ISSN: 2038-0925

L’atelier de l’historien-ne: post #52

Per la nuova rubrica L’atelier de l’historien-ne, questo mese proponiamo la traduzione del post «Kerkennah 34° 39’ 29’’ N/11° 04’ 07’’ E», pubblicato sul blog “Gouverner les îles”, blog della programma scientifico GOUVILES (École Française de Rome, Università degli Studi di Palermo, Université Toulouse Jean Jaurès).

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.

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Kerkennah 34° 39’ 29’’ N/11° 04’ 07’’ E
Pubblicato il 4 novembre 2022, aggiornato il 23 settembre 2023

di Hugo Vermeren

Vista del porto di Sidi Youssef_©HugoVermeren

Come fogli di carta stropicciata, le Kerkennah navigano nel Mediterraneo a 9 miglia dal continente. Le tre isole dell’arcipelago un tempo erano prospere. A pochi passi dal porto di Sidi Youssef, dove il traghetto fa sbarcare i passeggeri venuti dal continente, il corpetto stretto delle charfias (الشرفية), classificate dal 2020 patrimonio culturale immateriale dell’umanità, ricorda l’abbondanza dei mari di un tempo. Le attività di pesca stabili e siepi di palme che emergono dalle onde si spingono per centinaia di metri sbarrando la strada ai pesci. Tracciano per loro un percorso obbligato fino ai dreyen (دراين), delle grandi nasse che si trovano nelle camere di cattura. Ad oggi, nell’arcipelago, si contano 2500 charfias.

Charfia_©HugoVermeren

Fin dai tempi di Padre Andrè Louis, che nel 1963 ha pubblicato un monumentale studio etnografico sulla società kerkenniana, queste isole apparivano come una fonte inesauribile di risorse marine. Il polpo vi abbondava, il sarago sparaglione era il pesce di mare preferito e i muggini riempivano i ponti delle navi. Durante l’inverno, periodo in cui le charfias venivano messe a riposo, i pescatori abbandonavano le nasse per dedicarsi alla pesca delle spugne. Dal porto di Kraten, centinaia di equipaggi, brandendo un batiscopio subacqueo e una fiocina, strappavano il prezioso animale dalle praterie sottomarine.
Oggi l’arcipelago offre uno spettacolo completamente diverso. Come le bibliche piaghe, su queste terre si è abbattuta una lunga serie di calamità.
Le spugne, che un tempo riempivano i magazzini dei negozi di Sfax sono scomparse nel 2017, vittime di epizoozie dovute al riscaldamento dell’acqua. Privati di questa importante fonte di reddito i pescatori hanno concentrato gli sforzi sul polpo, ormai intrappolabile grazie a piccole nasse in plastica blu prodotte a basso prezzo dall’industria petrolchimica. Queste, però, contrariamente alle nasse tradizionali costruite in fibra di palma, non sono biodegradabili. Una parte della popolazione di polpi non è riuscita a sopravvivere alle decine di migliaia di attrezzi disseminati sulle secche dell’arcipelago. Per questo riguarda i saraghi, le orate e i muggini, che una volta riempivano d’oro e d’argento le bancarelle delle pescherie, le loro dimensioni e la loro presenza si sono ridotte a causa della pressione di centinaia di piccoli pescherecci illegali, i kiss (كيس).

Dalla nassa al mercato_©DanielFaget ©HugoVermeren

Ma non sono i kiss ad averci portato, il 16 ottobre 2022, nell’arcipelago. Sono stati i granchi blu, la cui osservazione oggi interessa un gran numero di programmi di ricerca europei, gruppi di giornalisti, registi e osservatori istituzionali. Per effetto della mondializzazione dei trasporti, i granchi blu proliferano in tutto il Mediterraneo e le Kerkennah sono uno dei siti di questa proliferazione. Vi coabitano due specie di granchi blu, quelli originari dell’Oceano Indiano e quelli dell’Atlantico del Sud. La prima specie, Portunus segnis, è stata avvistata per la prima volta in Tunisia nel 2014. Da quel momento, la sua rapida crescita ha messo in crisi i pescatori, afflitti dalle tenaglie taglienti di questo decapode e dalla sua propensione a divorare anche il più piccolo organismo vivente. L’arrivo della seconda specie, Callinectes sapidus, non ha fatto che aggravare la disperazione della comunità ittica dell’arcipelago, che presto ha cominciato a denominare questi due predatori con il significativo vocabolo Daesh.

