ISSN: 2038-0925

Parole in storia: POPULISMO

di Alessandro Stoppoloni

Parole in Storia - Populismo 

Il termine populismo ha avuto negli ultimi anni una diffusione molto ampia nel linguaggio comune, anche a causa dell’uso che ne è stato fatto dai mezzi di comunicazione di massa. Tanti politici (spesso molto diversi fra loro) hanno ricevuto quest’etichetta: da Donald Trump a Bernie Sanders, da Alexis Tsipras a Marine Le Pen. Utilizzato comunemente come termine dispregiativo, populismo ha però finito per essere a volte addirittura apprezzato dal suo destinatario, voglioso di apparire diverso dai politici “tradizionali” e di riflesso più vicino al “popolo”, l’entità presente, ma sempre sfuggente, con cui si deve necessariamente fare i conti quando si affronta quest’argomento. Come spesso accade però questa parola ha una storia lunga: cercheremo qui di seguirne in modo sintetico le tracce tentando in conclusione di fornire una bussola per non rendere populismo un’espressione vuota.

Una delle prime apparizione di un termine simile a populismo (il russo narodničestvo) si ha nella Russia degli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento in cui diversi gruppi fecero del “popolo” (narod) il centro delle loro analisi teoriche e, in seguito, pratiche. Con narod si intendeva tendenzialmente la popolazione contadina delle campagne che i giovani rivoluzionari usavano come nucleo virtuoso da contrapporre agli aristocratici e ad almeno una parte dell’intelligencija. Fra i gruppi rivoluzionari era abbastanza condivisa l’idea che il modo di vivere dei contadini, basato su piccole comunità che prevedevano la gestione in comune delle terre (obščina), potesse costituire un potenziale dirompente per arrivare a un cambiamento profondo della società russa [1]. Questa convinzione si sviluppò in modo particolare dopo che nel 1861 lo Zar Alessandro II decise la liberazione dei servi della gleba. Il provvedimento, a lungo atteso, deluse però le aspettative di molti che quindi cercarono di ottenere un cambiamento radicale percorrendo altre strade. In quest’ottica nella prima parte degli anni Settanta alcuni giovani decisero spontaneamente di muoversi dalle città alle campagne per “andare al popolo”, per tentare cioè di colmare un debito che essi sentivano di avere nei confronti dei contadini e per cercare allo stesso tempo di creare dei focolai di rivolta nelle campagne [2]. I risultati non furono però quelli attesi e ben pochi contadini si dimostrarono inclini a seguire le parole dei nuovi arrivati che spesso parlavano una lingua per loro poco comprensibile. Una parte del movimento si convinse quindi che fosse lo Stato, impersonato dallo Zar Alessandro II, a essere il vero ostacolo alla libertà del popolo. Si giunse così fino alla progettazione e all’esecuzione di attentati contro lo Zar che venne infine ucciso con una bomba il 13 marzo 1881. A ciò però non seguì alcuna rivolta, contrariamente a quanto sperato dagli esecutori che, come tanti loro predecessori, dovettero subire la durissima repressione statale.

Nello stesso periodo nel continente americano pratiche politiche di tipo diverso assunsero la stessa denominazione. Negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento il rapido peggioramento delle condizioni economiche fece aumentare di molto la conflittualità sociale. Se i lavoratori delle città si organizzarono in gruppi come i Knights of Labour nelle campagne degli Stati del Sud fu la Farmers Alliance a riunire le istanze dei coltivatori impoveriti e indebitati [3]. L’iniziativa ottenne l’adesione di molti e nel 1890 si arrivò perfino alla costituzione di un partito, il Partito Populista, che si andava ad affiancare ai due tradizionali e che intendeva difendere gli interessi degli agricoltori [4]. Il partito faceva uso di una retorica tendenzialmente anti-elitista e ostile al sistema bancario [5]. Al momento di confrontarsi con le elezioni il Populist Party (o People’s Party), pur ottenendo dei successi significativi, scontò la difficoltà di coinvolgere i neri impiegati nel settore agricolo e, infine, l’alleanza elettorale con il Partito Democratico che di fatto segnerà la fine dell’esperienza populista [6].

