ISSN: 2038-0925

Parole in storia: DISOCCUPAZIONE

di Manfredi Alberti

Parole in Storia - Disoccupazione

 

Secondo la teoria economica oggi prevalente, la disoccupazione è la mancanza temporanea o permanente di un’occupazione retribuita, dovuta o a cause indipendenti dalla volontà del soggetto privo di impiego (disoccupazione involontaria), o alla volontà di quest’ultimo di non accettare un lavoro considerato non adeguato alle proprie esigenze (disoccupazione volontaria). Bisogna subito chiarire che non si tratta di una definizione pacifica. Da un lato, infatti, essa è il frutto di un processo storico durante il quale la nozione stessa di disoccupazione è stata oggetto di letture contrastanti. Dall’altro, tale definizione non sembra del tutto adeguata a cogliere due caratteristiche di fondo della disoccupazione: la sua natura essenzialmente involontaria, e il suo stretto legame con uno dei modi storicamente esistiti di produrre la ricchezza sociale, ossia il capitalismo. Questi due aspetti della disoccupazione sono entrambi presenti, sia pure in modi diversi, nelle indicazioni teoriche di due massimi pensatori dell’età contemporanea, Karl Marx (1818-1883) e John Maynard Keynes (1883-1946).

La riflessione di Marx sulla disoccupazione è volta a dimostrare che la mancanza di lavoro non è un fenomeno naturale, ma un prodotto necessario dell’accumulazione capitalistica. L’analisi della disoccupazione, che Marx chiama “sovrappopolazione relativa” o “esercito industriale di riserva”, è uno dei primi tentativi di fornire una spiegazione storica e teorica della tendenza del sistema capitalistico a generare, in virtù dell’innovazione tecnologica, una quota di popolazione eccedente rispetto alle esigenze di valorizzazione del capitale. Anche secondo Keynes il capitalismo non garantisce in alcun modo la piena occupazione, e non assicura che la distruzione di posti di lavoro generata dalle innovazioni tecniche sia compensata da un flusso adeguato di nuovi investimenti in grado di riassorbire i disoccupati. Secondo Keynes, le cui teorie hanno in parte ispirato molte delle politiche economiche della seconda metà del Novecento, per raggiungere la piena occupazione le strade da percorrere sarebbero almeno due: un intervento attivo dello Stato volto a garantire una domanda complessiva adeguata per quantità e qualità, nonché, nel lungo periodo, una progressiva e generalizzata riduzione degli orari di lavoro[1].

Sebbene la disoccupazione si sia sviluppata insieme all’affermazione del modo di produzione capitalistico, la categoria analitica ad essa corrispondente si consolidò storicamente solo a cavallo fra Otto e Novecento. Per gran parte dell’Ottocento in Italia come in tutta Europa il tema della disoccupazione involontaria rimase oscurato dalla celebrazione della laboriosità, uno dei valori fondamentali della cultura borghese dell’epoca. Economisti, moralisti e politici tralasciarono per molto tempo il problema della disoccupazione involontaria, soffermandosi piuttosto sull’ “oziosità” in quanto stile di vita negativo da sottoporre a critica. La stessa parola “disoccupazione” era poco usata. Per indicare ciò che noi oggi intendiamo con disoccupazione, si adoperava spesso – non casualmente – l’espressione “ozio forzato” (o anche “sciopero forzato”). Anche il concetto statistico di popolazione “disoccupata” (come parte integrante della popolazione attiva) si diffuse solo a inizio Novecento, in relazione all’affermazione del movimento operaio e contadino e in corrispondenza con il primo emergere di un riformismo di stampo liberale, fautore della nascita dello Stato sociale. Come ha sottolineato Christian Topalov, la storia dell’avvento della categoria statistica di “disoccupazione” è anche la storia di un’innovazione lessicale, compiuta in parte in modo consapevole dai riformatori sociali di fine Ottocento. Fu solo allora, infatti, che si consolidò un po’ ovunque nei paesi occidentali l’uso di nuove parole per definire la condizione dei senza lavoro[2].

In Italia la progressiva definizione della moderna figura del disoccupato involontario, distinta dal mare magnum indifferenziato delle “classi pericolose”, degli “oziosi” e dei poveri, può essere colta osservando le trasformazioni del vocabolario. La disoccupazione, infatti, si affermò come nuovo elemento di dibattito sia in quanto categoria analitica, sia in quanto parola. L’uso moderno della parola “disoccupato”, come sostantivo o aggettivo volto a designare lo stato di chi involontariamente è privo di occupazione, cominciò a diffondersi nell’Ottocento, divenendo abituale solo alla fine del secolo. Un po’ più tarda fu la diffusione del sostantivo “disoccupazione” il quale, in analogia con l’inglese, in italiano risulta un derivato di “disoccupato”[3].