Portunus segnis ©ChimèneVoronkoff

L’esplosione di questa popolazione invasiva è stata facilitata dallo stato di degrado in cui l’ecosistema marino delle Kerkennah versava, minato dalla pesca e dagli effetti dell’inquinamento chimico e meccanico legati all’uso dei fosfati delle industrie di Sfax. Evolvendosi senza predatori (polpi, orate, tartarughe), i granchi si sono trovati liberi di proliferare.
Il discorso che viene fatto su di loro dal 2014 comunque è cambiato. Infatti, i granchi blu hanno una grande debolezza: la loro carne abbondante, che può arrivare a coprire il 35% del peso dell’animale, presenta innegabili vantaggi nutrizionali (è molto proteica). Dal 2017, il governo tunisino ha avviato un programma di incoraggiamento e di sviluppo della pesca dei granchi, che ha come duplice obiettivo la valorizzazione di questa risorsa e la regolazione di questi organismi invasivi.
Il prezzo di vendita al chilo per i pescatori è stato sovvenzionato e l’installazione di unità di confezionamento è stata facilitata su tutto il litorale del paese. Destinate soprattutto all’esportazione, queste unità dipendono da investimenti privati, nazionali o internazionali (Spagna, Italia, Stati del Golfo).
Quella di Kerkennah, appartenente alla società tunisina Mas Fish, ha 45 dipendenti ed è presentata come uno dei successi della politica avviata nel 2017.

©HugoVermeren

©ChimèneVoronkoff

La visita al laboratorio di confezionamento di questa azienda rivela l’importanza acquisita dal granchio blu nell’economia tunisina e in quella dell’arcipelago. Nel 2021 in Tunisia sono state pescate 7500 tonnellate contro le 1500 del 2018. Da sola, l’azienda di Kerkennah, durante la stagione di pesca, assicura una media di 200 kg di granchio confezionato, sotto forma di carne sgusciata o torace congelato spedito in Giappone, Cina o Australia. La corsa all’oro blu si può far vanto di una success story: la grande statua di un granchio eretta recentemente su una delle rotonde dell’isola principale ce lo ricorda.
Il Festival internazionale dei granchi blu, organizzato dal 16 al 21 ottobre 2022, con il patrocinio del programma Blue-Adapt, si inserisce in questo contesto. Finanziato dall’Unione Europea nell’ambito della collaborazione transfrontaliera Italia/Tunisia, Blue-Adapt (2019-2022) ha come obiettivo «contribuire allo sviluppo duraturo delle zone costiere e alla conservazione degli habitat naturali nel Mediterraneo, migliorando le azioni di gestione delle risorse invasive nel mercato locale e internazionale attraverso la formazione e l’accompagnamento dei vecchi pescatori» .
Riflesso delle mutazioni e degli adattamenti insulari a fronte di una bio-invasione marina, le differenti fasi di questo festival sono state strutturate in comunicazioni scientifiche, reportage dal territorio con i pescatori e gli industriali e laboratori di creazione culinaria.

Questo evento ha permesso la creazione di un’immagine completa degli effetti dell’arrivo dei granchi blu nella comunità insulare delle Kerkennah, ricollocandola nel quadro più generale di un’analisi dell’adeguamento delle economie alieutiche mediterranee al cambiamento globale.
Fin da subito è importante fare un’osservazione. Con l’appoggio del governo tunisino, come testimonia anche l’attività svolta all’interno del laboratorio visitato, la politica di investimento nella trasformazione del granchio blu è apparsa remunerativa. Cedere ad un gruppo capitalista il controllo dell’utilizzazione di una risorsa è però uno schema di investimento che non è nuovo alla storia della pesca moderna e contemporanea. Fin dal XVII secolo lo si può riscontrare negli ambiti dei coralli o delle tonnare: un gruppo di finanziatori, sempre provenienti dalle città e per lo più dal commercio, che subordinano il lavoro degli equipaggi e delle navi. Sulle coste stesse della Tunisia, questa divisione tra lavoro e capitale si manifesta esplicitamente dal XIX secolo nel caso della grande tonnara di Sidi Daoud sul capo Bon, o nell’attività stagionale delle flottiglie ottomane che vengono a raccogliere le spugne a bordo dei velieri mercantili di Symi o di Kalymnos. L’estremismo in questa organizzazione, così come si esprime nel sistema delle tonnare o nella pesca delle spugne con lo scafandro, è l’avvento di una proletarizzazione degli equipaggi, con il salariato che prevale rapidamente sul vecchio sistema di guadagno.

