ControVersa: UNITÀ D’ITALIA / GUERRA DI CONQUISTA DEL SUD
di Valentina Mendicino
Unità d’Italia / Guerra di conquista del Sud
In un precedente post è stato trattato il tema dell’Europeismo a confronto con i Nazionalismi dando una visione dell’Europa come “unione delle secessioni”. Lo stesso confronto può essere affrontato per l’Italia vedendo il nostro paese come l’unione di più regni ancora oggi divisi per politica, economia, cultura, gastronomia e molto altro ancora.
La storia e la storiografia ufficiali [1], quelle presenti sui libri di testo, e insegnate nelle scuole, raccontano, infatti, di un’Italia nata dall’unione del Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Ducati di Parma e Modena, Regno Lombardo-Veneto e Regno delle Due Sicilie (Figura 1) attraverso un processo di unificazione del paese ad opera del genio politico di Cavour e delle prodezze militari di Garibaldi.
Sulle modalità con cui tale unità è stata raggiunta ci sono, però, visioni contrastanti in considerazione del fatto che la narrazione sia quella della storiografia ufficiale o quella di un revisionista storico, meglio se neoborbonico, del Risorgimento italiano.
Secondo la prima, la discesa nel meridione d’Italia di Giuseppe Garibaldi e dei suoi mille uomini, che consentì di annettere il Mezzogiorno al Piemonte (1860) e quindi di giungere alla fondazione del Regno d’Italia (1861), fu accolta con grande entusiasmo dalla popolazione meridionale, entrando negli annali come un’impresa, con tutte le accezioni positive a cui il termine rimanda. Per le sue azioni, come la spedizione dei mille appena citata, Garibaldi dimostrò di avere non solo capacità militari ma anche indiscutibile intuito politico ed è considerato uno dei più grandi artefici del Risorgimento italiano. Il popolo del Regno delle Due Sicilie, il cui territorio coincideva più o meno con l’attuale mezzogiorno, era oppresso dalla tirannia dei Borbone, dinastia regnante in questa parte della penisola prima dell’Unità. Ferdinando II di Borbone, (re dall’8 novembre 1830 al 22 maggio 1859) è descritto come un uomo violento, soprannominato Re Bomba in seguito al bombardamento di Messina (settembre 1848), da lui ordinato per reprimere i moti rivoluzionari antiborbonici che imperversavano nell’isola. Il suo regno, sul cui trono gli successe Francesco II (dal 22 maggio 1859 al 13 febbraio 1861), ultimo re Borbone in assoluto del Regno delle Due Sicilie – ricordato anch’egli con un soprannome poco onorevole, Franceschiello – era caratterizzato da un clima di immobilismo politico, arretratezza economica e amministrativa. Il popolo, secondo la versione scolastica, sperava di essere liberato dal dominio dei Borbone per ottenere le terre possedute fino a quel momento dai latifondisti. Altro segno della debolezza nella gestione dello Stato da parte della dinastia allora regnante, fu l’incapacità di organizzare una difesa militare all’attacco del Regno di Sardegna, che vinse con facilità la battaglia di Catalafimi del 15 Maggio 1860. La mancata omogeneità economica e culturale del paese, la questione meridionale e il fenomeno del brigantaggio sono visti come mere conseguenze delle spropositate aspettative della popolazione meridionale nei confronti di Garibaldi e del neonato Regno d’Italia, che di fatto ignoravano la situazione disastrosa in cui versava il Sud Italia.
Secondo la visione revisionista e neoborbonica, l’antistoria del Risorgimento può essere, invece, sintetizzata nei tre seguenti punti, contrapposti alla versione appena narrata:
1) il processo di unificazione viene reinterpretato come guerra di conquista nei confronti di un Sud ricco da parte di un Piemonte (allora Regno di Sardegna) fortemente indebitato e non come un interesse umanitario nella liberazione del Sud dai Borbone;
2) il Regno delle Due Sicilie era avanzato in vari settori e non arretrato, come riportato dalla vulgata dai testi scolastici;
3) il brigantaggio assume il connotato, in chiave revisionista, di legittimo movimento di resistenza all’invasione piemontese intrapresa senza dichiarazione di guerra, e quindi illegittima, in opposizione a una visione meramente delinquenziale del fenomeno.
Come accennato da Sergio Romano ne La nostalgia dei Borbone e il Risorgimento del Sud, il processo di unificazione ha avuto dei protagonisti stranieri come la Gran Bretagna e la Francia che hanno reso meno “nazionale” il concetto di Unità. L’interesse da parte di queste due grandi potenze europee era di tipo politico-economico e, secondo i neoborbonici, un vero e proprio complotto internazionale ai danni del Regno delle Due Sicilie. Secondo la storiografia neoborbonica, che offre una versione diversa rispetto all’idea generalmente condivisa, queste potenze straniere non erano animate da un interesse di tipo “umanitario” volto a raccogliere la richiesta di liberazione da parte del Sud. Come spiega Carlo Alianello nella sua opera La conquista del Sud si riesce a capire come, partendo da questo fraintendimento, si sia diffusa l’immagine arretrata del Mezzogiorno che conosciamo oggi. Un significativo esempio di questo, secondo Alianello, è la relazione che Lord Gladstone inviò a Lord Aberdeen in cui descriveva il Regno dei Borbone come la “negazione di Dio” riferendosi alle torture praticate da questi tiranni e alle immorali e scandalose carceri borboniche. Nell’antistoria del Risorgimento, Lord Gladstone non entrò mai in un carcere, né nel regno borbonico. Dopo le accuse ricevute da Lord Gladstone, i Borbone invitarono chiunque, secondo Alianello, a visitare le proprie carceri per smentire quanto dichiarato ma senza esito. Per contro, grazie alle ambasciate britanniche, il contenuto della missiva si diffuse in tutta Europa contribuendo alla creazione dello stereotipo meridionale che conosciamo oggi.
