici, associazioni, gruppi spontanei generalmente nell’ambito della sinistra extraparlamentare come strumento di controinformazione. Non solo, anche giovani che non avevano alcuna finalità politica, ma volevano semplicemente diffondere la propria musica preferita, che non trovava spazio nei rigidi palinsesti della radio pubblica, promossero esperimenti radiofonici.
Il carattere fuorilegge di queste iniziative che operavano in clandestinità portava la stampa a interessarsene e a definirle libere, fino a quando i numerosi sequestri delle attrezzature e le denunce ai pretori portarono la Corte costituzionale a emettere una storica sentenza che nel luglio 1976 dichiarava legittime le radio e le televisioni via etere purché «di portata non eccedente l’ambito locale»[4]. Una definizione rimasta a lungo incerta che, se da un lato favorì la proliferazione di stazioni radio locali, dall’altro introduceva un vuoto normativo che sarebbe stato colmato soltanto con la legge Mammì del 1990, che finiva con il fotografare una situazione esistente[5]. Da quel momento con l’espressione “radio libere” si indicavano una moltitudine di esperienze diverse che possono essere in estrema sintesi e con grande schematismo essere ricondotte ad almeno tre tipologie: le radio di movimento o radio democratiche, espressione di realtà politiche, partitiche, di movimento o sindacali (come tra le più note Radio Città Futura, Radio Radicale e Radio Onda Rossa a Roma, Radio Alice a Bologna, Radio Popolare a Milano); le radio commerciali musicali e di intrattenimento, che basavano i propri introiti su forme di pubblicità e, attraverso una programmazione centrata sulla proposta musicale e l’intrattenimento parlato, esprimevano una tendenza di evasione leggera identificandosi con stili musicali e di comportamento delle giovani generazioni (si pensi a Radio Milano International e Studio 105 a Milano, Radio Dimensione Suono a Roma e Radio Kiss Kiss a Napoli); le radio localistiche, radicate in una comunità e un territorio specifici, che attraverso la radio davano espressione all’identità locale e alla cultura di origine, trasmettendo contenuti tipici come musica tradizionale, l’uso del dialetto, senza una particolare mediazione degli interventi in diretta[6].
Il termine libere può rivestire dunque una differenza o assonanza rispetto agli aggettivi locale e privata, ma esprime comunque una contrarietà rispetto al carattere nazionale della radiofonica pubblica. Questo termine è stato spesso associato alle radio di movimento dei gruppi politici degli anni Settanta, nonostante esse rappresentassero soltanto circa un terzo delle emittenti nate in quel periodo. Ciò anche perché alcuni degli episodi più celebri di questa epopea riguardavano nello specifico questa tipologia di stazioni: si pensi per esempio alla chiusura in diretta di Radio Alice a Bologna nel marzo del 1977, accusata di guidare le manifestazioni di protesta degli studenti nei giorni successivi all’uccisione dello studente Francesco Lorusso[7], oppure all’assalto militare a Radio Città Futura a Roma da parte dei Nar nel gennaio 1979. Su un altro versante, la libertà e l’audacia dei contenuti connotò alcune esperienze specifiche come nel caso di Radio Aut a Cinisi, in provincia di Palermo, dalla quale il militante Peppino Impastato denunciava le attività del potere mafioso nel territorio. Radio Aut sarebbe rimasta per sempre legata al nome del suo fondatore ucciso il 9 maggio del 1978 dallo stesso potere che criticava con i suoi programmi[8]. Altre stazioni come Radio Onda Rossa, la voce dell’Autonomia Operaia a Roma, rifiutavano categoricamente l’etichetta di radio libera preferendo la definizione di radio militante[9]. Radio Radicale, sempre nella capitale, rivendicava l’aggettivo in nome di una libertà di parola e di informazione, che da quel momento ne sarebbe diventata la sua cifra distintiva dando ampio risalto agli eventi pubblici nazionali a cominciare dalla trasmissione delle dirette dei lavori parlamentari[10]. Più in generale si può sostenere che il termine radio libere è rimasto indissolubilmente legato a un’epoca ormai trascorsa, indicando quella libertà tanto a livello istituzionale che soprattutto nei contenuti, nei toni e nella possibilità di accesso alla radio attraverso il microfono aperto, il carattere spontaneo e artigianale della produzione, l’uso di un linguaggio immediato e spesso senza un controllo preventivo, palinsesti improvvisati e scelte musicali originali e al di fuori delle logiche discografiche che si sarebbero affermate negli anni successivi. La canzone di Eugenio Finardi La radio, scritta nel 1976, può essere considerata un manifesto di quella stagione proprio perché insiste sul significato che veniva attribuito alla radio libera: «Amo la radio perché arriva dalla gente/ Entra nelle case e ci parla direttamente/ E se una radio è libera, ma libera veramente/ Mi piace anche di più perché libera la mente»[11]. A livello internazionale occorre ricordare come non casualmente nel 1967 in Inghilterra davanti agli interventi repressivi delle autorità britanniche nasceva Free Radio Association, il movimento in difesa delle radio pirata inglesi sorte negli anni precedenti come Radio Caroline e Radio London, le cui vicende sono state narrate nel film The Boat That Rocked (I Love Radio Rock) di Richard Curtis che ha contribuito a celebrare la fase pionieristica della radiofonia alternativa inglese[12]. In Francia a partire dal 1977 l’espressione radios libres, sarebbe stata usata per designare un fenomeno fortemente influenzato dal precedente italiano definendo in questo modo tutte le trasmissioni “pirata” che contravvenivano al monopolio, avviando un lungo braccio di ferro tra i pionieri della radio indipendente e il potere statale che sarebbe terminato soltanto nel 1981 dopo l’elezione di Francois Mitterrand[13]; le radio venivano inserite in un quadro normativo definito che poneva fine al monopolio, quando il termine libres sarebbe stato sostituito da quello più neutro di radio locales privées, a indicare una connotazione centrata sul carattere non pubblico e riservato a una comunicazione locale.