Analogamente, nella lingua francese una chiara innovazione lessicale si determinò solo alla fine dell’Ottocento. Al temine chômage, che cominciò a indicare con sempre minori possibilità di equivoco la disoccupazione involontaria, si affiancò una parola prima di allora sconosciuta, chômeur. Nel campo dell’economia politica il termine chômage era rimasto a lungo assente, tant’è che fino alla fine dell’Ottocento esso non comparve nei dizionari di economia politica. Prima di allora le espressioni più diffuse per indicare il fenomeno della disoccupazione involontaria erano state manque d’ouvrage, manque de travail, interruption de travail e altre ancora[4].

Anche nella lingua inglese solo alla fine dell’Ottocento il termine unemployed acquisì un significato stabilmente riferito ai lavoratori salariati, cessando, nella maggior parte dei casi, di essere usato in modo generico. Sino alla fine del XIX secolo, in ogni caso, permase una sovrapposizione di due significati di unemployed: “inattivo” e “temporaneamente privo di lavoro”. In inglese, sino alla fine dell’Ottocento, la locuzione più usata per designare la condizione del disoccupato temporaneo restò un’espressione di origine popolare, usata anche dalle classi dirigenti: out of work. Negli Stati Uniti, invece, rimase molto diffuso il termine idle (“inattivo”), che nell’uso popolare non aveva alcuna connotazione negativa. Parallelamente all’affermazione della nuova accezione tardo-ottocentesca del termine unemployed, in inglese comparve per la prima volta una parola fino allora pressoché sconosciuta, il sostantivo unemployment[5], una delle cui prime occorrenze sembra potersi rintracciare in uno scritto di Alfred Marshall del 1888[6]. In una delle sue prime definizioni, quella del dizionario di William D. Whitney, pubblicato a New York nel 1891, il termine è considerato raro, e i suoi contorni semantici sono ancora vaghi: «la condizione di essere disoccupati; lo stato delle cose inutilizzate»[7].

La storicità del fenomeno della disoccupazione, dunque, non riguarda soltanto la sua manifestazione oggettiva, ma anche le modalità della sua interpretazione e della sua misurazione statistica. L’affermazione del dibattito sulla disoccupazione avvenne in tutto il mondo occidentale fra Otto e Novecento, anche in virtù di cambiamenti epocali di ordine economico e politico. Tali premesse di ordine economico-strutturale e politico-istituzionale si possono così riassumere. Prima di tutto una sufficiente trasformazione capitalistica dell’agricoltura e dell’industria, nonché la formazione di un proletariato tendenzialmente sempre più privo dei tradizionali strumenti di assistenza e di integrazione del reddito. In secondo luogo il consolidamento di un movimento dei lavoratori in grado di sollecitare un dibattito politico ed economico sulla necessità di fronteggiare il disagio derivante dalla precarietà dell’occupazione, e di creare al contempo una rete di organismi (come le camere del lavoro e le federazioni di mestiere) capaci di fornire i primi dati, seppure frammentari, sul numero di disoccupati. Infine un quadro istituzionale e giuridico tale da configurare un superamento dell’impianto classico dello Stato liberale (per il quale il problema di conoscere e combattere il fenomeno della disoccupazione, in linea di principio, non si poneva neppure).

Nel caso dell’Italia queste precondizioni si verificarono in modo congiunto solo sul finire del XIX secolo, consolidandosi pienamente durante il periodo dominato dalla figura politica di Giovanni Giolitti e dal tentativo, precario e irto di ostacoli, di integrare alcune istanze del socialismo riformista all’interno dell’architettura istituzionale dello Stato liberale. Come ha mostrato una storiografia ormai consolidata, nelle società occidentali la presa di coscienza dell’esistenza del problema della disoccupazione può essere ricondotta a una periodizzazione tutto sommato omogenea. Le ricerche che hanno preso in esame la realtà degli Stati Uniti, della Germania, dell’Inghilterra, della Francia e della Spagna hanno individuato nel periodo a cavallo fra Otto e Novecento il momento della “scoperta della disoccupazione” come problema sociale, come fenomeno da fronteggiare anche mediante un’accurata conoscenza statistica[8].


NOTE


[1] MARX, Karl, Opere complete, vol. XXXI, Il capitale. Critica dell’economia politica, Libro primo (1867), Napoli, La Città del Sole, 2012 [Ed. originale 1867]; KEYNES, John M., Prospettive economiche per i nostri nipoti (1930), in ID., La fine del ‘laissez-faire’ e altri scritti economico-politici, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, pp. 57-68; ID, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Torino, Utet, 2005 [Ed. originale 1936].

[2] TOPALOV, Christian, Naissance du chômeur 1880-1910, Paris, Albin Michel, 1994, p. 116.

[3] Cfr. BELLINI, Bernardo et alii (a cura di), Vocabolario universale della lingua italiana, Mantova, Negretti, 1847; TOMMASEO, Niccolò, BELLINI, Bernardo, Dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, 1865; ACCADEMIA DELLA CRUSCA, Vocabolario degli accademici della Crusca, Firenze, Tipografia Galileiana, 1882.

[4] TOPALOV, Christian, op. cit., pp. 119-126.

