L’atelier de l’historien-ne: post #47
Per la nuova rubrica L’atelier de l’historien-ne, questo mese proponiamo la traduzione del post «L’historien et l’iconographie du XVIIIe siècle», pubblicato sul blog Devenir historien-ne, curato da Emilien Ruiz.
La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.
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di Aurore Chery
Per lavorare sulla mia tesi dedicata a Luigi XV e Luigi XVI mi sono basata su un corpus di fonti in gran parte iconografico. Da lì in poi ho stranamente notato di essere considerata più una storica dell’arte che una storica e ciò non ha mancato di sorprendermi molto, perché è tanto tempo che l’iconografia è stata giustamente legittimata dalla comunità storica. Mi piacerebbe proporre una piccola riflessione su questo tipo di fonti, sulle modalità con cui approcciarvisi e la loro utilità, in particolar modo per quello che riguarda lo studio del XVIII secolo. Sono fondamentali per comprendere un periodo così impegnato sul fronte “Salone della pittura e della scultura”, in cui la tecnica dell’incisione si è diffusa e si è molto perfezionata. Vorrei cominciare partendo da un’osservazione di Olivier Blanc, uno storico conosciuto per il suo originale approccio al periodo – che mi sembra spesso molto pertinente, pur non condividendone tutte le conclusioni – nella sua opera Portraits de femmes. Artistes et modèles à l’époque de Marie-Antoinette:
Spesso, lo storico si limita ad accompagnare la riproduzione di un ritratto da un’analisi della tipologia di supporto, della tecnica di pittura, della provenienza della proprietà e più raramente del soggetto contestualizzato nel suo spazio-tempo o considerato come coproduttore della propria immagine, cosa che, dal punto di vista storico, non è priva di interesse [↩]
È esattamente sulla questione del soggetto come coproduttore della propria immagine che mi sono concentrata nella mia tesi. Durante l’Illuminismo, infatti, la rappresentazione reale tradizionale di cui Luigi XIV di Rigaud è emblema diventa sempre meno significativa. È ciò che meglio definisce il regno di Luigi XVI, durante il quale la rappresentazione del re si reinventa continuamente, appropriandosi di modelli sperimentati altrove in Europa. Si tratta di alimentare un realismo più popolare [↩], di far sbocciare un sentimentalismo a favore della famiglia reale, ispirandosi alla pittura di genere e privilegiando supporti di facile diffusione come la stampa. Così, ci colpisce la quantità di stampe raffiguranti Luigi XVI che si sono conservate (alla Bibliothèque Nationale de France come in altre collezioni europee) nonostante l’iconoclastia successiva alla Rivoluzione.
Ci sono due spiegazioni. Da una parte, il re la incoraggia più o meno esplicitamente; sia incaricando il suo primo valletto Thierry de Ville-d’Avray di sollecitare segretamente degli artisti per rappresentarlo, sia lasciando semplicemente che la sua immagine si diffonda a piacimento. Dall’altra
parte il realismo popolare, così stimolato, crea una domanda che sostiene un mercato che a sua volta genera un circolo virtuoso che inflaziona l’immagine del re.
In questo contesto, ci dispiace che quando l’iconografia contraddice la storiografia letteraria debba essere sempre la prima ad avere torto. La riflessione sarebbe molto più fruttuosa se ci interrogassimo sulla contraddizione: ne ho parlato in un’altra sede a proposito de l’Allégorie à la mort du dauphin di Lagrenée [↩].
È vero che l’immagine non è sempre facilmente interpretabile. Spesso ci mancano gli elementi di contesto e la comprensione dei doppi sensi visuali dell’epoca ed essendo questi solitamente poco eleganti e sessualmente espliciti, chi si occupa di studiarli rischia di essere un po’ frenato/a. Soprattutto nel caso delle incisioni, se è vero che sono molto analizzate dal punto di vista caricaturale per quello che riguarda il periodo rivoluzionario (Langlois, Duprat, De Baecque…), lo sono molto meno quando si tratta dei decenni precedenti, senza dubbio perché si è presupposto, a torto, che avessero un significato più esplicito.
