ISSN: 2038-0925

L’atelier de l’historien-ne: post #50

Per la nuova rubrica L’atelier de l’historien-ne, questo mese proponiamo la traduzione del post «Diplomatie muséale britannique et restitution des objets d’art volés en Afrique : les plaques du royaume de Benin comme symboles d’une impasse», pubblicato sul blog “Carnets de Terrain”, blog della rivista Terrain.

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.

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Diplomazia museale britannica e restituzione delle opere d’arte rubate in Africa: le placche del Regno del Benin come simboli di un’impasse
5 novembre 2020

di Vincent Hiribarren

Il post è stato pubblicato in collaborazione con il blog Libération Africa4. Regards croisés sur l’Afrique, tenuto da Vincent Hiribarren e Jean-Pierre Bat

Pubblicato il 5 novembre 2020, Brutish Museum è un libro in favore della restituzione delle opere d’arte depredate dai britannici durante il periodo coloniale. Scritto da Dan Hicks, professore di archeologia all’università di Oxford e curatore museale del Pitt-Rivers Museum, il libro si concentra in modo particolare sull’emblematico caso delle placche del Regno del Benin, di cui alcuni esemplari si trovano ancora al British Museum.

Placca di ottone del Regno del Benin attualmente conservata presso il British Museum.

Fonte: fotografia de 2009, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0.

Il 7 giugno 2020, alcuni militanti antirazzisti britannici hanno gettato nel porto di Bristol la statua di Edward Colston, negoziante del XVIII secolo arricchitosi con il commercio schiavista. Nel Regno Unito si è allora aperto un dibattito riguardante la posizione del paese durante lo schiavismo, ma è stata accuratamente evitata qualsiasi riflessione sul suo più recente passato coloniale. Per saperlo non è neanche necessario leggere il giornale populista e conservatore «The Daily Mail», infatti, nei diversi livelli della società orgoglio nazionalista e ignoranza della storia del paese si intrecciano. A inizio 2020 i risultati del sondaggio YouGov[] tra la popolazione britannica indicano che il 32% delle persone intervistate considerano il passato imperiale più come motivo di orgoglio che di vergogna. L’esempio delle placche del Regno del Benin, a sud dell’attuale Nigeria, illustra perfettamente questa discrepanza tra storia coloniale e memoria contemporanea.
Queste placche provengono da un saccheggio coloniale come tanti altri. Nel febbraio 1897, delle truppe britanniche razziarono la città di Benin (oggi Benin city, nello Stato di Edo in Nigeria), allora capitale dello Stato che porta il medesimo nome e la cui storia risale al XIV secolo. Per finanziare la spedizione militare gli ufficiali che realizzarono il saccheggio della città vendettero tutti gli oggetti ritrovati all’interno del palazzo dell’Oba, il re del Benin. È proprio per questa ragione che nel 2020 le placche si ritrovano disperse ai quattro angoli del mondo (occidentale). Oggi è possibile ammirare il bottino della razzia in collezioni private di cui conosciamo la riservatezza, o all’interno di musei di livello internazionale come il British Museum o quelli di città come Berlino, Boston, Dresda, Amburgo, New York, Oxford, Parigi o Vienna… La provenienza di queste placche, contrariamente a quella di altri oggetti presenti nei musei europei che non per forza sono stati rubati, non lascia spazio ad alcun dubbio.

Soldati britannici davanti al bottino razziato in occasione del sacco del Benin del 1897, fotografia del Dr Robert Allman, estrazione con gelatina-bromuro d’argento, 16,50 cm x 12 cm, a disposizione sul sito del British Museum, Af, A79.13.

Fonte: URL: < https://www.britishmuseum.org/collection/object/EA_Af-A79-1 >.

Anche nel film Black Panther (2018) di R. Coogler viene rappresentata una scena che denuncia la presenza, all’interno dei musei occidentali, di oggetti trafugati. Viene mostrato in particolare uno scambio tra la curatrice museale di un museo inglese – che ricorda molto il British Museum – e il pretendente al trono del Wakanda, venuto per recuperare un’arma rubata al suo popolo, in cui appaiono anche delle maschere del XVI secolo appartenenti al regno del Benin.