La spiegazione razionale che i neoborbonici attribuiscono alla diffusione di questa storia, che ritengono essere falsa, è strettamente connessa alla questione dello zolfo a cui i britannici erano interessati, tanto è vero che avevano stipulato un trattato di commercio con il Regno delle Due Sicilie, unico possessore dei giacimenti dello zolfo in Sicilia. Il complotto internazionale sembra avere anche delle cause ancora più specifiche proprio relative a questo trattato. Infatti, re Ferdinando vendeva lo zolfo, secondo il trattato di commercio del 1816, ai britannici che poi a loro volta lo rivendevano a prezzi molto più elevati; re Ferdinando però si accorse che il suo popolo veniva sfruttato per produrre lo zolfo e che in fin dei conti non ne traeva un così gran guadagno, motivo per cui violò il trattato vendendo lo zolfo a una società francese che era in grado di pagarlo quasi il doppio. Questa violazione degli accordi suscitò quindi le ire della gran Bretagna che minacciò la guerra, evitata grazie all’intervento della Francia che costrinse il Regno delle Due Sicilie a vendere nuovamente lo zolfo ai britannici ma rimborsando i francesi per il mancato guadagno e la Gran Bretagna per le perdite subite.
Alianello cerca di ristabilire la verità storica riguardo alle cause dell’unificazione; egli non sminuì mai in alcuna sua opera il valore dell’unità nazionale, ma mise in discussione il processo che permise di arrivare a tale unità, visto come un processo di conquista e come l’invasione di un paese straniero. Nicola Zitara, contrariamente ad Alianello, critica non solo il processo di unificazione ma l’Unità in sé auspicando un ritorno al Regno delle Due Sicilie eliminando il cosiddetto tutore – il Nord – nei rapporti commerciali con l’Europa. Egli è, infatti, il punto di riferimento dei neoborbonici più estremi, quelli indipendentisti e secessionisti secondo i quali le condizioni del Sud sono peggiorate con l’arrivo di Garibaldi. Egli ne è così convinto che afferma (riferendosi all’eroe dei due mondi): «gli direi di starsene a casa sua» (cit.). Gigi Di Fiore, ad esempio, afferma che il processo di unificazione, in particolar modo la repressione del brigantaggio, fu una «Guerra civile che fece tanti morti pari a quelli delle tre guerre d’indipendenza messe insieme». Lo stesso Garibaldi rimase deluso e dichiarò che «erano cose da cloaca» quando scoprì che il Piemonte aveva venduto Nizza, la sua città, in cambio dell’alleanza con la Francia. Secondo lo scrittore, ma anche secondo i già citati Alianello, Zitara e altri giornalisti e storici come Sergio Romano, il professore e presidente dell’IMES Salvatore Lupo e altri ancora, mettere in discussione l’unificazione significa mettere in discussione il Risorgimento che viene definito come una vera e propria guerra civile. Denominare in questo modo il processo di unificazione significa considerare alcuni eventi come crimini di guerra: eccidi, stragi, stupri, crudeltà compiute dall’esercito invasore. I neoborbonici rievocano in particolar modo i seguenti avvenimenti per sottolineare la falsità nei confronti di un’agiografia di alcuni personaggi che dovrebbe essere invece tramutata in verità storica: le stragi di Pontelandolfo e Casalduni avvenute il 14 Agosto 1861; l’istituzione dei lager sabaudi per meridionali nel 1863; la repressione del Brigantaggio e la Legge Pica del 1863; gli studi di antropologia criminale di Cesare Lombroso (affrontati dal 1870 in poi).
L’esistenza di movimenti neoborbonici più o meno estremisti e di un revisionismo storico del Risorgimento italiano, configura l’altra faccia che si oppone alla retorica patriottica, protagonista dei 150 anni d’Italia, celebrati il 17 Marzo 2011. I festeggiamenti, infatti, non rendono conto del malcontento odierno, al Nord e al Sud, meglio rappresentato, invece, dai movimenti estremisti dei neoborbonici e dalla Lega Nord. Se il Sud Italia fosse stato o no un grande Regno, se avesse avuto o meno i suoi momenti di gloria, se fosse veramente arretrato già al momento dell’unificazione o se fosse peggiorato dopo l’Unità, fatto sta che ancora oggi l’Italia è un paese profondamente diviso.
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NOTE
[1] Si veda, a titolo d’esempio, BERTINI, Franco, Storia Fatti e Interpretazioni 2, Torino, Mursia, 2006. ↑
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