ISSN: 2038-0925

In margine a Steven FORTI, «Aida. Le Italie segrete dalla Resistenza a Tangentopoli», N. 9, 1|2012

a cura della Redazione di DIACRONIE

Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, N. 9, 1|2012
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La pubblicazione dell’articolo di Steven FORTI, «Aida. Le Italie segrete dalla Resistenza a Tangentopoli», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, N. 9, 1|2012, ha dato luogo a un dibattito tra il curatore della recensione e uno degli autori del volume Chi manovrava le Brigate rosse? Storia e misteri dell’Hyperion di Parigi, scuola di lingue e centrale del terrorismo internazionale.

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Intervento di DE PROSPO Intervento di FORTI
Replica di DE PROSPO Replica di FORTI

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Gentile redazione,

in merito alla recensione del libro di Silvano De Prospo e Rosario Priore, Chi manovrava le brigate rosse?, Milano, Ponte alle Grazie, 2011, comparsa su Diacronie n. 9 del 1/2012, si fa presente quanto segue.

Cordiali saluti,

Silvano De Prospo

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La ricostruzione da noi proposta, contrariamente a quanto sostenuto da Forti, non si basa «esclusivamente sulle rivelazioni di alcuni testimoni ed ex membri fuoriusciti […] e su una serie di inchieste su di un traffico di armi fra l’Olp e le Br», ma si fonda anche, e principalmente, su riscontri in documenti sequestrati ai brigatisti dell’ala senzaniana al momento dell’arresto, nonché sulla rogatoria internazionale Italia Francia effettuata subito dopo l’arresto di Jean Louis Baudet [1].

Definire la ricostruzione da noi proposta – che tra l’altro non è frutto di mere ipotesi, ma è basata su di una nutrita documentazione [2] – come «inficiata da un eccessivo dietrologismo», vuol dire non aver capito come stanno le cose. Lo storico Aldo Giannuli, ampiamente citato da Forti, ha tenuto a dire: «Detesto la parola complotto. Non significa niente ed è un modo caricaturale per non far capire niente alla gente e di buttare la cosa sul piano del chiacchiericcio da bar. […] Il fatto è che non tutto quello che succede si vede sul palcoscenico» [3]. Ma quanto appena riportato può essere esteso altrettanto alla parola “dietrologia”.

Quando si esamina il periodo degli anni di piombo, «sottolineare l’ampiezza dell’arco temporale del fenomeno, e la sua protratta pericolosità, significa in realtà porre il problema, storiograficamente tra i più ardui e scivolosi, dei “poteri occulti” – apparati segreti, dotati di contropoteri diversi o contrari al potere legittimo, ed in particolare del ruolo svolto dai servizi segreti nelle vicende del terrorismo nostrano. È infatti lecito supporre che una stagione così prolungata di eversione e lotta non sarebbe potuta fiorire con tale intensità senza connivenze, tutele, coperture, e strumentalizzazioni sia interne che internazionali» [4].

Circa l’altra accusa mossaci, cioè di essere portati a «leggere gli eventi nell’ottica di un gioco manovrato da potenze straniere all’interno dei fragili equilibri della Guerra fredda e di affermare che i gruppi extraparlamentari di sinistra non erano altro che volontarie o involontarie pedine di questo gioco», unitamente alla citata intuizione di De Felice, si può fare una semplice osservazione sulla base di come sono andati i fatti: lavorando per la “rivoluzione”, la sinistra extraparlamentare ed il terrorismo hanno fatto un favore alle correnti politiche conservatrici, permettendo che si costruisse intorno a queste ultime un consenso di massa altrimenti difficile. Che piaccia o no, visto come si è sviluppata la storia, è difficilissimo credere che i Servizi siano stati “agiti” dai rivoluzionari, o che abbiano incassato qualche insuccesso. Piuttosto è verosimile il contrario.

E continuando, per obiettività ed equilibrio, «Sarebbe stolto, più che ingenuo, ritenere che non vi siano state, in particolare intorno alla vicenda Moro, varie forme di intervento utilizzate da parte di strutture di intelligence e di potenze straniere. Tutte le parti politiche, anche attraverso l’assunzione di informazioni, l’intervento e l’uso mirato di strutture, di pressioni pubbliche e meno pubbliche, hanno cerato di utilizzare un fatto politico di quella rilevanza» [5]. A parlare non sono De Prospo e Priore, ma Sergio Segio di Prima Linea. Anche lui un dietrologo?