Eredità di una tradizione metallurgica presente nella regione almeno dal XIV secolo, le placche sono state fabbricate tramite un processo di fusione denominato “a cera persa”. In Europa queste opere hanno suscitato intensi dibattiti. Come può essersi procurato i minerali il regno del Benin? Gli artisti del regno furono ispirati dai loro vicini africani o dagli europei? Un popolo africano era in grado di produrre opere in metallo così raffinate? Una domanda simile era stata posta anche a proposito delle perle dell’Ile-Ife (Nigeria) e del rinoceronte d’oro di Mapungubwe (Africa del Sud). Tutte domande che hanno già ottenuto risposta.
Le prime placche, datate XV secolo, sono state create a partire da minerali presenti all’interno della regione o provenienti da commerci transahariani e solo in un secondo momento, a partire dal XVI secolo, il contatto con l’Europa ha facilitato l’importazione di minerali. Le placche sono state prodotte senza alcuna influenza artistica europea, tanto che vi vengono rappresentati anche alcuni soldati europei dal punto di vista degli africani (ribaltando la solita prospettiva). Di conseguenza, sono il puro risultato dell’arte del Benin e ciò spiega come mai siano diventate, nel XX secolo, simbolo dell’“arte africana”.

Fin dagli anni Novanta, non si parla tanto della loro dimensione artistica, quanto del fatto che queste placche siano diventate il simbolo del patrimonio rubato dall’Africa subsahariana. In particolar modo nel mondo anglofono le “placche del Benin”, a volte erroneamente chiamate “bronzi”, sono diventate protagoniste di un dibattito estremamente polarizzato e simbolo della difficoltà che le ex potenze coloniali hanno nel confrontarsi con il loro passato, tanto che tutte le volte che si tratta di riformare i musei o il modo di pensare vengo sempre menzionate.
Dopo il secondo World Black and African Festival of Arts and Culture nel 1977 (FESTAC), il governo nigeriano ha ufficialmente chiesto a quello britannico la restituzione degli oggetti trafugati. L’emblema stesso del Festival, una maschera del XVI secolo che rappresenta la regina madre Idia, fa parte degli oggetti rubati nel 1897 durante il sacco del Benin e si trova oggi al British Museum. Sono ormai più di 40 anni che la richiesta di restituzione è stata presentata ufficialmente: lo Stato della Nigeria dichiara di essere il legittimo successore delle diverse entità politiche del XIX secolo che lo compongono oggi e, a differenza di altri oggetti che potrebbero essere contesi tra più Stati nati dalla decolonizzazione, in questo caso non vi è più alcun dubbio lecito rispetto a chi debba il essere il beneficiario di una potenziale restituzione.

Maschera della regina madre Idia, avorio, ferro e cuoio, 24,5 cm x 12,5 cm x 6 cm, Regno del Benin, XVI secolo.

Fonte: fotografia del 2011 al British Museum, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0.

Per ora, nessuna delle richieste nigeriane è stata accolta. Hanno avuto successo, come anche in altri paesi europei, solo le domande di restituzione di resti umani (come, ad esempio, nel caso dei Maori). Per quanto riguarda le opere d’arte, invece, la diplomazia internazionale sembra bloccata, lo status quo nel settore è chiaro: diverse opere d’arte del regno del Benin sono tutt’ora esposte al British Museum a Londra o al Pitt-Rivers Museum di Oxford.

Placche del Benin fotografate all’esposizione nella sala della galleria Sainsbury, situata sotto il British Museum.

Fonte: Fotografia di dicembre 2018, Vincent Hiribarren, CC BY-SA 4.0.

Ai vertici dello Stato britannico, le questioni legate alla memoria delle violenze e dei saccheggi del periodo coloniale non sembrano più degne di grande interesse. Potremmo citare la vicenda dei migrated archives, archivi coloniali che sono stati tenuti nascosti sul suolo britannico per diversi decenni. L’atteggiamento di alcuni politici al riguardo potrebbe sembrare a dir poco disinvolto: nel gennaio 2017, per esempio, in occasione della visita alla pagoda di Yangon in Myanmar, l’allora ministro degli Affari esteri Boris Johnson ha recitato i primi versi di «Mandalay», una poesia di Rudyard Kipling apparsa per la prima volta in Scots Observer nel 1890 e qui di seguito citata

By the old Moulmein Pagoda, lookin’ lazy at the sea,
There’s a Burma girl a-settin’,
and I know she thinks o’ me;
For the wind is in the palm-trees, and the temple-bells they say:
“Come you back, you British soldier; come you back to Mandalay!”[]

