ISSN: 2038-0925

Panoramica – Gran Bretagna 2014

SÜSS, Dietmar, <em>Death from the Skies: How the British and Germans Survived Bombing in World War II</em>, Oxford, Oxford University Press, 2014, 707 pp.

SÜSS, Dietmar, Death from the Skies: How the British and Germans Survived Bombing in World War II, Oxford, Oxford University Press, 2014, 707 pp.

In Gran Bretagna le memorie eroiche della peoples’ war, esemplificate dalle immagini della cattedrale di St. Paul fra le fiamme e delle rovine di Coventry, dovettero scontrarsi durante la guerra fredda con l’emergere di studi che spostarono l’attenzione sulle devastanti incursioni della Royal Air Force sulle città tedesche. Bomber Command finì quindi al centro di una rivisitazione storica che guardava ai civili tedeschi come vittime e che continua a provocare dibattito. Il libro dello storico Dietmar Süss è un utile correttivo a questa tendenza: attraverso un lavoro di scavo in archivi in Gran Bretagna e Germania, presenta un’esplorazione dell’esperienza dei bombardamenti nei due paesi in chiave comparata, anziché avanzare giudizi morali, interpretando la guerra aerea come un fenomeno europeo e come aspetto della guerra totale nel ventesimo secolo. Una parte della discussione sviluppata in Death from the Skies verte sulla questione del morale, un concetto utile per esplorare il rapporto tra stati e popolazioni in tempo di guerra. Come ha spiegato Süss in risposta a una “tavola rotonda” intorno al suo libro ospitata dalla rivista storica «Britain and the World» (8, 1/2015), la questione del morale era centrale nella guerra aerea: da una parte, si pensava che fosse necessario mantenere alto il morale della popolazione per poter vincere la guerra; dall’altra, esso rappresentava un potenziale aspetto di vulnerabilità nelle società industriali, del quale il nemico avrebbe potuto approfittare. Süss si concentra poi su come le istituzioni nei due paesi avessero fronteggiato la crisi, a livello locale e nazionale; su come le comunità bombardate avessero reagito alla morte di massa provocata dalle incursioni; e sull’eredità lasciata dai bombardamenti alla memoria della guerra fino a oggi. Il confronto fra i due paesi permette anche un’analisi delle differenze fra due diversi sistemi politici in guerra. Mentre in Gran Bretagna le leggi civili esistenti furono mantenute durante il conflitto, nella Germania nazista fu introdotto un codice criminale di guerra per punire con la pena di morte chi offendesse la “comunità nazionale” durante l’oscuramento o in seguito ai bombardamenti. Malgrado tale controllo sulla popolazione, in seguito a Stalingrado e con l’intensificarsi degli attacchi aerei crebbe in Germania, assai più che in Gran Bretagna, una frattura fra governanti e governati, testimoniata dai rapporti sull’opinione pubblica che dimostravano il crollo della fiducia nei confronti del regime.

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MITU, Melinda, MITU, Sorin, Ungurii despre români. Naşterea unei imagini etnice, Polirom, Iaşi, 2014, 424 pp.
FUREDI, Frank, First World War: Still no End in Sight, London, Bloomsbury, 2014, 272 pp.

Mentre l’opinione pubblica britannica si divide sui significati che dovrebbero assumere le commemorazioni della Grande Guerra, questo libro, come rilevano numerose recensioni apparse su quotidiani e settimanali, ne analizza le conseguenze culturali attraverso il ventesimo e ventunesimo secolo: il conflitto contemporaneo fra “culture” sarebbe quindi l’ultima espressione di quello scoppiato nel 1914. Interpretando la Grande Guerra come una crociata culturale, il sociologo Frank Furedi analizza il pessimismo e il rifiuto dei valori prevalenti tra intellettuali e scrittori che in diversi modi espressero la propria ansia per la decadenza dell’occidente. Da allora alle guerre dei nostri tempi, Furedi si concentra sui momenti di conflitto ideologico e culturale, anche se talvolta sembra perdere di vista il punto di partenza. Interessanti le considerazioni sulla difficoltà di definire le guerre recenti, dovuta al fatto che il tentativo occidentale di sostituire all’anticomunismo un nuovo nemico non è, secondo l’autore, riuscito a mantenere viva quella connessione fra classe dirigente e opinione pubblica che era invece esistita durante le due guerre mondiali e la guerra fredda. Le conclusioni commentano anche il clima in cui si stanno svolgendo le commemorazioni britanniche. Proprio perché il senso di comunità del 1914 non esiste più, è difficile pensare che la Prima Guerra Mondiale possa assumere oggi significati positivi, e celebrare il patriottismo in maniera trionfalistica rischia di esser interpretato come militarismo.