In America Latina l’elaborazione seguì strade diverse. Negli anni Venti del XX secolo il peruviano Víctor Raúl Haya de la Torre si pose l’obiettivo di realizzare allo stesso tempo una vasta riforma agraria per tentare di migliorare le condizioni di vita delle comunità indigene e una statalizzazione di alcune imprese strategiche [7]. Haya de la Torre pensava di poter creare un blocco solido composto da operai delle fabbriche e contadini che, guidato da lui stesso e dall’APRA (Alianza popular revolucionaria americana), sarebbe stato in grado di contrapporsi a chi aveva avuto fino a quel momento il potere. In questo senso risultava particolarmente importante il legame diretto fra il capo e il “popolo”; non a caso questa “metodologia di governo” risultò negli anni successivi molto attrattiva per tutta una serie di capi politici che riuscirono a governare basandosi proprio su questa impostazione. Uno dei più noti è il brasiliano Getúlio Vargas che ottenne la carica di presidente del Brasile nel 1930 in seguito a un colpo di Stato organizzato da una parte dell’esercito. Consolidato il suo potere, Vargas volle governare cercando costantemente il consenso del popolo brasiliano: eliminati tutti i partiti politici, aveva la possibilità di confrontarsi con lui direttamente, senza intermediari [8]. La politica di Vargas cercò di coniugare elementi di destra a iniziative più favorevoli a operai e ceti svantaggiati senza trascurare un aumento significativo del ruolo dello Stato all’interno delle politiche economiche del Paese [9]. Su ingredienti simili si basò anche il successo del militare Juan Domingo Perón che nel febbraio 1946 riuscì a divenire presidente dell’Argentina. Il suo arrivo alla Casa Rosada fu possibile anche grazie a una grande partecipazione popolare, avvenuta tramite l’intervento di alcuni sindacati come la Confederación Nacional del Trabajo, degli strati più poveri della popolazione (i cosiddetti descamisados) di cui Perón, insieme a sua moglie Eva Duarte, era riuscito a ottenere la fiducia [10].

Anche limitandoci a questi pochi e brevi esempi è possibile notare come la parola populismo finisca per indicare tanti fenomeni diversi. È quindi inevitabile limitarsi a elencare esperienze storiche differenti quando si cerca di capire cos’è il populismo?

Secondo il politologo Marco Tarchi questa strategia sarebbe tutt’altro che vincente. La capacità del populismo di assumere sembianze diverse non basta per associargli un carattere di indefinitezza: d’altra parte anche idee politiche come democrazia, socialismo o liberalismo negli anni avrebbero cambiato più volte forma e modo di apparire [11]. È quindi possibile riconoscere nei vari populismi degli elementi comuni quali l’appello a un’immagine ideale del popolo che viene incitato a riprendere il ruolo che qualcuno gli ha indebitamente sottratto. Questa idea diventa discriminante: o si è parte del popolo o non lo si è; chi entra nella seconda categoria diventa il nemico, qualcuno da combattere a tutti i costi [12]. Un’altra caratteristica fondamentale del populismo sarebbe la presenza di un capo fortemente carismatico in grado di presentarsi come portavoce delle istanze popolari [13]. Tarchi inoltre ha il merito di affrontare il populismo come un fenomeno complesso che, al pari di altre forme di fare politica, può caratterizzare dinamiche di lungo periodo.

Questo tipo di considerazione sembra sposarsi bene con le considerazioni del teorico della politica argentino Ernesto Laclau che propone di intendere il populismo come una delle tante possibilità di strutturazione della vita politica, non come un’anormalità o una deviazione da una serie di possibilità più nobili o accettabili [14]. Secondo Laclau il populismo sarebbe quindi una delle modalità attraverso cui rispondere a una serie di richieste (tendenzialmente eterogenee e fino a quel momento non soddisfatte) che si formano nella popolazione. L’accumulazione di questo tipo di richieste porterebbe a creare nella società una spaccatura fra il popolo e il potere, condizione base per tutti i movimenti populisti, e in un secondo momento a sviluppare un’identità nuova in grado di rappresentare istanze anche molto diverse fra loro [15]. In questo senso Laclau sostiene che il populismo, anziché sfruttare una volontà popolare già esistente, sarebbe in grado di formarne una nuova, di creare il “popolo” usando alcuni concetti chiave che fungono da riferimento [16]. Il populismo darebbe quindi a questa parte della popolazione (denominata plebs) la possibilità (e forse addirittura il compito) di diventare tutto (populus) [17]. Date queste premesse Laclau rifiuta di usare il termine populismo per definire uno o più movimenti concreti: il populismo emerge al contrario come una logica politica in grado di mettere insieme una pluralità di domande diverse creando delle frontiere interne alla società. Se si dà questa situazione secondo Laclau si può parlare di populismo, indipendentemente dal colore politico del fenomeno che ci si trova davanti [18].

In Laclau quindi il populismo si fa creatore, diventa momento politico e finisce per essere molto più presente di quanto non si voglia credere, non potendo più essere limitato solo a questo o a quel partito o movimento.

Questa proposta ha il pregio di riempire di nuovo il termine populismo di significato, ma allo stesso tempo può metterci in difficoltà visto che differisce in modo sostanziale dall’interpretazione che viene fornita quotidianamente. Il populismo descritto da Laclau sembra però adattarsi bene agli esempi storici che abbiamo trattato e forse anche per questo motivo può essere il caso di mettere in discussione le nostre convinzioni più superficiali.

.


NOTE


[1] VENTURI, Franco, Il populismo russo, Torino, Einaudi, 1952, pp.9-36.