[5] L’origine del termine unemployment, a suo tempo, fu oggetto di una discussione storiografica a cui prese parte anche Edward P. Thompson. Cfr. THOMPSON, Edward P., Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Milano, il Saggiatore, 1969, vol. II [Ed. originale 1963], p. 387, n. 102. Alla luce delle acquisizioni più recenti sembra provato che i termini unemployed e unemployment, per quanto già esistenti prima della fine dell’Ottocento, fossero prima di allora scarsamente utilizzati (TOPALOV, Christian, op. cit., p. 155).

[6] BURNETT, John, Idle hands. The experience of unemployment, 1790-1990, London, Routledge, 1994, p. 149.

[7] TOPALOV, Christian, op. cit., pp. 126-149.

[8] Per maggiori riferimenti bibliografici si rimanda ad ALBERTI, Manfredi, La “scoperta” dei disoccupati. Alle origini dell’indagine statistica sulla disoccupazione nell’Italia liberale 1893-1915, Firenze, Firenze University Press, 2015; ID., Senza lavoro. La disoccupazione in Italia dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2016.

Bibliografia essenziale

Bibliografia essenziale

  • ALBERTI, Manfredi, La “scoperta” dei disoccupati. Alle origini dell’indagine statistica sulla disoccupazione nell’Italia liberale 1893-1915, Firenze, Firenze University Press, 2015.
  • ALBERTI, Manfredi, Senza lavoro. La disoccupazione in Italia dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2016.
  • BURNETT, John, Idle hands. The experience of unemployment, 1790-1990, London, Routledge, 1994.
  • MARX, Karl, Opere complete, vol. XXXI, Il capitale. Critica dell’economia politica, Libro primo, Napoli, La Città del Sole, 2012.
  • KEYNES, John Maynard, Prospettive economiche per i nostri nipoti (1930), in ID., La fine del ‘laissez-faire’ e altri scritti economico-politici, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, pp. 57-68.
  • KEYNES, John Maynard, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Torino, Utet, 2005 [Ed. originale 1936].
  • MUSSO, Stefano, Storia del lavoro in Italia dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio, 2011.
  • TOPALOV, Christian, Naissance du chômeur 1880-1910, Paris, Albin Michel, 1994.
  • THOMPSON, Edward Palmer, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Milano, il Saggiatore, 1969 [Ed. originale 1963].

Video

Video

Senza lavoro. La disoccupazione in Italia dall’Unità a oggi

Intervista a Manfredi Alberti.

Disoccupato in affitto. In giro per l’Italia alla ricerca di un lavoro (2010).

Un documentario di Luca Merloni e Pietro Mereu.

Galleria di immagini

Galleria di immagini

Karl Marx" via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

1. Karl Marx.

John Maynard Keynes" via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

2. John Maynard Keynes.

Riso Amaro" Otello Martelli via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

3. Scena dal film Riso amaro di Giuseppe De Santis (Italia, 1949). Nel film sono descritti la fame di lavoro nell’Italia del secondo dopoguerra e le condizioni di sfruttamento delle lavoratrici agricole.

Pinocchio. Illustrazione di Enrico Mazzanti (1850-1910)" via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

4. Pinocchio. Illustrazione di Enrico Mazzanti (1850-1910). Nell’opera di Carlo Collodi è chiaramente espressa la condanna dell’ozio tipica della cultura borghese dell’Ottocento.

Margaret Bourke-White, The American Way of Life (1937)" via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

5. Margaret Bourke-White, The American Way of Life (1937)

Credits

  • Immagine 1: Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
  • Immagine 2: Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
  • Immagine 3: by Giuseppe De Santis / Otello Martinelli via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
  • Immagine 4: by Enrico Mazzanti (1852-1910) via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
  • Immagine 5: by Margaret Bourke-White, The American Way of Life (1937) via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).

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2 comments
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  1. Non si sottolineerà mai abbastanza che, per millenni fino all’Ottocento, la disoccupazione nella storia umana non è mai esistita, anche quando il lavoro servile si è diradato. Tanto è vero che non c’era neanche un termine economico che la definisse, anche perché l’economia, come disciplina autonoma, non mai esistita fino alla seconda metà del Settecento. La disoccupazione è un’invenzione del capitalismo, a cui è stata sempre funzionale. Lo è non solo dal punto di vista socio-economico, ma anche, e questa è la cosa più rilevante, dal punto di vista ideologico, facendo passare, da allora a oggi, la disoccupazione come una possibile condizione naturale nella vita umana e facendo alimentare nei disoccupati, nonostante il controcanto politico e sindacale, il senso di colpa per il lavoro perduto o non trovato, aggravato anche dalla parallela etica del lavoro. Lo squallido dibattito sul reddito di cittadinanza ne è oggi una prova.

  2. […] verrebbe da dire che la disuguaglianza – un po’ come la disoccupazione, oggetto degli studi pioneristici di Christian Topalov, – è sempre stata lì; ma per vederla nel modo in cui la vediamo oggi, sono dovuti cambiare i […]

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