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CESEREANU, Ruxandra, Panopticum. Eseu despre tortură în secolul XX, Iaşi, Polirom, 2014, 301 pp.
CARDEN-COYNE, Ana, The Politics of Wounds: Military Patients and Medical Power in the First World War, Oxford, Oxford University Press, 2014, 400 pp.

L’autrice, Senior Lecturer in War and Conflict all’Università di Manchester, approfondisce in questo libro le dinamiche sociali e culturali sottese al rapporto tra istituzioni medico-militari e pazienti nella prima guerra mondiale. Durante il conflitto circa 2 milioni di soldati provenienti dalla Gran Bretagna e dalle sue colonie furono feriti; di questi, 1.242.000 vennero rispediti a casa solo dal fronte occidentale. Un’esperienza che accomunò truppa e ufficiali, coscritti e volontari, britannici e coloniali, e che ebbe conseguenze rilevanti anche nel dopoguerra. L’autrice – che ha impiegato una gamma molto ampia di fonti finora sottoutilizzate o completamente inesplorate – affronta temi finora largamente trascurati dagli studi come la chirurgia di guerra, l’evacuazione dei feriti dal fronte, i rapporti sociali all’interno degli ospedali militari, l’intimità, la sessualità e in genere la sfera sentimentale vissute all’interno dell’esperienza della cura e del ricovero. Oltre la sfera personale e privata, il soldato ferito era, secondo l’autrice, anche un’entità sociale e politica che la medicina militare, supportata dal complesso dei poteri pubblici, era incaricata di seguire e se possibile recuperare: la riabilitazione, nelle intenzioni del governo britannico, doveva essere un progetto morale e politico. Il libro esplora come ferite di guerra e dolore fisico, insieme costituivano e mettevano in discussione il modello militare di mascolinità, tramandato dalla tradizione e dall’ideologia. Carden-Coyne dimostra che la vicinanza del fronte e l’enorme numero di feriti crearono una maggiore consapevolezza pubblica dell’impatto della guerra rispetto a quanto era accaduto nei conflitti precedenti, con conseguenze politiche rilevanti in termini di consenso, adesione ideale e tenuta del morale soprattutto sul fronte interno.

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CROUTHAMEL, Jason, An Intimate History of the Front: Masculinity, Sexuality, and German Soldiers in the First World War, Palgrave Macmillan, 2014, 248 pp.
CROUTHAMEL, Jason, An Intimate History of the Front: Masculinity, Sexuality, and German Soldiers in the First World War, Palgrave Macmillan, 2014, 248 pp.

Jason Crouthamel, Associate Professor alla Grand Valley State University negli Stati Uniti, ha già lavorato sul tema della memoria tedesca della Grande Guerra. L’obiettivo del suo nuovo libro è fare luce sulla sfera intima dei soldati tedeschi al fronte, nell’ambito di una più ampia riflessione dedicata all’impatto della guerra sulle idee di genere e di sessualità. L’apparato delle fonti a cui l’autore ricorre è in larghissima parte centrato sulle narrazioni dei soldati stessi, contenuti nei giornali del fronte, nelle lettere inviate ai familiari e nei diari. Le narrazioni personali sono messe a confronto con materiale istituzionale come i verbali dei tribunali militari.  Alla luce di queste testimonianze, Crouthamel ricostruisce come i combattenti manifestavano sentimenti ed emozioni, quali caratteristiche aveva l’espressione della loro esperienza intima e sessuale, e in che modo vivevano nella realtà quotidiana delle trincee lo scontro tra i modelli prevalenti di mascolinità e il ventaglio di costrizioni e opportunità offerto dalla vita di guerra. L’argomento centrale del libro è che i soldati tedeschi hanno sia trasgredito che rafforzato i ruoli di genere, sfidando e mettendo attivamente in discussione gli ideali di mascolinità dominanti, nello sforzo di sopravvivere all’esperienza traumatica della guerra moderna, così da generare uno spettro di esperienze multiformi più che adeguarsi a un modello sociale e culturale egemonico imperniato sugli ideali nazionali di sacrificio e autocontrollo emotivo.

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COROBCA, Liliana, Controlul cărţii. Censura literaturii în regimul comunist din România, Bucarest, Cartea Româneasca, 2014, 374 pp.
GIBSON, Craig, Behind the Front: British Soldiers and French Civilians, 1914–1918, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, 480 pp.