In base a quanto sopra, il giudizio di Forti contenuto nella nota 31 risulta pericolosamente fuorviante, sia storiograficamente che politicamente. Per capire gli anni del terrorismo, «non sono […] decisivi gli scopi dichiarati dai suoi protagonisti bensì gli effetti reali» [6]. Ed è scendendo nei fatti e considerando gli effetti reali, che ci si rende conto che di appoggi logistici ecc. le Br ne hanno avuti tanti, trovandoli nelle aree dei simpatizzanti ma anche nei movimenti con organizzazioni più o meno clandestine: produzione di targhe false, documenti falsi, armi, alloggi clandestini e via discorrendo.

È bene tenere presente che «sia la violenza di massa degli autonomi sia il terrorismo diffuso sono fenomeni con caratteristiche tutte peculiari: ma tra loro concorrono confini incerti, così come incerti sono i confini che dividono entrambi dal terrorismo propriamente clandestino» [7]. E, al riguardo, sarebbe piuttosto il caso di dare una lettura attenta, senza preclusioni di ordine ideologico – se si vuole veramente comprendere quel periodo storico – ai riscontri contenuti nella sentenza del Sostituto Procuratore Pietro Calogero [8], ed evitare di definirla frettolosamente, come fa Forti, uno «scempio democratico […] una visione che purtroppo è diventata una delle vulgate più gettonate».

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NOTE


[1] DE PROSPO, Silvano, PRIORE, Rosario, Chi manovrava le brigate rosse?, Milano, Ponte alle Grazie, 2011, pp. 203-225.

[2] Vedi note da pagina 267 a 295.

[3] Dalla trasmissione «Monti e i poteri forti» andata in onda su Telereporter il 18 novembre 2011.

[4] CALOGERO, Pietro, FUMIAN, Carlo, SARTORI, Michele, Terrore Rosso, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 182-183.

[5] SEGIO, Sergio, Una vita in Prima linea, Milano, Rizzoli, 2006, p. 152.

[6] HESS, Henner, La rivolta ambigua, Firenze, Sansoni, 1991, pag. 165.

[7] Ibid., p. 160.

[8] In merito al processo 7 aprile, la Cassazione 1° sezione penale di Roma il 4 ottobre 1988, ha riconosciuto (p. 134 et seq.): «con riferimento al ritrovamento presso le Brigate rosse, i Nap ed organizzazioni eversive estere di armi con identica provenienza di quelle in possesso delle organizzazioni ora in esame, l’esistenza sia di fonti comuni di rifornimento e sia dei collegamenti tra le bande operanti in Italia che all’estero».

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Gentile redazione,

in merito alla lettera inviata da Silvano De Prospo, autore con Rosario Priore di Chi manovrava le brigate rosse?, Milano, Ponte alle Grazie, 2011, si fa presente quanto segue.

Un cordiale saluto,

Steven Forti

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Nella lettera inviata alla redazione di Diacronie, De Prospo e Priore affermano che, contrariamente a quanto sostengo nella recensione del loro volume, la ricostruzione contenuta in Chi manovrava le brigate rosse? «si fonda anche, e principalmente, su riscontri in documenti sequestrati ai brigatisti dell’ala senzaniana al momento dell’arresto, nonché sulla rogatoria internazionale Italia Francia effettuata subito dopo l’arresto di Jean Louis Baudet». Se De Prospo e Priore si fossero presi la briga di leggere con un poco più di attenzione la suddetta recensione, vi troverebbero anche un altro riferimento alle fonti che hanno utilizzato nel loro libro. Proprio in apertura alla parte dedicata al loro volume vi è scritto difatti che la storia del Superclan e della scuola di lingue Hyperion è basata «sostanzialmente sulle indagini compiute dalla magistratura italiana nella prima parte degli anni Ottanta» [1]. Poca cosa, senza dubbio, ma un’espressione che riassume ciò di cui De Prospo ha lamentato l’assenza. In una recensione di poche pagine – non credo ci sia la necessità di ribadirlo – bisogna per forza riassumere pregi e virtù di un’opera in poche espressioni.