In realtà, ad oggi, per interpretale meglio disponiamo di strumenti preziosi. Nonostante fossero spesso vendute singolarmente, gran parte delle incisioni del periodo prendevano spunto da pubblicazioni a cui servivano come frontespizio o illustrazioni, o come immagini corredate da un paratesto (annuncio di vendita, presentazioni critiche nei giornali…). Internet ci permette ormai di collegare le stampe a queste informazioni con molta più facilità, in modo da poterne trarre un’interpretazione più completa. L’immagine spesso dice molto più di quello che il solo testo lascerebbe intendere.
Fonte: Gallica / Bibliothèque nationale de France.
Prendiamo come esempio questa stampa risalente all’epoca del matrimonio del futuro Luigi XVI, l’Allégorie du mariage de Louis XVI et Marie-Antoinette di Charles Eisen e Joseph de Longueil.
Una ricerca ulteriore permette di scoprire che era servita da frontespizio all’opera del poeta Claude Joseph Dorat, Les Baisers, précédés du mois de Mai, pubblicata nel 1770. Si tratta della celebrazione dell’erotismo del bacio in ogni sua forma, nella tradizione di Ovidio: Le Mois de Mai è un’egloga alla gloria dell’amore coniugale e un omaggio al matrimonio principesco tenutosi il 16 maggio 1770. Dorat cercava di sviluppare la sua voluttuosa poesia verso una forma maggiormente compatibile con il periodo di irrigidimento morale che si stava avvicinando. Il frontespizio ci mostra anche la trasformazione della futura coppia reale in personaggi di finzione. Il poema onorava il loro matrimonio, ma lo faceva ricorrendo ad un universo in cui venivano confusi con ninfe vestite da pastorelle e altri pastori di fantasia. I costumi che sfoggiano nell’immagine li inseriscono completamente in questo mondo immaginario e la stretta compenetrazione tra realtà e finzione diventa un volano fondamentale della propaganda realista. Davanti al pubblico delle scene ispirate a La Nouvelle Héloïse [↩], la coppia si colloca sotto la protezione di un Enrico IV molto meno simile a colui di cui la storia ha conservato il ricordo di quanto non lo sia al personaggio della commedia di Collé, La Partie de chasse de Henri IV [↩].
La stampa, finalmente riassociata al testo che l’accompagnava, ci offre una nuova chiave interpretativa tramite cui comprendere la ricomposizione dell’immagine reale di questo periodo. Ci permette di cogliere una pietra miliare del processo che trasforma il potere in finzione, che non è poi altro che la riappropriazione del meccanismo del pamphlet, che consisteva nell’utilizzare la forma del racconto e il ricorrere a mondi fantastici per poter criticare dei personaggi la cui identità può essere indovinata attraverso simboli chiave. Anche se i pamphlet non erano scomparsi, si afferma sempre di più l’idea di lottare su un piano di parità, piuttosto che perseguire l’illusorio obiettivo di sradicarli.
Tramite l’esempio riportato possiamo constatare che raramente le immagini hanno un valore esclusivamente illustrativo. Generalmente rinforzano le informazioni su cui il testo non si sofferma e aggiungono senso, ma possono anche, occasionalmente, contraddirlo. Meritano quindi tutta l’attenzione dello/a storico/a, che può farne un’analisi che si spinge ben al di là dello studio dell’opera stessa e del suo contesto di produzione.
- BLANC, Olivier, Portraits de femmes. Artistes et modèles à l’époque de Marie-Antoinette, Paris, Carpentier, 2006, p. 5.
- Si veda il lavoro portato avanti da Anne Byrne sul realismo popolare francese della seconda metà del secolo.
- Cfr. l’articolo: CHERY, Aurore, «A propos de l’ “Allégorie à la mort du dauphin” de Lagrenée», in À travers champs, URL: < https://atravers.hypotheses.org/78 > [consultato il 22 agosto 2023].
- ROUSSEAU, Jean-Jacques, La Nouvelle Héloïse, Amsterdam, Marc-Michel Rey, 1761.
- La Partie de chasse de Henri IV, commedia in tre atti di Charles Collé, 1776.
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