Lo storico canadese Craig Gibson ha pubblicato numerosi studi sui rapporti tra gli alleati nella prima guerra mondiale e sul ruolo della disciplina militare nelle relazioni tra militari e civili. La tesi del suo ultimo studio, dedicato al corpo di spedizione britannico nei territori francesi e belgi investiti dal conflitto, punta a mettere in discussione le interpretazioni che hanno cercato l’origine della tenuta del morale delle truppe britanniche sul fronte occidentale in fattori emotivi e in elementi materiali. Riesaminando fonti già impiegate da altri studiosi e attingendo a materiali d’archivio finora trascurati dalla storiografia, soprattutto racconti di prima mano dei protagonisti, Gibson sposta invece l’obiettivo dalle trincee e dal campo di battaglia alla vita che si conduceva dietro il fronte, nelle aree in cui i soldati britannici entrarono in relazione con una vasta popolazione civile alleata. Gibson argomenta che gli incontri dei militari con le popolazioni francesi e belghe ebbero riflessi positivi sul morale delle truppe, al punto da risultare cruciali per le modalità con cui la guerra fu combattuta sul fronte occidentale. Nel proporre un nuovo ritratto del soldato britannico e delle colonie in guerra, il libro punta a confutare la percezione dominante della forza di spedizione britannica come un’entità autosufficiente e autoreferente, priva di interesse per le realtà francese e belga e sterilizzata da ogni contaminazione con le popolazioni civili, che continuarono a svolgere un ruolo vitale nell’alloggiare, fornire cibo, curare e intrattenere e le truppe.

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BOIA, Lucian, Suveranii României. Monarhia, o soluţie?, Bucarest, Humanitas, 2014, 112 pp.
OLUSOGA, David, The World’s War, London, Head of Zeus, 2014, 432 pp.

Il contributo dimenticato delle truppe non europee nella grande guerra è stato l’argomento di una serie televisiva di grande successo trasmessa dalla BBC nell’estate scorsa, che ha colpito il grande pubblico anche con qualche rivelazione a effetto: il primo soldato dell’esercito britannico a sparare un colpo nella prima guerra mondiale fu un nero africano; alla fine del 1914 un terzo del settore britannico del fronte occidentale era tenuto da soldati indiani; nel 1917 il fronte occidentale era diventato il luogo più multinazionale, multirazziale e multireligioso mai esistito; la Germania allestì un campo speciale per i prigionieri di guerra di fede musulmana, attrezzato con una moschea e con cibo halal nel tentativo di persuaderli a disertare. L’autore del documentario, David Olusoga, storico e producer della televisione pubblica britannica, ha sintetizzato i contenuti della serie in un libro, anch’esso accolto molto favorevolmente nel clima di attenzione generato dal centenario. Olusoga –  che è un esperto riconosciuto dei temi del colonialismo, del razzismo e della schiavitù –  ha indagato sul ruolo di milioni di soldati indiani, africani e asiatici nel conflitto attingendo soprattutto ai loro diari e alle lettere spedite dal fronte ai familiari. Di particolare impatto il materiale raccolto dalla censura sulle lettere che i soldati indiani inviarono dal fronte francese alle loro famiglie. Olusoga ha lavorato in particolare sulle carte dell’India Office Records, lo sterminato archivio dell’amministrazione britannica in India conservato a Londra nella British Library.

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HITCHINS, Keith, A Concise History of Romania, Cambridge,Cambridge University Press, 2014, XIII+327 pp.
OTTE, Thomas, July Crisis: The World’s Descent into War, Summer 1914, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, 555 pp.
L’ultimo libro di Thomas Otte, che insegna storia diplomatica e internazionale del diciannovesimo e ventesimo secolo alla University of East Anglia, si concentra sulle settimane che nell’estate 1914 condussero l’Europa nel baratro della guerra globale. L’autore punta a spiegare perché un sistema fondato sull’equilibrio secolare tra grandi potenze crollò in maniera disastrosa nel brevissimo arco di tempo che separò l’attentato del 28 giugno dalla dichiarazione di guerra tedesca alla Russia il 1° agosto. Nel fascicolo di novembre-dicembre 2014 di «Foreign Affairs», Lawrence D. Freeman, che insegna War Studies al King’s College di Londra, ha segnalato che la più recente storiografia anglofona sulla prima guerra mondiale continua a non mostrare particolare interesse per i modelli teorici, mettendo in particolare in rilievo la sfiducia di Otte nelle costruzioni della scienza politica e degli studi strategici. L’assenza di elaborazione teorica, ha osservato, non sorprende, perché “gli storici guardano con sospetto ai tentativi di formulare leggi attendibili di comportamento politico” e sono “naturalmente più inclini a dare peso all’imprevisto e al caso”. In realtà Otte rivendica questa impostazione proprio allo scopo di mostrare che la chiave per comprendere come e perché l’Europa precipitò nel conflitto sia da cercare nel difetto di capacità politica da parte dei governanti europei, che avevano dimenticato su quali fragili basi fossero costruite la pace e l’ordine internazionale, piuttosto che in concetti astratti come l’equilibrio dei poteri o il sistema delle alleanze.

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