©ChimèneVoronkoff

La creazione delle fabbriche di confezionamento del granchio blu in Tunisia non è quindi un fenomeno eccezionale, quanto il riproporsi di uno schema classico di sviluppo capitalistico mercantile e industriale. Come nei casi citati, si traduce nella subordinazione dei pescatori e delle loro famiglie a gruppi potenti, responsabili dei mercati e della distribuzione. La proletarizzazione di questo gruppo sociale non è una definizione vuota. Come le operaie impiegate nelle fabbriche di confezionamento delle acciughe nell’Algeria coloniale o delle sardiniere in Bretagna all’inizio del XX secolo, una parte delle mogli o delle figlie dei pescatori vengono assunte nei laboratori delle fabbriche dove, facendo un lavoro faticoso e a turni, sgusciano per otto ore al giorno i preziosi decapodi pescati dai loro mariti o padri. Il salario versato a queste donne (3 dinari all’ora) permette loro di ottenere un reddito mensile equivalente al salario minimo tunisino (450 dinari). Non è sufficiente però a compensare la perdita di autonomia provocata dal crollo degli ecosistemi marini: come altrove nel litorale, prima dell’arrivo del granchio blu molte donne si dedicavano alla raccolta delle vongole o dei granchi, che sono stati eliminati dalle nuove invasive specie. L’approvvigionamento dei laboratori garantisce ai pescatori la vendita del loro pescato. I prezzi del granchio blu, però, che vanno da 1 a 3 dinari al chilo, non competono con quello dei pesci, dei muggini o dei saraghi, che presso i grossisti di Sfax arrivano a 20 dinari al chilo. ________________________________________
L’argomento della compensazione del reddito grazie alle enormi quantità realizzate per la maggior parte dei pescatori dell’arcipelago che utilizzano la nassa o la charfia non è valido, infatti, nel 2021 il 90% dei granchi lavorati proveniva dai kiss. L’attività illegale di questi pescherecci condiziona la redditività del settore della lavorazione, aggravando il degrado della materia prima e accelerandone il declino.
La seconda osservazione che si può formulare riguarda la natura internazionale del commercio del granchio blu. È un prodotto globale, gestito in un paese del Sud e venduto a seguito di una parziale trasformazione a intermediari o consumatori dei paesi del Nord. Non è sicuro che, nel momento in cui si riflette sul virtuosismo dei cicli brevi, la fragilità delle economie globalizzate e la necessità di valorizzare localmente le materie prime e il lavoro femminile, il funzionamento attuale risponda meglio alle sfide contemporanee. Blue-Adapt non è senza significato, nel suo programma privilegia i progetti di sviluppo dedicati ai protagonisti dell’economia della pesca, i pescatori e le loro famiglie. Le mogli dei pescatori sanno sgusciare i granchi blu, ma faticano a trovare reti di distribuzione che consentano loro di valorizzarne e conservarne i risultati tramite l’appertizzazione o il congelamento. Pertanto, la priorità degli aiuti allo sviluppo deve necessariamente tenere conto questo bisogno di rendersi il più possibile autonomi, unico modo per creare le condizioni di uno sviluppo locale sostenibile, tutelato attraverso una ripartizione democratica della ricchezza utilizzata.

Gabriel Dutrait (cuoco-artista), Daniel Faget (docente HDR, TELEMMe UMR7303), Chistian Qui (cuoco-artista e presidente dell’associazione Bouillabaisse Turfu), Hugo Vermeren (post-dottorando, TELEMMe UMR7303), Chimène Voronkoff (illustratrice).
Ringraziamenti ai colleghi tunisini e in particolare a Jamila Ben Souissi, professoressa all’Institut National Agronomique de Tunisie (INAT), co-organizzatrice del primo festival del Granchi blu, Raouia Ghanem e Amal Bouzidi, assistente di coordinazione del progetto Bleu-Adapt.

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