Andrew Patrick, allora ambasciatore britannico in Myanmar, l’interruppe al terzo verso a causa dell’inappropriatezza della poesia. Come è possibile che un politico così importante, fautore della Brexit e primo ministro tra il 2019 e il 2022 abbia ritenuto accettabile recitare, in occasione di una visita diplomatica in un ex territorio coloniale, i versi di una poesia che vanta del colonialismo britannico?
Se è vero che una diplomazia di Stato per queste opere d’arte non esiste, ce n’è però un’altra proveniente dalle istituzioni culturali. Il British Museum, come le altre istituzioni del paese, è un elemento del soft power britannico. Esse attirano turisti dal mondo intero, sono relativamente indipendenti da Westminster (il British Museum, ad esempio, è gestito da dei fiduciari) e possono agire di propria iniziativa. Nonostante ciò, la diplomazia museale rimane estremamente prudente e conservatrice; ne sono testimoni la British Library, che conserva ancora i manoscritti rubati all’imperatore etiope Tewodros nel 1868[] e il Victoria and Albert Museum, che detiene alcuni oggetti rubati in Etiopia, ma sembrerebbe disposto a prestarli temporaneamente alle istituzioni museali del paese di origine.
Una politica così previdente viene spesso giustificata da contesti giuridici restrittivi – molto criticati dalla Nigeria – che impediscono alle istituzioni o allo Stato britannico di separarsi dalle proprie collezioni. Il British Museum Act del 1963[] o il Museum and Galleries Act del 1992[], ad esempio, non prevedono clausole speciali per gli oggetti saccheggiati durante il periodo coloniale, le uniche eccezioni a beneficiare di un quadro giuridico adeguato sono gli oggetti rubati durante la Seconda guerra mondiale[] e i resti umani.
Per quello che riguarda le placche del regno del Benin, fin dal 2010 è stato attivato un gruppo che potesse lavorare per risolvere la spinosa questione del loro ritorno in Nigeria. Chiamato Benin Dialogue Group, nel 2018 riuniva rappresentati della corte dell’Oba del Benin, dello Stato di Edo (dove si trova Benin City), della commissione nazionale nigeriana per i musei e i monumenti, della facoltà di diritto dell’Università federale d’Ibadan, del British Museum, del Pitt-Rivers Museum di Oxford, del museo di archeologia e antropologia di Cambridge, del museo di etnologia di Berlino, del museo delle culture e delle arti del mondo di Amburgo, del museo di Linden a Stuttgart, del museo nazionale della cultura mondiale di Svezia, del museo del mondo di Vienna e del museo delle culture mondiali di Leiden.

Questo gruppo ha il merito di far interagire professionisti/e della conservazione in un dibattito che va oltre i confini del Regno Unito. Oltre alla presenza dei musei nazionali, infatti, si noterà anche la partecipazione dei musei delle città universitarie britanniche di Cambridge e Oxford. Di fatto, queste due università hanno loro stesse una diplomazia culturale: nel 2017, infatti, l’università di Cambridge ha restituito all’Oba del Benin un gallo in ottone trafugato nel febbraio 1897. Rispetto a questa tendenza il museo di Manchester sembra molto all’avanguardia: ha restituito 43 oggetti cerimoniali alle popolazioni aborigene australiane nel novembre 2019. Nel 2022, poi, il museo Horniman di Londra ha restituito al Benin sei placche[]. Rappresentanze sensibili, se non addirittura favorevoli, alla questione della restituzione esistono, ma anche queste riconsegne, diventano elemento del soft power britannico, che passa ad essere esercitato dal livello statale a quello istituzionale.

Gallo del Regno del Benin di Jesus College di Cambridge.

Fonte: URL: < https://edition.cnn.com/style/article/benin-cockerel-nigeria-return/index.html >.

In ogni caso, il Benin Dialogue Group non ha sollecitato la restituzione delle opere d’arte rubate come hanno invece fatto vari ricercatori o politici delle ex colonie europee dalla fine della Seconda guerra mondiale (ad esempio le richieste provenienti dall’India o la politica d’autenticità di Mobutu nell’attuale Repubblica Democratica del Congo[]). Il Benin Dialogue Group non sembra essere stato influenzato neanche dal rapporto mediatico pubblicato in Francia nel 2018 da Felwine Sarr e Benedicte Savoy[]. Per il momento si parla solo di un dialogo con le istituzioni museali e di una politica di prestiti alla Nigeria. La costituzione di un nuovo museo reale a Benin City potrebbe essere la soluzione per accogliere le opere rubate. L’architetto sarà il celebre britannico-ghanese David Adjaye, a cui si deve anche il recente Museo nazionale della storia e della cultura afroamericana a Washington. Per il momento però i finanziamenti non sono ancora stati completamente stanziati… Attenzione però: la nascita del museo dell’Acropoli ad Atene non ha cambiato la situazione dei marmi del Partenone che si trovano ancora al British Museum.
Si potrebbe pensare di essere arrivati ad un punto morto, ma la situazione potrebbe sempre cambiare nei prossimi anni. Prima della crisi dovuta al Covid19 era già possibile partecipare a visite museali organizzate dalla storica dell’arte Alice Procter in cui i saccheggi all’origine di numerose collezioni dei musei britannici venivano menzionati esplicitamente; nel suo libro, The Whole Picture[], è stata in grado di ampliare ulteriormente il dibattito sul tema. Anche la pubblicazione, il 5 novembre 2020, di Brutish Museum di Dan Hicks ha riaperto la discussione sulla presenza di queste opere d’arte a Londra. L’autore, professore di archeologia a Oxford e curatore museale del Pitt-Rivers Museum chiede la restituzione delle placche del reame del Benin.