[2] Ibidem, pp. 816-822. 

[3] ZINN, Howard, A people’s history of the United States 1492-present, New York, Harper Perennial, 2005, pp. 284-285.

[4] Ibidem, pp. 286-287.

[5] Ibidem, pp. 288-289.

[6] Ibidem, pp. 289-294.

[7] CASTRONOVO, Valerio, Piazze e caserme. I dilemmi dell’America Latina dal Novecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 10.

[8] Ibidem, p. 26. Cfr. BONAZZI, Tiziano, Un populismo molto americano, in «il Mulino», 1/2017, pp. 91-99.

[9] Sulla politica economica dei governi populisti si può consultare CARMAGNANI, Marcello, L’altro occidente. L’America Latina dall’invasione europea al nuovo millennio, Torino, Einaudi, 2003, pp. 348-354.

[10] CASTRONOVO, Valerio, op. cit., pp. 56-57.

[11] TARCHI, Marco, L’Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 13-14 (del volume esiste anche una versione più recente il cui riferimento può essere trovato nella bibliografia che segue il testo).

[12] Ibidem, pp. 22-25.

[13] Ibidem, p. 30.

[14] LACLAU, Ernesto, La ragione populista, a cura di Davide TARIZZO, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 14-15.

[15] Ibidem, p. 70. Interessante in questo senso anche l’interpretazione che Laclau dà al ritorno di Juan Domingo Perón al potere in Argentina nel 1973.

[16] Ibidem, p. 155.

[17] Ibidem, p. 77.

[18] Ibidem, p. 111.

Bibliografia essenziale

Bibliografia essenziale

  • «Il populismo. Soggetti, culture, istituzione», in Democrazia e diritto, 3-4, 2010.
  • CASTRONOVO, Valerio, Piazze e caserme. I dilemmi dell’America Latina dal Novecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2007.
  • GELLNER, Ernst, IONESCU, Ghita (a cura di), Populism. Its meanings and national characteristics, Londra, Weidenfeld & Nicolson, 1969.
  • GENTILE, Emilio, Il capo e la folla, Roma-Bari, Laterza, 2016.
  • LACLAU, Ernesto, La ragione populista, a cura di Davide TARIZZO, Roma-Bari, Laterza, 2008.
  • REVELLI, Marco, Dentro e contro. Quando il populismo è di governo, Roma-Bari, Laterza, 2015.
  • REVELLI, Marco, Populismo 2.0, Torino, Einaudi, 2017.
  • TAGUIEFF, Pierre-André, L’illusione populista, Milano, Mondadori, 2003.
  • TARCHI, Marco, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, Bologna, Il Mulino, 2015.
  • VENTURI, Franco, Il populismo russo, Torino, Einaudi, 1952.

Video

Video

Ernesto Laclau

Il populismo secondo Ernesto Laclau (intervista in spagnolo del 9-5-2009 presso la TV Pùblica Argentina)

Galleria di immagini

Galleria di immagini

Il'ja Efimovič Repin, <em>Arresto di un propagandista</em>, 1880. Olio su tavola. 34.8 × 54.6 cm. Galleria statale Tret'jakov, Mosca. (via Wikimedia Commons [CC BY-SA 3.0])

1. Il’ja Efimovič Repin, Arresto di un propagandista, 1880. Olio su tavola. 34.8 × 54.6 cm. Galleria statale Tret’jakov, Mosca. (via Wikimedia Commons [CC BY-SA 3.0])

Manifesto di propaganda del People's Party a sostegno del candidato Thomas E. Watson (via Wikimedia Commons [CC BY-SA 3.0])

2. Manifesto di propaganda del People’s Party a sostegno del candidato per le elezioni presidenziali del 1904, Thomas E. Watson (via Wikimedia Commons [CC BY-SA 3.0])

Manifesto di propaganda estadonovista (via Wikimedia Commons [CC BY-SA 3.0])

3. Il presidente brasiliano Getúlio Vargas in un manifesto di propaganda estadonovista del 1938. Qui ritratto nelle vesti di padre amorevole della gioventù brasiliana, Vargas fu uno dei leader populisti dell’America Latina. (via Wikimedia Commons [CC BY-SA 3.0])

Juan Domingo Perón ed Eva Perón durante una cena di protocollo nel 1947 (via Wikipedia.it [CC BY-SA 3.0])

4. Juan Domingo Perón ed Eva Perón durante una cena di protocollo nel 1947. Il presidente argentino incarnò la quintessenza del populismo. (via Wikipedia.it [CC BY-SA 3.0])

Credits

  • Immagine 1: by Galleria statale Tret’jakov (Mosca) on Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)
  • Immagine 2: by Hickory Hill on Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)
  • Immagine 3: Public domain on Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)
  • Immagine 4: by Archivo Gráfico de la Nación Argentina on Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

.

.

Scrivi un commento