ISSN: 2038-0925

Devenir historien-ne: post #1

Con la traduzione del post «À quoi sert une note en bas de page?» inauguriamo la partnership appena avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione sulla storia mantenuto da Émilien Ruiz, collaboratore di Diacronie.

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Jacopo Bassi.

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A che cosa serve una nota a piè di pagina?
12 ottobre 2011

di Émilien Ruiz

In tutti gli insegnamenti che ho tenuto, il commento a margine che probabilmente ho appuntato più spesso [nei compiti svolti] è: “aggiungere riferimento in nota”. Un post precedente forniva qualche consiglio sul modo di scrivere il riferimento a un articolo, a un capitolo o a un’opera… Prossimamente si farà il punto sull’importanza della bibliografia, ma ora mi sembra utile cominciare con qualche cenno sul ruolo della nota a piè di pagina.

Comprovare le proprie affermazioni

È un principio basilare del mestiere di storico: è necessario comprovare le proprie affermazioni. Ciò implica che nessuna informazione dovrà essere “orfana”: tutte le fonti – di prima o di seconda mano – devono essere indicate nelle note a piè di pagina. La citazione di Marc Bloch che segue è un po’ lunga, spesso citata, ma merita (come l’opera da cui è tratta) di essere letta, riletta e meditata:

«I margini inferiori delle pagine dei libri esercitano su molti eruditi un’attrattiva che rasenta la vertigine. È certamente assurdo affollarne gli spazi bianchi, come essi fanno, con riferimenti bibliografici, che un elenco posto all’inizio del volume avrebbe, per la maggior parte, risparmiato, o, peggio ancora, relegarvi, per pura pigrizia, lunghi sviluppi il cui vero posto sarebbe stato nel corpo stesso del testo: tanto che la parte più utile di questi lavori bisogna sovente cercarla in cantina. Ma quando certi lettori si lamentano che la più piccola riga, relegata a piè di pagina, confonde loro le idee, quando alcuni editori pretendono che i loro clienti, senza dubbio meno ipersensibili, in realtà, di quanto essi amano raffigurarli, soffrono le pene dell’inferno alla vista di ogni pagina così deturpata, questi delicatini danno semplicemente prova della loro insensibilità ai precetti più elementari di una morale dell’intelligenza. Giacché, in tutti i casi in cui non si tratti dei liberi giochi della fantasia, un’affermazione non ha il diritto di presentarsi se non a condizione di poter essere verificata; e per uno storico, se usa un documento, l’indicarne, il più brevemente possibile, la collocazione, cioè di ritrovarlo, non equivale ad altro che a sottomettersi a una regola universale di probità. Ho adesso accanto a me un libro di grande interesse sulla Germania prima della Riforma. Molte affermazioni mi stupiscono. Forse a torto. Vorrei verificarlo. Non ne sono in grado, e nessuno lo sarebbe, dal momento che nessuna indicazione mi permette di risalire alla fonte. Come un chimico che, annunciando una scoperta, rifiutasse di riferire l’esperimento attraverso cui vi è stato condotto, perché, a suo dire, “ciò annoierebbe il lettore”.
Avvelenata da dogmi e da miti, la nostra opinione, anche la meno nemica dei lumi, ha perduto persino il gusto del controllo. Il giorno in cui noi, avendo prima avuto cura di non disgustarla con una vana pedanteria, saremo riusciti a persuaderla a misurare il valore di una conoscenza dalla sua premura di offrirsi in anticipo alla confutazione, le forze della ragione riporteranno una delle loro più significative vittorie. Ed è proprio per preparare questa vittoria che lavorano le nostre umili note, i nostri minuti e pignoli rimandi, che oggi tanti begli spiriti disprezzano».

BLOCH, Marc, Apologia della storia o il mestiere dello storico, Torino, Einaudi, 1969, p. 87.

Non si tratta di un obbligo circoscritto alle tesi o ai lavori pubblicati in libri o in articoli: quale che sia il testo da scrivere, voi dovete comprovare la vostra affermazione partendo dal principio che nulla giunge dalla vostra pura immaginazione. Voi, per forza di cose, baserete la vostra argomentazione su riferimenti esistenti e/o a partire dall’analisi di fonti precise, alle quali è necessario rinviare.

Per questo motivo, espressioni vaghe come «si sa che», «gli storici affermano che» sono da evitare, così come le affermazioni perentorie. Partite sempre dal principio che nessuna affermazione “va da sé” e che nessuno dovrà credervi sulla parola.