Copertina di The Brutish Museum di Dan Hicks (2020).

Mentre una parte della società britannica si interessa alle questioni sollevate dal movimento Black Lives Matter, nel Regno Unito potrebbe aprirsi un dibattito il dibattito sulle opere d’arte africane rubate e la diplomazia che ne deriverebbe. Nel 2021, l’Institute of Art and Law ha prodotto delle nuove linee guida[] per i musei e le gallerie che desiderano soddisfare le richieste di restituzione, ma è comunque necessario mantenersi prudenti: la politica generale di restituzione non cambierà da un giorno all’altro. Per il momento, chi volesse vedere i reperti rubati a Benin City nel 1897 tutti riuniti in uno stesso luogo dovrà accontentarsi di questo superbo sito web che li unisce virtualmente[].

Linea di separazione
  1. How unique are British attitudes to empire? | YouGov, URL: < https://yougov.co.uk/international/articles/28355-how-unique-are-british-attitudes-empire?redirect_from=%2Ftopics%2Finternational%2Farticles-reports%2F2020%2F03%2F11%2Fhow-unique-are-british-attitudes-empire >.
  2. Presso la vecchia pagoda di Moulmein che pigramente guarda il mare, | c’è una ragazza birmana, e so che a me sta pensando, | giacché il vento è tra le palme e dicono le campane del tempio: | «Ritorna qui, soldato britannico! Ritorna a Mandalay!».
  3. Britain’s Secret Theft of Ethiopia’s Most Wondrous Manuscripts – Atlas Obscura, URL: < https://www.atlasobscura.com/articles/ethiopian-manuscripts-british-library >.
  4. British Museum Act 1963 (legislation.gov.uk), URL: < https://www.legislation.gov.uk/ukpga/1963/24/section/3 >.
  5. Museums and Galleries Act 1992 (legislation.gov.uk), URL: < https://www.legislation.gov.uk/ukpga/1992/44 >.
  6. Holocaust (Return of Cultural Objects) Act 2009 (legislation.gov.uk), URL: < https://www.legislation.gov.uk/ukpga/2009/16/introduction >.
  7. Six objects to return to Nigeria as Horniman formally transfers ownership of ‘Benin Bronzes’, URL: < https://www.horniman.ac.uk/story/six-objects-to-return-to-nigeria-as-horniman-formally-transfers-ownership-of-benin-bronzes/ >.
  8. Elemento fondante del “mobutismo” insieme a nazionalismo e rivoluzione, l’autenticità viene intesa come la spinta ad un ritorno alla cultura tradizionale congolese promossa dal Movimento popolare della Rivoluzione (Mpr).
  9. Microsoft Word – report_november_19_en.docx (about-africa.de), URL: < https://www.about-africa.de/images/sonstiges/2018/sarr_savoy_en.pdf >.
  10. PROCTER, Alice, The Whole Picture, London, Cassell, 2021.
  11. Restitution and Repatriation: A Practical Guide for Museums in England | Arts Council Englandris, URL: < https://www.artscouncil.org.uk/supporting-arts-museums-and-libraries/supporting-collections-and-cultural-property/restitution-and-repatriation-practical-guide-museums-england >.
  12. Digital Benin, URL: < https://digitalbenin.org/ >.
  • Bibliografia essenziale

    Bibliografia essenziale

    Sul Regno del Benin

    • BRADBURY, R. E., Benin Studies, London, Oxford University Press, 1973.
    • CONNAH, Graham, The Archaeology of Benin: Excavations and Other Researches in and around Benin City, Nigeria, Oxford, Clarendon Press, 1975.
    • EGHAREVBA, Jacob U., A Short History of Benin, Ibadan, Ibadan Univ. Press, 1991.
    • OBAYEMI, Ade , The Yoruba and Edo-Speaking Peoples and Their Neighbours before 1600, in AJAYI, Jacob Festus Ade, CROWDER, Michael (ed.), History of West Africa, Harlow, Longman, 1985, pp. 255-322.
    • ROESE, Peter M., BONDARENKO Dmitri M., A Popular History of Benin: The Rise and Fall of a Mighty Forest Kingdom, Frankfurt am Main – New York, P. Lang, 2004.

    Sulla conservazione o la restituzione delle placche del Benin

    • LUNDÉN, Sven, Displaying Loot: The Benin Objects and the British Museum, Göteborg, Göteborgs Universitet, 2016.
    • SHYLLON, Folarin O., «Benin Dialogue Group: Perhaps No Longer a Dialogue with the Deaf! University of Cambridge Students to the Rescue!», in Art Antiquity & Law, 22, 4/2017, pp. 299-305.

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