Ma, visto che mi si accusa di tergiversare i fatti e di sminuire la ricostruzione proposta da De Prospo e Priore. Mi permetto di andare un po’ più in profondità e di mostrare in dettaglio il materiale usato dai due autori per scrivere – o, sarebbe più corretto dire, tentare di riscrivere – la storia delle Brigate Rosse e di un nodo cruciale della storia dell’Italia repubblicana: una cosa che si è detta en passant nella recensione, ma che credo valga la pena porre in rilievo. Innanzitutto, la bibliografia secondaria utilizzata è poca e criticabile. Per quanto riguarda le ricostruzioni storiografiche sulla storia delle BR e sugli anni di piombo, si citano unicamente il lavoro di Giuseppe De Lutiis, due soli volumi della vasta produzione di Sergio Flamigni e un paio di libri editi dalla Kaos [2], oltre alle memorie di ex militanti delle BR e di Prima Linea, quali Renato Curcio, Mario Moretti, Alberto Franceschini, Sergio Segio e Valerio Morucci. A voler essere precisi, la maggior parte delle informazioni proviene da un libro che ha fatto discutere, Che cosa sono le BR di Alberto Franceschini e Giovanni Fasanella, pubblicato da Rizzoli nel 2004, che, come per il volume di De Lutiis, si apre con una prefazione di Rosario Priore. È un caso o piuttosto è una scelta deliberata quella di basarsi su di una bibliografia secondaria “amica”, che non mette in discussione i lati più deboli e ambigui della ricostruzione che si propone [3]? Come storico e recensore di questo volume, non potevo e non posso fare altro che notare l’assenza di opere fondamentali con cui ci si dovrebbe confrontare e che non possono essere ignorate se si vuole affrontare lo studio di tale snodo storico. Si pensi, solo per fare qualche esempio, ai lavori di Miguel Gotor e di Aldo Giannuli precedenti ai due bei volumi da me recensiti insieme a Chi manovrava le Brigate rosse?, agli studi di Francesco Maria Biscione, Agostino Giovagnoli, Vladimiro Satta e Stefano Grassi sul caso Moro, al volume collettaneo sul terrorismo, la violenza e l’informazione negli anni Settanta curato da Mirco Dondi o al datato – criticabile, ma sempre utile – lavoro di Giorgio Galli sulla lotta armata in Italia [4]. O, ancora, ai tre volumi sul movimento dell’Autonomia curati da Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti pubblicati nell’ultimo lustro da Derive Approdi; al contrario, sull’argomento si cita solo un’opera che non va oltre il livello di volgarizzazione giornalistica quale quella di Aldo Cazzullo [5]. Senza contare i molti articoli pubblicati in riviste scientifiche di storia contemporanea negli ultimi due decenni. Di tutto ciò non vi è nemmeno l’ombra, mentre si dà un grande protagonismo a un saggio che tutto questo protagonismo non lo merita proprio [6]. Lo stesso discorso va fatto per le memorie degli ex brigatisti: perché non dare un’occhiata anche a quello che hanno detto Fenzi, Gallinari, Braghetti e Faranda, invece che limitarsi quasi unicamente a Franceschini, Moretti e Curcio?

E su questo vorrei aprire una parentesi vista l’ironia dimostrata da De Prospo nell’utilizzare una di queste memorie, quella di Sergio Segio, per mettere in luce come la ricostruzione proposta in Chi manovrava le Brigate rosse? non sia per nulla inficiata da dietrologismi [7]. Un’ironia ed una citazione che lasciano il tempo che trovano. Innanzitutto, perché chi sta scrivendo non ha mai negato la presenza e l’intervento di strutture di intelligence e di potenze straniere nella storia dell’Italia repubblicana e, soprattutto, negli anni di piombo e nella vicenda Moro. Per rendersi conto che così non è stato basta vedere il giudizio che si è dato dei volumi di Miguel Gotor e, in particolar modo, di Aldo Giannuli, il quale scrive quella che si potrebbe definire la storia di un servizio segreto parallelo in Italia tra gli anni Quaranta e gli anni Ottanta [8]. È facile, troppo facile, accusare di dietrologismo gli altri solo perché – mi si permetta l’espressione – si ha la coda di paglia… Per dimostrare che il giudizio da me dato della ricostruzione di De Prospo e Priore «vuol dire non aver capito come stanno le cose», nella sua replica, De Prospo riporta una citazione di Giannuli riguardo al cattivo utilizzo della parola “complotto”. Da un lato si cita Giannuli, dall’altra, però, si tergiversa e non si comprende il suo messaggio [9]. Porre il problema dei “poteri occulti” è infatti necessario – chi lo ha mai negato? –, il punto è come si compie questa operazione. Insomma, quello che qui è fondamentale non è tanto il “che cosa”, ma il “come”. E una differenza colossale vi è tra il lavoro di Giannuli – un lavoro frutto di anni di ricerche compiute su una grande quantità di documenti d’archivio e tenendo conto della maggior parte della storiografia prodotta sull’argomento – o quello di Gotor – che procede ad un’analisi certosina dei documenti e ad una rilettura critica della totalità della storiografia esistente proponendo una nuova interpretazione della storia dell’Italia repubblicana – e quello di De Prospo e Priore, di ben altro tenore e di minore qualità.

