ISSN: 2038-0925

Fonti: «Volete notizie?»

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D’ANNUNZIO, Gabriele, «Volete notizie?», in ID., Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinazione, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, vol. I, Milano, Mondadori, 1954, pp. 1027-1030.
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Il riso conviene anche all’ardore come l’acqua freschissima di Fiume allevia oggi la fatica del combattente.
Ecco che una delle nostre ali inafferrabili porta nel cielo ligure uno sprazzo del nostro riso liberatore. Come può il vivido spirito italiano lasciarsi ingombrare da quella Degenerazione adiposa che s’ispessisce ogni giorno più?

«Volete notizie?» come chiedevano ironicamente i posti della radiotelegrafia austriaca.

Ecco notizie succinte.

Io partii solo da Venezia nel pomeriggio di giovedì 11, con due buoni compagni e con trentanove gradi di febbre. Scelsi il giorno 11 in commemorazione dell’impresa di Buccari. Il mio piccolo quartier generale notturno stava di faccia all’alberghetto dove gli sbirri sorpresero Oberdan. La partenza fu ritardata da più di una avversità. Potei superare ogni impedimento, e formare la colonna verso le cinque del mattino. Le stelle brillavano come in Quarto dei Mille. Erano tutte fauste. L’alba era corsa da un brivido garibaldino. Su la via di Fiume presi con me quanti volli. Poche mie parole bastavano a muovere compagnie, battaglioni, squadriglie. Le prime resistenze furono vinte dalla risolutezza, come le prime minacce erano state vinte dall’ilarità.

A qualche chilometro da Fiume composi la colonna in ordine di assalto, con cinque autoblindi in testa e due in coda. Io precedevo le Fiamme nere condotte dal Tenente Colonnello Repetto, quelle condotte dal Maggiore Nunziante, quelle del Capitano Sbacchi. Avevo con me i gloriosi Granatieri di Sardegna, miei primi compagni fin da Ronchi, comandati dal Maggiore Reina; i volontarii fiumani del Capitano Venturi, i marinai del Comandante Castracane; a cui si aggiunsero due battaglioni della Brigata Sesia, un battaglione della Brigata Lombardia, artiglieri, lancieri, bersaglieri: le rappresentanze di tutte le armi, insomma.

Avevo forze bastevoli a dar battaglia e a vincerla.

Non avevo già assicurato i miei amici d’Italia che avrei occupata Fiume con le armi la mattina del 12? Ci sono documenti che lo provano. Tenni la promessa.

Si può morire con gioia dopo aver vissuto un’ora come quella della «santa entrata». Non avevo mai sognato tanti lauri. Ogni donna fiumana, ogni fanciullo fiumano agitava un lauro, sotto un sole allucinante. Era il meriggio.

Alle ore 18 spiegai dalla ringhiera del Palazzo di città la bandiera del Timavo, parlai a una folla di circa trentacinquemila Italiani, confermai l’annessione di Fiume statuita dal Consiglio Nazionale il 30 ottobre 1918.

Diedi al Generale alcune ore per provvedere allo sgombero del Palazzo. A mezzogiorno del 13 circondai la sede coi miei Arditi, disposi mitragliatrici e autoblindi in ogni lato. Occupai la sede non senza qualche episodio drammatico. Feci rendere gli onori militari all’uscente. Presi dal Consiglio i pieni poteri statuali e militari. Con l’aiuto dei miei migliori ufficiali, organizzai sùbito tutti i servizii. La disciplina dei soldati e della cittadinanza fu nobilissima. L’allegrezza e la gentilezza furono una cosa sola. La felicità ebbe le lacrime che non aveva avuto il patimento.

Impedisco che le navi da guerra abbandonino il porto della città liberata. Ho il potere assoluto. Intere Brigate si mantengono su la linea di armistizio non per altro ordine che per ordine mio. Fiume insomma e il suo territorio sono interamente nostri. Nulla potrà mutare la sorte che noi abbiamo stabilita in questa terra infelicissima e nobilissima fra tutte. Nulla potrà piegare la mia risoluzione.

Italiani immemori ed increduli, io sono certo di vincere perché la mia audacia non ha limiti. La fortuna è con me, come a Pola, a Cattaro, al Veliki, al Faiti, a Buccari, a Vienna. E mi rido del sinistro ventriloquo, e del suo pugno grassoccio. Ecco che invento una nuova beffa veloce. Mando un’ala fiumana a spargere la verità su voi che con tanta mansuetudine vi siete acconciati al suo regime paterno. Bravi Italiani, bravi! Il lezzo non arriva fin qui.

Di tutte le cose corrotte e vili non abbiamo più memoria. Non pericoliamo più nel fango molliccio. Abbiamo sotto il passo spedito la via diritta e sonora, abbiamo per cielo la vibrazione luminosa dell’anima popolare, mentre costaggiù la furberia troppo esercitata dell’ometto rotondo si stanca in scimunitaggine.

Qui l’Esercito della Vittoria si ricostituisce intorno a un grido di confessione che diventa un grido di creazione: «Italia o morte.» Sappiamo con quali miserabili frodi si tenta di nascondere o di menomare la grandezza dell’impresa. Sappiamo con quanta remissione vi restituite nelle unghie della censura orlate di bruno. Bravi Italiani, bravi!

Ingrassatevi e moltiplicatevi a immagine del padrone che vi tratta a buffetti e a zuccherini.

Io rimango in Fiume, dove c’è un’acqua chiara e fredda che ha un sapore di Roma: un sapore di Gianicolo e di Villa Gloria.

Fiume è d’Italia, ma di un’altra Italia.

E noi saremo disertori ostinati come quelli che l’alta amnistia premia.

17 settembre 1919

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