ISSN: 2038-0925

Le fonti visive

Le fonti visive sono, in apparenza, quelle che trasmettono in modo più diretto e imparziale i significati, sebbene anch’esse siano in grado di renderli ambigui o modificarli. L’esempio qui presentato dimostra che ogni immagine, al pari di ogni tipo di doumento, necessita di un attento sguardo critico. Con Regio Decreto n.2009, datato 2 novembre 1925, Ronchi prende il nome di Ronchi dei Legionari. Per l’occasione, l’amministrazione comunale commissiona un quadro celebrativo al pittore fiumano Luigi Cobelli. Posto nella sala del Consiglio, il dipinto vi rimane fin poco oltre la Seconda guerra mondiale, quando è rimosso e depositato in magazzino. Rovinatosi nel periodo di disuso, nel 1956 viene recuperato e affidato al restauro di Silvio Domini.

L’opera celebra Gabriele D’Annunzio in divisa, che domina il golfo del Quarnaro alle sue spalle. Il volto è coperto dall’ombra della tesa del cappello, il pungno è poggiato a riposo sul fianco sinistro, la mano destra stringe l’impugnatura di un bastone. Non è raffigurato il condottiero eroico che arringa la folla o i soldati. Se non lo si rionoscesse, lo si potrebbe scambiare per un anonimo ufficiale in là con gli anni. A dare spessore al tutto intervengono però degli elementi che l’artista attinge dal campionario iconografico del patriottismo: la bandiera italiana, che fa da quasi mantello agitato dal vento, e poi gli stemmi di Fiume in alto a sinistra e di Ronchi in basso a destra. L’emblema fiumano è riportato nella versione con l’aquila a una sola testa, in sostituzione di quella bicefala asburgica che vi campeggiava in origine, assumendo così una chiara connotazione politica. Lo stemma del Comune di Ronchi è costituito da uno scudo rosso, attraversato da tre monti e, in primo piano, quattro viti su un prato verde. L’uomo, il panorama, le insegne: l’osservatore si trova di fronte a simboli visivi ricchi di risvolti e in attesa di decifrazione. Mentre i due stemmi rimandano ai destini legati delle città di Fiume e di Ronchi, con al centro il poeta a fare da nesso ideale, il modo in cui questi è rappresentato risulta controverso. Perché l’autore ha scelto un D’Annunzio in atteggiamento così poco valoroso, coi lineamenti seminascosti? A svelare l’enigma soccorre la fotografia che ha funto da modello, meno fiacca, in un particolare almeno, rispetto al calco pittorico, poiché vi si scorge il vigile occhio dello scrittore abruzzese sbucare dall’ombreggiatura del berretto.

Si tratta di uno scatto realizzato a Fiume, forse nell’estate del 1920, in cui D’Annunzio indossa impeccabilmente uniforme e stivali. Il Vate è ripreso da un’angolatura alta, in una giornata soleggiata che provoca la striscia scura che gli avvolge la faccia. Lo sfondo, completamente bianco, è frutto di uno scontorno del fotogramma originale che isola la figura del comandante dalla scena, nella quale comparivano, alle sue spalle, degli atleti radunati per una gara ginnica, e al suo fianco il generale Ceccherini. Quest’operazione ha eliminato le principali informazioni di contesto, rendendo la fotografia adatta alla riproduzione in molti esemplari, tanto da essere usata da D’Annunzio per inviare saluti e dediche ad amici e compagni, come si deduce dalla firma e dalla data del 1921 impresse sulla stampa donata in copia dalla famiglia Mirabella al Comune di Ronchi. Trasformata nel 1923 in cartolina, con la didascalia «GABRIELE D’ANNUNZIO», dall’editore di Fiume Francesco Slocovich, l’illustrazione ha avuto larga diffuzione ed è reperibile in diverse pubblicazioni. Da un’istantanea in bianco e nero, di scarso impatto rispetto ad altre appartenenti all’immaginario dannunziano, Cobelli ha creato uno spettacolo mosso, colorato, colmo di riferimenti, benché di fattura non eccelsa.

Tra i vari motivi che lo hanno indotto a trasporre su tela questa foto ci può essere stata la sua disponibilità in loco, oppure, volendo proporre un’interpretazione più attinente all’ambito creativo, la neutralità del soggetto, facilmente piegabile a sensi differenti una volta mutato da affresco d’insieme a ritratto del solo D’Annunzio. Quadro e foto, in definitiva, raccontano la trasformazione di significato di un’immagine, indice della complessità che si cela dietro le fonti visive.

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