Mi stupisco – e sinceramente mi preoccupo – che un giornalista come De Prospo e un magistrato come Priore affermino che il giudizio da me dato nella nota 31 della recensione pubblicata su Diacronie sia «pericolosamente fuorviante, sia storiograficamente che politicamente». Proprio perché conosco bene la sentenza del Sostituto Procuratore Pietro Calogero, passata alla storia come “processo 7 aprile”, mi permetto di giudicarla alla stregua di uno “scempio democratico”. È un tema complesso e non vi è lo spazio per riassumerlo in poche righe. Quello che semplicemente si vuol far notare è che è molto superficiale e ben poco professionale per uno storico fondare la propria interpretazione basandosi quasi solamente su quella sentenza per poter affermare che Toni Negri fosse una sorta di cervello del terrorismo internazionale (senza contare che lo stesso ruolo i due autori lo affibbiano anche a Giangiacomo Feltrinelli). De Prospo e Priore dimostrano di essere arroccati su posizioni che si dovrebbero mettere in discussione, come in alcuni casi – e senza le solite e tanto gettonate “preclusioni di ordine ideologico” di cui si serve De Prospo per sminuire le critiche da me espresse al loro volume – si è già fatto [10].

In secondo luogo, perché l’utilizzo della memorialistica impone, forse più di qualunque altra fonte, un’estrema attenzione. Le memorie, insomma, bisogna prenderle con le pinze! E non tanto perché non si voglia credere al diretto interessato, ma perché chiunque compia un lavoro di scavo nel proprio passato – per di più se la storia che lo ha toccato è storia politica e pubblica – pone in atto dei processi complessi e difficilmente decifrabili, come spiegavano tempo addietro Maurice Halbwachs, Paul Ricoeur e Luisa Passerini, tra gli altri [11]. Una prova lampante la danno le memorie dei brigatisti che, messe a confronto, mostrano molte differenze ed ambiguità.

Torniamo però al materiale usato per redigere Chi manovrava le Brigate rosse? e vediamo l’uso che si è fatto della stampa. Se si eccettuano un numero invero molto limitato di articoli recenti de «Il Corriere della Sera» e «la Repubblica» e di articoli contemporanei all’epoca dei fatti di «Panorama», «L’Espresso», «L’Europeo», «Il Messaggero», «Paese Sera», «l’Unità», «Le Figaro» e «Le Monde» non troviamo quasi nient’altro. E la stampa della sinistra extraparlamentare? Non sarebbe necessario andare a vedere cosa dicevano gli organi di Lotta Continua, di Potere Operaio e «il manifesto», ad esempio, riguardo a questioni che toccavano così da vicino i suoi lettori? Quel poco – ma davvero poco – che c’è, lo si cita da qualche altro libro sull’argomento e in modo alquanto approssimativo, mentre, ad esempio, un articolo niente affatto imprescindibile come quello di Sergio Romano viene citato ben cinque volte [12]! Per capire un movimento, un partito, un gruppo armato è doveroso andare a vedere cosa questo gruppo pensa e cosa questo gruppo dice per poi poterlo mettere in relazione con cosa questo gruppo fa, senza fermarsi agli scoop della stampa (che in molti casi si dimostrano niente più che informazioni false). E di tutto ciò, nel lavoro di De Prospo e Priore, troviamo solo un accenno con l’analisi piuttosto superficiale delle risoluzioni strategiche delle BR, di qualche numero di «Controinformazione» e di un saggio di Renato Curcio ivi pubblicato nel 1976. Lo ripetiamo: ben poca cosa.

In terzo luogo, le fonti primarie, ossia i documenti. Fare un elenco del materiale usato da De Prospo e Priore non avrebbe senso in questa sede per ragioni di spazio. Quello che si può e si deve notare è che sono stati consultati un numero piuttosto limitato di documenti. Si faccia una comparazione con il materiale consultato da Aldo Giannuli prima di avere la forza e il coraggio di scrivere la storia di quello che definisce il Noto servizio. Lo storico pugliese non si è di certo limitato a pochi fondi archivistici, ma solo dopo un lavoro di scavo negli archivi italiani di oltre quindici anni ha deciso di pubblicare un libro che raccogliesse le sue ricerche.

E qui arriviamo a ciò che più mi preme sottolineare: la questione della responsabilità dello storico, soprattutto quando si scrive degli “anni di piombo”. Una responsabilità che non sta solo nel raccontare la verità più o meno edulcorata, ma che sta anche nello scegliere di che cosa si parla e di come se ne parla e di come tutto ciò influisce sul presente. Una responsabilità che De Prospo e Priore hanno dimostrato di non essersi assunti. In questi ultimi trent’anni tanto si è scritto e tanto si è detto delle Brigate Rosse, del caso Moro, della lotta armata, della sinistra extraparlamentare, delle stragi di Stato, del terrorismo nero. Le librerie sono piene zeppe di libri, memorie e supposte rivelazioni su quel delicato e drammatico frangente della storia italiana. È mancata e, in molti casi – per fortuna non in tutti! – continua a mancare la volontà di affrontare con serietà lo studio di tutto questo, mantenendo i soliti triti e ritriti luoghi comuni e creandone di nuovi. Si gioca con la storia, insomma, come se fosse una spy story. Ed è questo quello si suggerisce al lettore del libro di De Prospo e Priore già a partire dal titolo e dal sottotitolo in copertina: Chi manovrava le Brigate rosse? Storia e misteri dell’Hyperion di Parigi, scuola di lingue e centrale del terrorismo internazionale. Credo che come lettori, come studiosi, come storici e come cittadini ci meritiamo qualcosa di meglio. Lasciamo scrivere la storia agli storici di professione e lasciamo scrivere i noir ai romanzieri, come insegnò il compianto Jean Patrick Manchette. Non mischiamo le cose, vendendole come la rivelazione del secolo. «La storia è cosa complessa e la politica lo è ancora di più», come, ne Il Divo di Paolo Sorrentino, ricordava con la sua maligna ironia ad Eugenio Scalfari Toni Servillo nei panni di Giulio Andreotti. Solo quando cominceremo a fare un po’ più di attenzione a questa affermazione, potremo, forse, iniziare a parlare seriamente degli anni Settanta.

