Parole in storia: RAZZISMO AMBIENTALE
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Secondo la definizione coniata dal leader statunitense per i diritti civili Benjamin Chavis nel 1982 il razzismo ambientale consiste nella discriminazione razziale che avviene nella scelta
delle politiche ambientali, nell’applicazione dei regolamenti e delle leggi, nell’individuazione sistematica delle comunità di colore per l’ubicazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti tossici, nel sancire ufficialmente la presenza di veleni e sostanze inquinanti potenzialmente letali nelle nostre comunità, e nella storia di esclusione delle persone di colore dalla leadership dei movimenti ecologici [1].
La geografa statunitense Laura Pulido, studiando in prospettiva storica la distribuzione di rischi e inquinamento ambientale nella città di Los Angeles, ha completato questa definizione mostrando come le forme di razzismo strutturale e meno consapevoli legate al «white privilege» determinano una organizzazione spaziale e ambientale basata sulla discriminazione etnica. Ne consegue che si considera razzismo ambientale qualsiasi politica, pratica o direttiva che colpisca o crei svantaggi, intenzionalmente o meno, nei confronti di individui, gruppi o comunità sulla base della razza e del colore [2].
Ma le comunità vulnerabili lo sono principalmente per la loro condizione di povertà o per la loro appartenenza a gruppi discriminati sulla base della propria origine? Fattori etnici e fattori socio-economici si intrecciano nel determinare le cosiddette «sacrifice zones» [3], cioè aree e comunità esposte a inquinamento e rischi ambientali più alti rispetto alla media regionale o nazionale. La sovrapposizione e la profonda interconnessione di questi fattori può rendere complicato definire quale sia la causa primaria dell’ingiustizia ambientale. I contesti storico-geografici, in cui le diverse forme di ingiustizia avvengono, forniscono tuttavia elementi centrali per comprendere quale sia l’elemento di discriminazione predominante. Negli Stati Uniti, dove per primi i riflettori sul tema del razzismo ambientale si sono accesi a partire dagli anni Settanta in risposta a evidenze sempre più drammatiche e urgenti sullo stato di salute delle comunità maggiormente esposte ad agenti inquinanti, numerosi studi hanno sin da subito portato alla luce come la “razza” fosse il fattore principale nel predire dove determinati siti industriali sarebbero sorti.
Snodo fondamentale di questo percorso di presa di consapevolezza e denuncia è stato lo studio del 1987 intitolato Toxic Waste and Race in the United States frutto della Commissione sulla giustizia razziale della United Church of Christ. Di pochi anni più tardi è il testo di Robert Bullard Dumping in Dixie (1990) [4], divenuto un classico della letteratura sul tema, in quanto primo contributo importante sul razzismo ambientale che «collegava l’ubicazione degli impianti pericolosi con i pattern storici di segregazione razziale nella parte meridionale degli Stati Uniti» [5]. Il razzismo risulta così «elemento costitutivo delle strutture sociali e istituzionali del paese, ne permea i processi economici e produttivi, le politiche statali e i processi normativi, e di conseguenza pervade l’assetto urbanistico, la configurazione dell’ambiente, l’organizzazione del territorio, la salute ambientale» [6].
Il fascicolo monografico di «Socioscapes. International Journal of Societies, Politics and Cultures» dal titolo Razzismo, Ambiente, Salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute (2022), a cura di Fabio Perocco e Francesca Rosignoli, è uno strumento particolarmente utile per ripercorrere alcuni degli aspetti fondamentali che definiscono il fenomeno del “razzismo ambientale”, a partire dalla nascita e dall’evoluzione storica del concetto, fino ad arrivare agli anni a noi più vicini. La pandemia di Covid-19 ha infatti messo drammaticamente in evidenza come consolidate strutture socio-economiche, tutt’altro che neutre ma ideologicamente prodotte, continuino ad avere effetti sulla qualità della vita di gruppi vulnerabili in diverse aree del pianeta. Antiche dinamiche, che sembrano difficili da spezzare, si ripresentano in contesti contemporanei e tra loro lontani. Il mosaico di saggi pubblicati nel monografico restituisce la complessità e i nodi principali del dibattito intorno al razzismo ambientale, ed è importante perché introduce un tema ancora poco noto nel contesto italiano, seppure anche il nostro paese non sia esente da fenomeni analoghi e da lotte che rivendicano il diritto a un ambiente salubre [7]. Anche se il razzismo ambientale è stato teorizzato solo a partire dagli anni Ottanta, esso è il prodotto di processi storici di lungo corso. Due contributi del monografico menzionato analizzano il caso emblematico della Foresta Amazzonica e forniscono una base empirica per dimostrare le caratteristiche del razzismo ambientale [8]. Si tratta di una forma specifica di disuguaglianza ambientale, in cui confluiscono in modo sistemico, da un lato, gli effetti di un’economia di mercato che per sostenersi e auto-riprodursi necessita di un continuo e sempre maggiore sfruttamento delle risorse naturali e, dall’altro, gli atteggiamenti e i comportamenti di quello che viene definito razzismo istituzionale. A questo riguardo, risulta sempre più fondamentale individuare, rendere esplicite e scardinare le pratiche e gli approcci istituzionali che, apparentemente neutri, di fatto hanno integrato visioni discriminatorie nei confronti di individui e gruppi sulla base della “razza”, dell’origine etnica, del colore della pelle. Come ben riassumono Robert J. Brulle e David N. Pellow [9], «le due dinamiche sociali che creano sistematicamente la disuguaglianza sociale sono il funzionamento dell’economia di mercato e il razzismo istituzionalizzato».
