ISSN: 2038-0925

Parole in Storia: PARTITOCRAZIA

di Luca Bufarale

Parole in Storia - Partitocrazia

Partitocrazia, sistema dei partiti, regime partitocratico: queste ed altre espressioni simili ricorrono spesso nell’attuale dibattito politico per indicare, con evidente risvolto polemico, l’invadenza del potere dei partiti a danno del Parlamento, del Governo, delle altre istituzioni dello Stato e più in generale della sovranità dei cittadini. Per quanto anche in Gran Bretagna, Francia o Spagna si parli di partitocracy, partitocratie o partidocracia, è probabilmente in Italia che il termine ha conosciuto il suo impiego più diffuso, sia negli studi di politica e di storia, sia nella pubblicistica corrente.

Nell’uso di questa espressione l’atteggiamento dei politologi è spesso significativamente ambivalente. Alcuni di essi, come Gianfranco Pasquino, sottolineano le differenze tra il party government delle democrazie anglosassoni e la forma “degenerata” che esso ha assunto in Italia, parlando di partitocrazia soprattutto per il caso italiano [1]. Altri studiosi, tra cui Mauro Calise, preferiscono invece usare questo termine anche in riferimento a sistemi politici di altri paesi, ad esempio al Parteitenstaat tedesco o allo state of parties statunitense, ricordando come il passaggio dal liberalismo ottocentesco, espressione di ristrette élites sociali, alle moderne liberaldemocrazie si è sempre accompagnato alla presenza dei partiti e all’espansione del loro ruolo nella sfera pubblica [2].

Nel dibattito politico italiano il termine “partitocrazia” si è diffuso in modo preponderante tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, nel periodo di passaggio tra la cosiddetta Prima Repubblica, basata sui grandi partiti di massa e sul sistema elettorale proporzionale, e la Seconda Repubblica, caratterizzata dall’emersione di forze politiche nuove che evitano di definirsi come partiti e si fondano spesso sulla presenza di un leader carismatico (Forza Italia, Lega Nord, ma anche le numerose liste civiche sviluppatesi a livello locale).

L’utilizzo di questa espressione, tuttavia, risale ad almeno quarant’anni prima, alle origini, quindi, della democrazia repubblicana in Italia. In una discussione alla Consulta nel febbraio del 1946, ad esempio, si verifica un contraddittorio tra il liberale monarchico Roberto Lucifero, che denuncia come “partitocrazia” una specifica deformazione del sistema democratico che porta al prepotere dei partiti sui singoli cittadini [3], e il socialista Lucio Mario Luzzatto, il quale rivendica invece il ruolo imprescindibile dei partiti per una democrazia fondata sulla partecipazione attiva delle masse popolari alla vita pubblica:

È stato detto – afferma Luzzatto – che la democrazia dovrebbe salvarsi come dal peggiore suo nemico dalla partitocrazia. Nuovo termine. I nuovi termini destano sospetto anche perché sono stati usati già più volte per fare una politica a più facile effetto. In realtà noi sappiamo […] che i partiti sono lo strumento della democrazia e non si contrappongono al demos come partitocrazia in luogo di democrazia. Attraverso i partiti si esprime la volontà popolare, si definiscono i programmi secondo i quali ciascun elettore dà il suo voto, la sua adesione. Senza partiti organizzati e senza voto esercitato attraverso l’intermediario dei programmi e delle presentazioni di candidati fatte dai partiti, non si è avuta sinora effettiva democrazia. [4]

A dare ulteriore notorietà al termine contribuisce il giurista liberale (ma con trascorsi fascisti) Giuseppe Maranini [5] che nel 1949 inaugura l’anno accademico all’Università di Firenze con una lezione dal titolo “Governo parlamentare e partitocrazia” [6]. Maranini, che si rifà esplicitamente al volume di Marco Minghetti del 1881 contro le inframmettenze dei partiti (all’epoca non ancora “di massa”) nell’amministrazione e, in generale, a quella tradizione politologica che sottolinea il ruolo imprescindibile delle oligarchie in qualsiasi processo politico (ad esempio Roberto Michels e la sua Sociologia del partito politico nella democrazia moderna del 1911) [7], denuncia la “tirannide partitocratica” come conseguenza di un eccessivo potere conferito ad un Parlamento che, anche a causa del sistema elettorale proporzionale, risulta perennemente instabile:

Lo stato chiama il partito a concorrere con il corpo elettorale nella designazione dei membri del parlamento, che […] è diventato il nuovo onnipotente delegato della sovranità popolare. Ma nell’atto in cui conferisce al partito un così formidabile potere, lo stato continua tuttavia ad ignorarlo almeno come istituzione, se non come associazione. Le sue finalità, i suoi statuti, la sostanziale democrazia della sua vita interna, perfino la sua indipendenza da poteri extranazionali o da forze dichiaratamente illiberali e quindi incompatibili con le finalità di uno stato democratico: tutto questo non interessa lo stato […].