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NOTE


[1] FORTI, Steven, «Aida. Le Italie segrete dalla Resistenza a Tangentopoli», in Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, n. 9, 1|2012, p. 10.

[2] DE LUTIIS, Giuseppe, Il golpe di via Fani, Milano, Sperling & Kupfer, 2007; FLAMIGNI, Sergio, Convergenze parallele: Le Brigate rosse, i servizi segreti e il delitto Moro, Milano, Kaos, 1998; ID., La sfinge delle Brigate Rosse, 2 voll., Milano, Kaos, 2004, RUGGIERO, Lorenzo (a cura di), Dossier Brigate Rosse 1969-1975, Milano, Kaos, 2007; BARTALI, Roberto (a cura di), Il Sequestro di verità, Milano, Kaos, 2008.

[3] Alla lista della scarna bibliografia secondaria “amica” utilizzata dagli autori – non solo nel libro, ma anche nella replica – va aggiunto anche il volume scritto dall’ex sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero insieme a Carlo Fumian e Michele Sartori: CALOGERO Pietro, FUMIAN, Carlo, SARTORI Michele, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato, Bari-Roma, Laterza, 2010.

[4] Rispettivamente, MORO, Aldo, Le lettere dalla prigionia, Torino, Einaudi, 2008; GIANNULI, Aldo, Come funzionano i servizi segreti: dalla tradizione dello spionaggio alle guerre non convenzionali del prossimo futuro, Milano, Ponte alle Grazie, 2009; BISCIONE, Francesco Maria, Il delitto Moro, Roma, Editori Riuniti, 1998; ID., Il sommerso della Repubblica: La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; GIOVAGNOLI, Agostino, Il caso Moro : Una tragedia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2005; SATTA, Vladimiro, Il Caso Moro ed i suoi falsi misteri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006; GRASSI, Stefano, Il caso Moro: Un dizionario italiano, Milano, Mondadori, 2008; DONDI, Mirco (a cura di), I Neri e i rossi: Terrorismo, violenza e informazione negli anni settanta, Nardò, Controluce, 2008; GALLI, Giorgio, Piombo rosso: la storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 a oggi, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004.

[5] Rispettivamente, BIANCHI, Sergio, CAMINITI, Lanfranco (a cura di), Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, 3 voll., Roma, DeriveApprodi, 2007-2008 e CAZZULLO, Aldo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, Milano, Sperling & Kupfer, 2006.

[6] «La rete internazionale del terrorismo italiano», in Gnosis. Rivista italiana di intelligence, 3, 2005, citato in DE PROSPO, Silvano, PRIORE, Rosario, Chi manovrava le brigate rosse?, Milano, Ponte alle Grazie, 2011, pp. 185, 187, 188, 195, 204, 206.

[7] Il riferimento è alla frase «A parlare non sono De Prospo e Priore, ma Sergio Segio di Prima Linea. Anche lui un dietrologo?» in seguito alla citazione di SEGIO, Sergio, Una vita in Prima linea, Milano, Rizzoli, 2006.

[8] GOTOR, Miguel, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino, Einaudi, 2011; GIANNULI, Aldo, Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro, Milano, Marco Tropea, 2011.

[9] Mentre in DE PROSPO, Silvano, PRIORE, Rosario, op. cit. di Giannuli si cita solamente – e in solo due occasioni – GIANNULI, Aldo, Bombe ad inchiostro, Milano, BUR, 2008, evitando di citare i precedenti lavori sulla situazione degli archivi italiani e il successivo e precedentemente citato lavoro sui servizi segreti.

[10] Basti qui citare due sole opere che a poca distanza dai fatti misero in luce tutte le ambiguità, le menzogne e le false verità del caso 7 aprile: CRUPI, Pasquino, Processo a mezzo stampa: il 7 aprile, Venezia, Com 2, 1982 e PALERMO, Ivan, Condanna preventiva : cronaca di un clamoroso caso giudiziario che si vuol dimenticare: il 7 aprile, Napoli, Pironti, 1982.