Con l’avvento della rete Internet e la nascita delle web-radio le motivazioni che erano state all’origine delle radio libere degli anni Settanta sono ritornate di attualità, dimostrando ancora una volta l’immediatezza e la spontaneità comunicativa di un medium come la radio, capace più di altri di favorire la circolazione e la diffusione di contenuti parlati e musicali che testimonia le potenzialità di uno strumento che ha superato il secolo di esistenza e appare destinato a un futuro significativo e centrale in un panorama mediatico in continua evoluzione.
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NOTE
[1] ORTOLEVA, Peppino, Introduzione, ORTOLEVA, Peppino, CORDONI, Giovanni, VERNA, Nicoletta (a cura di), Radio Fm 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna, Bologna, Minerva, 2006, pp. 21-23. ↑
[2] PALUMBO, Raffaele, s.v. «Movimenti e radio», in ORTOLEVA, Peppino, SCARAMUCCI, Barbara (a cura di), Enciclopedia della radio, Milano, Garzanti, 2003, pp. 518-519. ↑
[3] FAENZA, Roberto (a cura di), Senza chiedere permesso. Come rivoluzione l’informazione, Milano, Feltrinelli, 1973. ↑
[4] Sentenza Corte Costituzionale n. 202, 28 luglio 1976. ↑
[5] ANANIA, Francesca, Breve storia della radio e della televisione italiana, Roma, Carocci, 2004, pp. 109-110. ↑
[6] MONTELEONE, Franco, Storia della radio e della televisione in Italia. Costume, società e politica, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 392-396. ↑
[7] COLLETTIVO A/TRAVERSO, Alice è il diavolo. Storia di una radio sovversiva, Milano, Shake Edizioni, 2002. ↑
[8] Radio Aut. Materiali di un’esperienza di controinformazione, VITALE, Salvo (a cura di), Roma, Edizioni Alegre, 2008. ↑
[9] Sull’esperienza di ROR si veda CORASANITI, Salvatore, Volsci. I Comitati autonomi operai romani negli anni Settanta (1971-1980), Firenze, Le Monnier, 2021. ↑
[10] MENDUNI, Enrico, Il mondo della radio. Dal transistor a Internet, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 208-209. ↑
[11] FINARDI, Eugenio, La radio, in Sugo, Cramps, 1976. ↑
[12] CURTIS, Richard, The Boat That Rocked, Studio Canal – Working Title Films, Regno Unito – Germania – Francia, 2009, 135’. ↑
[13] LEFEBVRE, Thierry, La bataille des radios libres 1977-1981, Paris, Nouveau Monde Éditions, 2008. ↑
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Bibliografia essenziale
- DARK, Stefano, Libere! L’epopea delle radio italiane degli anni ’70, Viterbo, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2009.
- DORO, Raffaello Ares, In onda. L’Italia dalle radio libere ai network nazionali (1970-1990), Roma, Viella, 2017.
- GAIDO, Marco, Radio libere? La prima vera inchiesta e storia delle radio libere in Italia, Roma, Arcana, 1976.
- HUTTER, Paolo, Piccole antenne crescono: documenti, interventi e proposte sulla vita delle radio di movimento, Roma, Savelli, 1978.
- LEFEBVRE, Thierry, La bataille des radios libres 1977-1981, Paris, Nouveau Monde Éditions, 2008.
- LEFEBVRE, Thierry, POULAIN, Sébastien (sous la direction de), Radios libres, 30 ans de FM. La parole libérée?, Paris, L’Harmattan, 2016.
- MACALI, Giuseppe, Meglio tardi che RAI, Savelli, Roma, 1977.
- MENDUNI, Enrico, Il mondo della radio. Dal transistor a Internet, Bologna, Il Mulino, 2001.
- MONTELEONE, Franco, Storia della radio e della televisione in Italia. Costume, società e politica, Venezia, Marsilio, 2006.
- ORTOLEVA, Peppino, CORDONI, Giovanni, VERNA, Nicoletta (a cura di), Radio Fm 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna, Bologna, Minerva, 2006.
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Galleria di immagini
Credits
- Immagine 1: Radio Blackout stencil outside Politecnico di Torino #walkingtoworktoday by jcrakow on Flickr (CC BY 2.0)
- Immagine 2: Zendschip Radio Caroline in haven van Amsterdam, Kapitein Van der Kamp (links) in gesprek met politie – Nationaal Archief on Wikimedia Commons [Public Domain].
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Videografia
1. Radio Milano InternationalIntervista RAI del 1976 – La prima radio libera Italiana |
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2. La radioEugenio Finardi, Sugo, 1976 |
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