Nel momento in cui lo stato in tal modo abdica di fronte al partito, il lungo ciclo evolutivo del sistema costituzionale e poi parlamentare si conclude paradossalmente con il rinnegamento dei suoi principi essenziali […]. Il partito che controlla lo stato, non ne è controllato. [8]

In genere, dalla seconda metà degli anni Quaranta sino almeno agli anni Settanta, il termine “partitocrazia” si ritrova prevalentemente nella pubblicistica di destra. Il suo uso non mira soltanto a denunciare la carenza di democrazia interna ai partiti o il loro peso nella gestione degli enti pubblici [9], ma tende spesso ad assumere connotati denigratori nei confronti dell’intera “democrazia dei partiti” così come si era costituita dopo la Resistenza. Nota lucidamente a questo proposito lo storico Salvatore Lupo:

Il termine partitocrazia […] conteneva forti potenzialità ideologiche, teso com’era a stigmatizzare non tanto le colpe dell’uno o dell’altro partito quanto gli aspetti degenerativi del sistema in quanto tale, e dunque la Repubblica quale realmente era, nelle forze fondamentali che l’avevano creata. [10]

Non a caso la difesa del ruolo democratico dei partiti contro la polemica antipartitocratica viene svolta in questo periodo specialmente da esponenti della sinistra come il socialista Lelio Basso (cui si deve la prima formulazione dell’articolo 49 della Costituzione sulla funzione dei partiti politici) [11] o da quei dirigenti della Democrazia cristiana più inclini al dialogo con le sinistre quale ad esempio Aldo Moro [12].

A partire soprattutto dagli anni Ottanta, però, la polemica antipartitocratica diventa maggiormente trasversale, coinvolgendo ex democristiani come Mario Segni, forze politiche emergenti (Lega Nord) o tradizionalmente ostili alla “partitocrazia” (radicali), sino ad ambienti della sinistra liberal. Ad essere messi sotto accusa sono il finanziamento dei partiti (sia quello pubblico, lecito, sia quello di natura illecita), i legami clientelari di questi con gruppi di interesse, la spartizione delle cariche pubbliche (“lottizzazione”) e la mancanza di un ricambio negli incarichi di governo e amministrativi, anche a causa del “bipartitismo imperfetto” che contrappone un partito presente in tutti gli esecutivi a partire dal secondo dopoguerra (Democrazia cristiana) ad uno perennemente all’opposizione (Partito comunista) [13]. Tale polemica risulta decisiva nell’alimentare all’inizio degli anni Novanta una “retorica antiregime” [14] contro lo “strapotere dei partiti” e nel promuovere i referendum dell’aprile 1993 per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e per l’introduzione della legge elettorale maggioritaria [15].

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NOTE


[1] PASQUINO, Gianfranco, Partitocrazia, in ID. (a cura di), La politica italiana. Dizionario critico 1945- 1995, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 341-353.

[2] CALISE, Mauro, Dopo la partitocrazia. L’Italia tra modelli e realtà, Torino, Einaudi, 1994, pp. 13-39.

[3] Cfr. QUAGLIARIELLO, Gaetano, I liberali e l’idea di partito nella stagione costituente, in FRANCESCHINI, Claudia, GUERRIERI, Sandro, MONINA, Giancarlo, Le idee costituzionali della Resistenza, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1997, pp. 278-279.

[4] LUZZATTO, Lucio Mario, Intervento alla Consulta del 14 febbraio 1946, in Atti dell’Assemblea primaria, p. 697, URL: < http://www.senato.it/documenti/repository/leggi_e_documenti/raccoltenormative/27%20-%20Consulta%20Nazionale/Aula/Resoconti/Seduta%20%20n.%2024%20%20del%2014%20febbraio%201946.pdf > [consultato il 20 dicembre 2012].

[5] Cfr. su di lui le osservazioni critiche di LUPO, Salvatore, Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica (1946-78), Roma, Donzelli, 2004, pp. 89-93.

[6] MARANINI, Giuseppe, Governo parlamentare e partitocrazia, in ID., Miti e realtà della democrazia, Milano, Edizioni di Comunità, 1958, pp. 39-63.

[7] MARANINI, Giuseppe, Prefazione, in ID., Miti e realtà della democrazia, cit., p. 9 e p. 21. Cfr. MINGHETTI, Marco, I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione, Ravenna, Libro Aperto, 2003 [Ediz. originale: I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione, Bologna, Zanichelli, 1881]; MICHELS, Roberto, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Bologna, Il Mulino, 1966 [Ediz. originale: Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie. Untersuchungen über die oligarchischen Tendenzen des Gruppenlebens, Leipzig, Werner Klinkhardt, 1911].