[11] HALBWACHS, Maurice, La memoria collettiva, Milano, Unicopli, 1987; RICOEUR, Paul, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, Bologna, Il Mulino, 2004; PASSERINI, Luisa, Storia e soggettività: le fonti orali, la memoria, Firenze, La Nuova Italia, 1998.

[12] ROMANO, Sergio, «La dottrina Mitterand e i terroristi italiani», in Corriere della Sera, 3 febbraio 2010, citato in DE PROSPO, Silvano, PRIORE, Rosario, op. cit., pp. 141, 157, 159.

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Gentile redazione,

in merito alla replica di Forti si precisa quanto segue.

Cordiali saluti,

Silvano De Prospo

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Ci si chiede: quale attinenza hanno i volumi citati da Forti con la vicenda Hyperion? Altrettanto dicasi dell’intera sua replica la quale, mi si lasci dire senza offesa, è influenzata da una ben individuabile visione politico-ideologica.

Forti tace sulla rete di supporto alla latitanza di cui parliamo ampiamente nel libro per non dire che di questa rete si sono serviti sia gli Autonomi sia Cesare Battisti dei Pac, i cui romanzi vengono pubblicati ahimè proprio dalla stessa casa editrice dei tre volumi con cui ci suggerisce di misurarci: “Gli Autonomi”. Tace sul reperto numero 142 relativo alla progettazione di una colonna estera delle Brigate rosse, per non dire da chi venne redatto. Tace sul reperto sequestrato in tasca a Senzani al momento del suo arresto, sui rapporti tra Senzani e l’agente del Sismi Bellucci, sui rapporti tra Senzani, Moretti e Baudet, tra Baudet e Bellavita e i componenti di Hyperion, tace su Potere operaio e sulla libreria Echos di Zurigo su cui ha lungamente parlato Bellini. Tace sugli sventati attentati progettati all’Eur e al Ministero di grazia e giustizia, tace sul significato del progetto di sequestro di Cesare Romiti, tace su quanto venne rinvenuto durante le perquisizioni a Baudet. Tace su quanto ha pesato l’influsso dell’abbè Pierre e di Hyperion su ciò che fu la dottrina Mitterrand. Tace sulle relazioni internazionali delle Br e sulle loro riunioni parigine. Tutto ciò demistifica un’illusione di cui si sono nutrite intere generazioni; significa mettere in discussione la mistica del rivoluzionario convinto, ancora viva in alcuni ambienti.

Persone assolutamente competenti in materia, non solo hanno definito la nostra opera ben documentata, ma hanno sostenuto che con Chi manovrava le Brigate rosse? siamo riusciti a descrivere la faccenda Hyperion con maggiori indicazioni di quanto non abbiano fatto altri studiosi della materia.

Il libro ha già ricevuto molte recensioni ed ha destato interesse anche all’estero, persino oltre oceano. E, come Forti ben sa, per quanto non sia cosa rara, non è neanche facile valicare i confini della nostra angusta nazione. Le recensioni restano delle opinioni e non possono avere la pretesa di verità assolute. Neanche quella di Forti la quale, a differenza delle altre, resta purtroppo fuori tema e basata su paragoni forzati.

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Gentile redazione,

in merito alla replica di Silvano De Prospo si fa presente quanto segue.

Un cordiale saluto,

Steven Forti

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Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. A quanto pare, il proverbio descrive molto bene la posizione di Silvano De Prospo in questo dibattito. Qual è questa posizione? Riassumendo: non comprendere e non accettare costruttivamente la critica che si è fatta del volume recensito di cui è autore con il magistrato Rosario Priore; sminuire chi sta scrivendo queste righe con l’accusa – che tanto va di moda in Italia, purtroppo – di essere influenzati «da una ben individuabile visione politico-ideologica»; vantare meriti e virtù senza citarli; minimizzare la critica che gli è stata rivolta considerandola «fuori tema e basata su paragoni forzati». Più di una persona mi ha sconsigliato di replicare, perché non se ne caverebbe un ragno dal buco. Ed in effetti ci ho pensato parecchio, ma alla fine ho creduto doveroso prendere carta e penna e puntualizzare alcune affermazioni che considero un insulto alla ricerca storica e alla serietà professionale.