Individuare e accertare casi di razzismo ambientale non sono operazioni lineari, innanzitutto per la difficoltà di dimostrare l’esistenza di stringenti e univoci rapporti di causa ed effetto tra esposizione a una fonte inquinante e malattia. Infatti, i danni provocati dall’esposizione all’inquinamento possono rimanere dormienti per anni ed è inoltre complicato tenerli distinti da quelli causati dai comportamenti individuali, nonché dalle diverse possibilità di accesso alle cure mediche. Tutti questi aspetti si riflettono a loro volta sulla difficile individuazione di indicatori statistici e quindi sulla possibilità di raccogliere dati utili per costruire ipotesi di ricerca. Infine, non si può non riconoscere che una parte della letteratura sui temi di giustizia ambientale è, comprensibilmente, di carattere militante e deve ancora sviluppare una vera e propria componente critica. Queste considerazioni di natura epistemologica valgono quando si muove dall’idea di scienza e di ricerca scientifica tipica della tradizione occidentale che, come evidenziano Brulle e Pillow, «creando un discorso tecnocratico neutrale rispetto ai valori […], rimuove le considerazioni morali dalle politiche pubbliche e ha lo scopo di mettere a tacere le comunità» [10].
L’approcciarsi alle questioni del razzismo e della giustizia ambientale richiede un capovolgimento di prospettiva anche rispetto alla accettazione di altre forme di produzione di saperi. La scienza è essa stessa una istituzione, il risultato di precisi processi storico-culturali, nonché il riflesso di determinate strutture di potere. Da qui è nata, tramite il ruolo fondamentale dell’attivismo ambientale, l’esigenza di sviluppare quella che è stata definita «epidemiologia popolare», ovvero un «modo di rendere democratiche le pratiche scientifiche associate con la documentazione, l’analisi, e la rendicontazione della sanità pubblica» [11]. . L’obiettivo consiste, quindi, nella co-produzione di una nuova forma di conoscenza che tenga conto non solo del contributo della ricerca scientifica di derivazione illuminista, ma anche del profondo portato di esperienze e saperi trasmessi dalle popolazioni che vivono un determinato ambiente da generazioni e che sono in grado di registrare cambiamenti al di là della codificazione scientifico-tecnologica.
Il ruolo delle comunità locali è centrale nelle lotte per la giustizia ambientale. Emblematica è la resistenza delle popolazioni indigene in Brasile e il loro impegno, anche a costo della vita, nel difendere vaste zone della Foresta Amazzonica da uno sfruttamento perfettamente inserito nel sistema capitalistico. Il sistema Brasile mostra come differenze etniche, danni ambientali e squilibri economici globali e locali producano forme di razzismo ambientale.
The country exports primary products and imports manufactured ones, a fact that evidences the historical transfer of wealth that triggers a series of social and environmental impacts and conflict, mainly; a) the withdrawal of natural assets; b) environmental disasters and crimes; c) impacts on the health of rural populations […]; d) wealth and land concentration; e) biodiversity loss due to deforestation, monoculture production and indigenous territory invasions [12].