[8] MARANINI, Giuseppe, Governo parlamentare e partitocrazia, cit., p. 58.

[9] Questo tema si ritrova spesso nella critica alla partitocrazia svolta tra la fine degli anni quaranta e gli anni cinquanta dal fondatore del Partito popolare italiano, Luigi Sturzo. Cfr. ad es. STURZO, Luigi, «Partiti e partitocrazia», in Il Popolo, 3 luglio 1949, riportato in ID., Politica di questi anni. Consensi e critiche: dall’aprile 1948 al dicembre 1949, Bologna, Zanichelli, 1955, pp. 267-272.

[10] LUPO, Salvatore, op. cit., p. 91.

[11] L’art. 49 recita: «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Cfr. BASSO, Lelio, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE E GLI STUDI LEGISLATIVI, Indagine sul partito politico, Vol. I, La regolazione legislativa, Milano, Giuffrè, 1966, pp. 5-128. Parzialmente riportato in URL: < http://www.leliobasso.it/documento.aspx?id=6039dcd1d02ffc8b0eac421080fbc638 > [consultato il 20 dicembre 2012].

[12] Nella relazione all’VIII congresso nazionale della Democrazia Cristiana del gennaio 1962, che inaugura la politica di apertura ai socialisti, Moro definisce la polemica partitocratica come una polemica essenzialmente di destra, che «pretendendo di porsi come correzione di abusi compiuti nell’azione dei partiti, […] ha di mira in realtà l’emergere di opinioni, l’affermarsi di interessi, l’elevarsi sino a posizioni di potere di ceti che si era abituati a considerare fuori gioco». Cfr. MORO, Aldo, Il partito e le scelte di fondo della politica nazionale, citato in LUPO, Salvatore, op. cit., p. 176.

[13] Cfr. PASQUINO, Gianfranco, Partitocrazia, cit. Per l’espressione “bipartitismo imperfetto” vedi GALLI, Giorgio, Il bipartitismo imperfetto, Bologna, Il Mulino, 1966.

[14] Cfr. BLANDO, Antonino, Italia 1992-93: la retorica del regime, in VIOLA, Paolo, BLANDO, Antonino, Quando crollano i regimi, Palermo, Palumbo, 2004, pp. 93-116. Vedi anche MASTROPAOLO, Alfio, Antipolitica. Alle origini della crisi italiana, Napoli, L’Ancora, 2000.

[15] Sulle speranze e le delusioni della “stagione referendaria” del 1991-1993 cfr. le osservazioni critiche di CALISE, Mauro, op. cit., pp. 137-158.

Bibliografia essenziale

Bibliografia essenziale

  • BASSO, Lelio, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE E GLI STUDI LEGISLATIVI, Indagine sul partito politico, Vol. I, La regolazione legislativa, Milano, Giuffrè, 1966, pp. 5-128.
  • CALISE, Mauro, Dopo la partitocrazia. L’Italia tra modelli e realtà, Torino, Einaudi, 1994.
  • FRANCESCHINI, Claudia, GUERRIERI, Sandro, MONINA, Giancarlo (cur.), Le idee costituzionali della Resistenza, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1997.
  • KATZ, Richard S. (ed.), Party governments. European and American experiences, Berlin, de Gruyter, 1987.
  • LUPO, Salvatore, Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica (1946-1978), Roma, Donzelli, 2004.
  • MARANINI, Giuseppe, Miti e realtà della democrazia, Milano, Edizioni di Comunità, 1958.
  • MICHELS, Roberto, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Bologna, Il Mulino, 1966 [Ediz. originale: Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie. Untersuchungen über die oligarchischen Tendenzen des Gruppenlebens, Leipzig, Werner Klinkhardt, 1911].
  • MINGHETTI, Marco, I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione, Ravenna, Libro Aperto, 2003 [Ediz. originale: I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione, Bologna, Zanichelli, 1881].
  • PASQUINO, Gianfranco, Partitocrazia, in ID. (cur.), La politica italiana. Dizionario critico 1945-1995, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 341-53.
  • SCOPPOLA, Pietro, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, Bologna, Il Mulino, 1997.

Video

Video

Partiti e partitocrazia

Gli interventi di Piero Craveri, Luigi Covatta e Giuseppe De Rita.

Sitografia

Sitografia

Il sito http://public.it offre un’interessante rassegna della critica o della difesa del ruolo dei partiti nella democrazia. URL: < http://public.it/partiti/default.htm > [consultato il 20 dicembre 2012].

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One comment
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  1. buondì,
    sono intento a studiare la rappresentanza politica ed in particolare l’influenza che hanno avuto i partiti sulla società nella prima rep.
    mi sono imbattuto nel tema polemico di maranini: ho voluto approfondire e su google mi è apparso il sito studistorici.com con la sua prolusione. mi è stata davvero di aiuto. la ringrazio vivamente.
    cordialità.

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