De Prospo chiede «quale attinenza hanno i volumi citati da Forti con la vicenda Hyperion?», cita poi una serie di fatti e di documenti, di indubbio interesse, di cui si parla in Chi manovrava le Brigate rosse? ed infine considera fuori tema e forzata l’intera recensione e la successiva replica di cui sono autore. Bene, mi sembra un giudizio quanto meno piuttosto sbrigativo. I testi di Agostino Giovagnoli, di Vladimiro Satta, di Miguel Gotor, di Aldo Giannuli o le memorie di Prospero Gallinari, Enrico Fenzi e Adriana Faranda – solo per fare qualche esempio – che ho citato nel mio intervento non avrebbero dunque attinenza alcuna con la vicenda Hyperion? Ma se, come sostengono De Prospo e Priore, Hyperion fu una sorta di centrale internazionale del terrorismo internazionale per gran parte degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta questi volumi dovrebbe interessare enormemente gli autori per vedere ciò che vi si dice e ciò che si tace al riguardo! Mi sembra piuttosto infantile rigettare le critiche espresse sostenendo semplicemente che sono estranee alla vicenda Hyperion. Parlare delle Brigate rosse e del ruolo della sinistra extra parlamentare nella storia d’Italia esula quindi dal discorso, solo perché non si nomina la scuola Hyperion? Parlare della stampa, dei documenti e del materiale prodotto dai protagonisti di quelle vicende – diari, memorie, interviste, ecc. – e notare ciò che è stato consultato e ciò che non è stato consultato per la redazione di un libro esula dunque dal discorso? E, ancora, parlare di come si fa e di come si dovrebbe fare una ricerca storica seria, di quello che Marc Bloch chiamò il mestiere di storico, esula dal discorso, quando – ci tengo a ricordarlo – scriviamo una recensione di un libro che tratta della storia contemporanea italiana in una rivista specializzata di storia contemporanea?

All’accusa, poi, rivoltami da De Prospo di voler imporre una determinata lettura politica del passato non ha nemmeno senso rispondere. Solo una piccola precisazione: una cosa è rileggere ideologicamente il passato – si pensi, ad esempio, a come un regime riscrive la storia patria nei manuali scolastici –, una cosa ben diversa è invece scrivere la storia di un soggetto, di un luogo o di una questione ed analizzare dei documenti e dei testi con il proprio bagaglio culturale e come frutto della propria formazione intellettuale. La relazione tra eventi ed interpretazioni (degli stessi eventi) è cosa estremamente complessa, come ricordava Pietro Scoppola qualche tempo fa ripensando l’ermeneutica di Hans-Georg Gadamer. Un “margine di soggettività” sempre è esistito e sempre esisterà ed il rapporto sussistente tra noi e il nostro passato è un processo sempre aperto.

Sembra che tale sottile e fondamentale differenza non sia stata tenuta presente da De Prospo. O almeno così pare leggendo la sua stringata replica. Considerare che il libro Gli autonomi di Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti sia di per sé esecrabile e da non tenere in conto solo perché pubblicato dalla stessa casa editrice, la DeriveApprodi, che ha pubblicato un romanzo di Cesare Battisti mi risulta alquanto surreale [1]. Anche la casa editrice Einaudi ha pubblicato un libro di Battisti: per questo dovremo smettere di confrontarci con i volumi pubblicati dalla casa editrice torinese [2]? Ecco qui, ben visibile, quella che De Prospo ha definito «una ben individuabile visione politico-ideologica» nello scrivere la storia, che va mano nella mano con la dietrologia di cui è pieno zeppo Chi manovrava le Brigate rosse?.

Mi si permettano ancora un paio di precisazioni. Sulla vicenda Hyperion, come sul caso Moro e sui servizi segreti deviati, l’abbiamo detto, tanto si è scritto in questi ultimi trent’anni. Il problema è che il materiale che fino ad ora si è potuto consultare non è molto: i documenti sono pochi e i coni d’ombra sono molti di più dei coni di luce. Tirare le conclusioni che hanno tirato De Prospo e Priore mi sembra semplicemente azzardato e pericoloso, oltre che storicamente fuorviante, come ho spiegato nella recensione e nel precedente intervento. De Prospo ci dice che «Persone assolutamente competenti in materia, non solo hanno definito la nostra opera ben documentata, ma hanno sostenuto che con Chi manovrava le Brigate rosse? siamo riusciti a descrivere la faccenda Hyperion con maggiori indicazioni di quanto non abbiano fatto altri studiosi della materia», però non ci dice chi sono queste persone. Sinceramente, nel libro di De Prospo e Priore non trovo grandi novità riguardo alla vicenda Hyperion rispetto a quello che si dice in una serie di articoli pubblicati su L’Europeo nel novembre del 2009 [3].