Gli anni della pandemia Covid-19 hanno reso particolarmente evidente lo stretto rapporto tra razzismo ambientale e salute pubblica. Gli studi che cominciano ad analizzare l’impatto della pandemia in diverse zone del mondo sottolineano il modo in cui l’«accumulo intergenerazionale del razzismo sistemico ha influito su risultati sanitari» [13]. In riferimento a Regno Unito e Stati Uniti, primi dati e ricerche disponibili mettono in evidenza come le probabilità di ammalarsi e morire di Covid-19 siano state nettamente più alte per comunità nere e asiatiche, per altre minoranze, per le popolazioni indigene. Diversi fattori sono andati a sovrapporsi: il maggiore inquinamento ambientale a cui questi gruppi sono sottoposti nelle zone di residenza, l’alta densità di popolazione in queste stesse aree e la scarsa assistenza sanitaria. Una ricerca condotta da Pamela J. Lein insieme ad altri/e autori e autrici individua infine un altro fattore, ovvero «l’aumento dell’esposizione al virus» osservando come
gli individui delle comunità svantaggiate spesso non hanno le risorse per lavorare da casa o sono impiegati in lavori che non possono essere svolti da remoto. Inoltre, le comunità svantaggiate usufruiscono maggiormente dei mezzi pubblici, spesso vivono in appartamenti angusti con un unico bagno o case multigenerazionali, e frequentemente devono continuare a lavorare anche ciò avviene in ambienti a rischio [14].
Ancora una volta non si è di fronte a dati neutri, ma a dati che sono il risultato di approcci razzisti di lungo termine che si sono concretizzati in politiche di urbanizzazione segregazionista. Ed è proprio la segregazione razziale, come sottolineano Perocco e Rosignoli, a costituire «una delle maggiori cause della creazione e del mantenimento della disuguaglianza ambientale perché i governi e le aziende cercano spesso il percorso della minore resistenza quando devono collocare gli impianti inquinanti in contesti urbani e rurali» [15]. Quanto accaduto col Covid-19 non è certamente inedito, ma l’estensione della pandemia ha reso visibili le conseguenze sanitarie del razzismo ambientale al di fuori di confini circoscritti e lontani. Un precedente importante in questo senso è quanto accaduto in Sudafrica, terribilmente colpito a partire dagli anni Ottanta del Novecento dall’epidemia di Aids che si era abbattuta in particolare sulla popolazione di colore. Proprio le condizioni di segregazione razziale avevano tragicamente determinato lo sviluppo della malattia:
l’urbanizzazione segregazionista, la concentrazione abitativa di lavoratori perlopiù di sesso maschile in aree industriali e minerarie, la sovrappopolazione e la promiscuità delle township urbane, la mancanza di servizi fognari e di acqua potabile, la violenza e l’abuso sessuale, il limitato accesso alle cure mediche [16].
Al termine della ricostruzione, seppur parziale, dei tanti fattori che definiscono il fenomeno del razzismo ambientale, emerge la domanda su come si possa spezzare un circolo vizioso che pare auto-alimentarsi senza sosta. Per auspicare un cambiamento, è necessario cominciare a immaginare e attuare politiche pubbliche che propongano modelli alternativi. Spunti significativi possono essere ripresi dal movimento ambientalista statunitense che ha nel tempo elaborato pratiche innovative nell’ambito «dell’approvvigionamento alimentare, delle azioni di ripristino ambientale locale, dei programmi di sanità pubblica, e della riduzione dell’inquinamento» [17]. Tutto questo nella consapevolezza che il nocciolo profondo che ha determinato e determina questo stato di cose è frutto di una scelta ideologica e che i problemi del razzismo, anche ambientale, «sono radicati fondamentalmente nel modo in cui è organizzata la società umana», come sosteneva il sociologico Ulrich Beck già nel 1986 [18].
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NOTE
[1] Cit. in BRULLE, Robert J., PELLOW, David N., «Giustizia ambientale: salute umana e disuguaglianze ambientali», in Socioscapes. International Journal of Societies, Politics and Culture : Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, 3, 1/2022, pp. 37-70, p. 39, URL: < http://www.socioscapes.org/index.php/sc/article/view/132/79 > [consultato il 23 giugno 2023]. ↑
[2] PULIDO, Laura, «Rethinking Environmental Racism: White Privilege and Urban Development in Southern California», in Annals of the Association of American Geographers, 90, 1/2000, pp. 12-40. ↑
[3] Per un approfondimento si rimanda all’articolo RUSKUS, Ryan, «Sacrifice Zones: A Genealogy and Analysis of an Environmental Justice Concept», in Environmental Humanities, 15, 1/2023, pp. 3-24, URL: < https://read.dukeupress.edu/environmental-humanities/article/15/1/3/343379/Sacrifice-ZonesA-Genealogy-and-Analysis-of-an > [consultato il 23 giugno 2023].