Ed infine, come scrive De Prospo, «Le recensioni restano delle opinioni e non possono avere la pretesa di verità assolute». Al pari dei libri, aggiungerei. In ogni caso, vi sono recensioni che colgono il nocciolo della questione più di altre. De Prospo ci dice che «il libro ha già ricevuto molte recensioni ed ha destato interesse anche all’estero, persino oltre oceano», purtroppo però, ancora una volta, non ci elenca tutte queste importanti recensioni positive in Italia e fuori dagli angusti confini nazionali. Dove e quali sono tali recensioni? Che giornali e che riviste hanno recensito Chi manovrava le Brigate rosse? Ci sono riviste specializzate in storia contemporanea che hanno recensito il volume? Mi pare che – e mi si perdoni nel caso in cui mi stia sbagliando – né il «Corriere della Sera», né «la Repubblica», né «Le Monde», né «El País», solo per fare qualche esempio, lo abbiano recensito. E, almeno fino ad oggi, neppure nessuna rivista storica che io conosca, italiana, spagnola o francese, tranne Diacronie, appunto. Una rapida ricerca in internet ci mostra il panorama delle recensioni di cui ha goduto in questi ultimi otto mesi il libro di De Prospo e Priore: il «Corriere dell’Irpinia», «Il Tempo» e «Varese News» [4] hanno recensito Chi manovrava le Brigate rosse?, oltre ad una web universitaria, a uno striminzito riferimento nella sezione “Altre letture” del quotidiano «Cronache di Liberal» [5] e, dulcis in fundo, al giornale telematico Destra.it diretto da Giampiero Cannella [6]. Pare che la destra italiana abbia gradito il libro di De Prospo e Priore come dimostra anche la recensione apparsa sul blog della destra veronese [7].

Credo che sia giunta l’ora di chiudere questo dibattito, arenatosi oramai su posizioni inconciliabili. Quel che si doveva dire, lo si è detto. Nulla più.

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NOTE


[1] BIANCHI, Sergio, CAMINITI, Lanfranco (a cura di), Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, Roma, DeriveApprodi, 2007-2008, 3 voll.; BATTISTI, Cesare, L’ultimo sparo, Roma, DeriveApprodi, 2004.

[2] BATTISTI, Cesare, L’orma rossa, Torino, Einaudi, 1999.

[3] CAROZZI, Ivan et alii, «Le ombre del Superclan», L’Europeo, n. 11/2009, pp. 111-119.

[4] Rispettivamente: VITALE, Norberto, «La storia e i misteri del terrorismo italiano», Corriere dell’Irpinia [online], 14 marzo 2012. URL: <http://www.corriereirpinia.it/default.php?id=8&art_id=17921>, [consultato il 4 Aprile 2012]; ANGELI, Antonio, «Il rompicapo chiamato Br», Il Tempo [online], 16 novembre 2011. URL <http://www.iltempo.it/2011/11/16/1301832-rompicapo_chiamato.shtml>, [consultato il 4 Aprile 2012]; CAMURANI, Andrea, «Vi raccontiamo chi manovrava la Brigate rosse», Varese News [online], 6 ottobre 2011. URL: <http://www3.varesenews.it/libri/articolo.php?id=215068>, [consultato il 4 Aprile 2012].

[5] Si veda la recensione firmata da: CASALINO, Rosa Anna, «Chi manovrava la Brigate Rosse?», Orizzonte Universitario.it: la voce degli studenti [online], 17 gennaio 2012. URL: <http://www.orizzonteuniversitario.it/2012/01/17/chi-manovrava-le-brigate-rosse/>, [consultato il 4 Aprile 2012]. La breve nota pubblicata sul quotidiano «Cronache di Liberal» è uscita il 28 gennaio 2012 a pagina 12.

[6] Si veda: VALLE, Marco, «Terrorismo: i segreti (sporchi) di Parigi», Destra.it [online], 23 gennaio 2012. URL: <http://www.destra.it/terrorismo-i-segreti-sporchi-di-parigi/>, [consultato il 4 Aprile 2012]. Come si può leggere nella presentazione, Destra.it è «il giornale telematico che raccoglie le idee, i contenuti, i confronti della comunità umana e intellettuale della destra europea, moderna, nazionale e sociale. Rappresenta l’accesso alla rete e la piattaforma di dibattito di chiunque, provenendo o aderendo a un lungo percorso storico, si riconosca in quei valori culturali e ideali su cui si è sedimentato nei secoli il pensiero di destra. Questo nella consapevolezza che le radici sulle quali si fonda una concezione spirituale del mondo e della vita non tramontano mai pur attualizzandosi». In questo caso sì che possiamo dire che la recensione è fortemente influenzata da «una ben individuabile visione politico-ideologica»…

[7] Si veda: ADINOLFI, Gabriele, «Chi manovrava le Brigate Rosse?», Movimento – Il blog della Destra Sociale veronese [online], 13 gennaio 2012. URL: <http://destraveronese.blogspot.com.es/2012/01/chi-manovrava-le-brigate-rosse.html>, [consultato il 4 Aprile 2012].

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