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[4] BULLARD, Robert, Dumping in Dixie: Race, Class, and Environmental Quality, Boulder (CO), Westview, 1990. ↑
[5] BRULLE, Robert J., PELLOW, David N., «Giustizia ambientale: salute umana e disuguaglianze ambientali», cit., p. 40. ↑
[6] PEROCCO, Fabio, ROSIGNOLI, Francesca, «“Sulla nostra pelle”: razzismo ambientale e disuguaglianze di salute», in Socioscapes. International Journal of Societies, Politics and Culture : Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, 3, 1/2022, pp. 7-36, p. 16, URL: < http://www.socioscapes.org/index.php/sc/article/view/131/77 > [consultato il 23 giugno 2023]. ↑
[7] Per un approfondimento si rimanda al volume ARMIERO, Marco (a cura di), Teresa e le altre. Storie di donne nella Terra dei fuochi, Milano, Jaca Book, 2014. ↑
[8] MARLI RODRIGUES DE ANDRADE, Francisca, DUDRA DO CARMO, Eunápio, HENRIQUES, Alen Batista, «Environmental Racism Dynamics in the Amazon Region, in Pará State: Impact of Agribuisiness and Mining Activities on the Lives and Health of Tradition Populations», in Socioscapes. International Journal of Societies, Politics and Culture : Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, 3, 1/2022, monografico, pp. 71-106, URL: < http://www.socioscapes.org/index.php/sc/article/view/99/78 > [consultato il 23 giugno 2023]; PASSOS, Rita Maria da Silva, «Mining in Brazil and Environmental Racism: The Case of the Rio Doce Basin», in Socioscapes. International Journal of Societies, Politics and Culture : Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, 3, 1/2022, pp. 107-131, URL: < http://www.socioscapes.org/index.php/sc/article/view/105 > [consultato il 23 giugno 2023]. ↑
[9] BRULLE, Robert J., PELLOW, David N., «Giustizia ambientale: salute umana e disuguaglianze ambientali», cit., p. 44. ↑
[10] Ibidem, p. 55. ↑
[11] Ibidem. ↑
[12] «Il Paese esporta risorse primarie e importa prodotti lavorati, fatto che dimostra come lo storico trasferimento di ricchezza inneschi una serie di ricadute sociali e ambientali nonché di conflitti, in particolare; a) l’impoverimento delle risorse naturali; b) i disastri e reati ambientali; c) le conseguenze sulla salute delle popolazioni rurali […]; d) la concentrazione nelle mani di pochi di ricchezza e terra; e) la perdita di biodiversità a causa di deforestazione, monocoltura ed delle invasioni dei territori indigeno». Ibidem, p. 97, traduzione dell’autrice. ↑
[13] Ibidem, p. 235. ↑
[14] Ibidem, p. 236., New York, Dutton, 1979. ↑
[15] Ibidem, p. 46. ↑
[16] Ibidem, p. 217. ↑
[17] Ibidem, p. 57. ↑
[18] Cit. in ibidem, pp. 43-44. ↑
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Bibliografia essenziale
- ARMIERO, Marco (a cura di), Teresa e le altre. Storie di donne nella Terra dei fuochi, Milano, Jaca Book, 2014.
- BULLARD, Robert, Dumping in Dixie: Race, Class, and Environmental Quality, Boulder (CO), Westview, 1990.
- NIXON, Rob, Slow Violence and the Environmentalism of the Poor, Harvard, Harvard University Press, 2013.
- PEROCCO, Fabio, ROSIGNOLI, Francesca, «Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute», Socioscapes. International Journal of Societies, Politics and Culture, 3, 1/2022, URL: < http://www.socioscapes.org/index.php/sc/issue/view/4 > [consultato il 23 giugno 2023].
- PULIDO, Laura, «Rethinking Environmental Racism: White Privilege and Urban Development in Southern California», in Annals of the Association of American Geographers, 90, 1/2000, pp. 12-40.
- ROSIGNOLI, Francesca, Giustizia ambientale. Come sono nate e cosa sono le disuguaglianze ambientali, Roma, Castelvecchi, 2020.
- RUSKUS, Ryan, «Sacrifice Zones: A Genealogy and Analysis of an Environmental Justice Concept», in Environmental Humanities, 15, 1/2023, pp. 3-24, URL: < https://read.dukeupress.edu/environmental-humanities/article/15/1/3/343379/Sacrifice-ZonesA-Genealogy-and-Analysis-of-an > [consultato il 23 giugno 2023].
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Sitografia
- Robert Bullard – Father of Environmental Justice, URL: < https://drrobertbullard.com/ > [consultato il 20 giugno 2023].
- EJOLT: Mapping Environmental Justice, URL: < http://www.ejolt.org/ > [consultato il 20 giugno 2023].
- Toxic Bios: A guerrilla narrative project, URL: < http://www.toxicbios.eu/#/stories > [consultato il 20 giugno 2023].
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Galleria di immagini
Credits
- Immagine 1: Roy Luck on Wikimedia Commons (CC BY-2.0)
- Immagine 2: Canada: Effects of Toxic Industries by ENRICH Project on AJLabs – Al Jazeera (CC BY-NC-SA).
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