Più concretamente:

  • scrivendo «la storiografia ha largamente trattato questo tema», voi dovrete successivamente rinviare ad almeno un esempio che permetta al vostro lettore di verificare ciò, ma, soprattutto, di approfondire il tema qualora questo abbia destato il suo interesse. Per questo motivo questo tipo di nota deve permettervi di non dover aver da sviluppare una questione già ben nota agli specialisti, rinviandoli ai lavori che, a vostro giudizio, sono i più autorevoli sul tema. Non è necessario essere esaustivi per le necessità del corso di laurea (recensioni, relazioni sul progetto di ricerca, etc.) – bisognerà invece esserlo per la tesi! – ma precisare al lettore un’opera (o più, se vi sembrerà necessario), un articolo o una tesi, che vi sembra rappresentativa e importante.
  • se voi riprendete la posizione di uno storico, indicate sempre il riferimento esatto al passaggio in questione. «Come è stato ben dimostrato da Marc Bloch» non è sufficiente: l’autore può aver scritto ben più di un libro o di un articolo; rinviate sistematicamente al lavoro che avete utilizzato. Se ciò di cui avete parlato è stato affrontato in un passaggio preciso – esteso da qualche pagina a diversi capitoli – non esitate (se siete in possesso della/e pagina/e) a indicarla/e: «si veda in particolare il capitolo X, intitolato “Un mugnaio, un pittore, un buffone”, pp. 26-32».
  • se sviluppate una vostra interpretazione di un fenomeno o di un avvenimento, o se formulate un’ipotesi, indicate su cosa vi siete basati: riferimenti bibliografici? Una prima lettura (anche se superficiale) delle vostre fonti?

Dare a Cesare…

Le virgolette sergentine e le note a piè di pagina costituiscono una regola strettamente ineludibile del sistema di citazione, in tutti i campi, ma a maggior ragione nelle scienze umane e sociali, non c’è intertestualità che tenga! Da questo punto di vista la legge sul diritto d’autore è molto chiara (consulta il testo integrale della legge su InterLex):

L. 633/41 – Capo III. Contenuto e durata del diritto di autore; Sezione II: Protezione dei diritti sull’opera a difesa della personalità dell’autore. Diritto morale dell’autore

Art. 20: «Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica della opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione».

[…]

Art. 21: «L’autore di un’opera anonima o pseudonima ha sempre il diritto di rivelarsi e di far riconoscere in giudizio la sua qualità di autore.
Nonostante qualunque precedente patto contrario, gli aventi causa dell’autore che si sia rivelato ne dovranno indicare il nome nelle pubblicazioni, riproduzioni, trascrizioni, esecuzioni, rappresentazioni, recitazioni e diffusioni o in qualsiasi altra forma di manifestazione o annuncio al pubblico».

CORTELLAZZO, Manlio, ZOLLI, Paolo, DELI – Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, seconda edizione a cura di Manlio Cortellazzo e Michele A. Cortellazzo, Bologna, Zanichelli, 1999, p. 1209.

Le citazioni brevi sono il sale dell’analisi storica, ma attenzione al plagio: è vero, si tratta prima di tutto di una faccenda giuridica, ma è anche – e soprattutto – una semplice questione d’onestà intellettuale.

Concretamente, ciò implica che ogni citazione debba essere riferita alla sua fonte:

  • se questa è esatta, dovete inserirla tra virgolette sergentine e aggiungere una nota a piè di pagina dove indicherete la fonte esatta della citazione, rispettando alla lettera i riferimenti bibliografici;
  • anche se parafrasate, ciò non vi assolve dall’obbligo di indicare la fonte; l’unico dovere da cui siete dispensati è l’aggiunta delle virgolette sergentine, ma permarrà l’obbligo di inserire una nota che permetta al lettore di identificare il riferimento dal quale avete tratto la vostra osservazione.

Esiste un caso particolare, ossia quello in cui si faccia uso di una citazione non proveniente dalla fonte originale, ma da un’opera o un articolo che, a loro volta, citano. In questo caso è necessario indicarla come segue:

“[riferimento esatto alla fonte citata], cit. in [riferimento esatto alla fonte da cui voi ricavate il riferimento]”.

Esempio:

DELLA CASA, Giovanni, Opere, 4 voll., Milano, Società tipografica de’ classici italiani, 1806, pp. 119-131, cit. in COGGIOLA, Giulio, Ascanio della Cornia e la sua condotta negli avvenimenti del 1555-1556, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1904, pp. 225 et seq.

Il plagio non è una questione da prendere alla leggera. Mettendo da parte la malafede pura e semplice e ammettendo che un plagio possa essere involontario (non ho mai avuto a che fare con casi simili, ma esistono…), viene richiesto semplicemente di essere attenti con le note fatte con il metodo del “copia-incolla” e di prendere sistematicamente nota dei riferimenti completi dei documenti sui quali lavoriamo, per non rischiare di confondere le nostre riflessioni con quelle riprese da un’opera, un articolo o da un sito internet.

Il plagio nel mondo universitario è da tempo una sorta di tabù. Alcuni ricercatori sono rimasti per lungo tempo soli nel denunciare pratiche ben più comuni di quel che si crederebbe (si veda ad esempio l’archéologie du copier-coller di Jean-Noël Darde e Internet: Fraude et déontologie selon les acteurs universitaires di Michelle Bergadaà). C’è ancora molto da fare, ma la situazione sembra, a poco a poco, cambiare. Il CERSA ha organizzato un colloquio internazionale all’Università di Paris II il 20 e il 21 ottobre 2011 (programma del convegno) e un seminario sull’argomento nel 2012.

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Per la storia, le note a piè di pagina costituiscono un elemento essenziale di ogni produzione scritta. Così, non è difficile sentir dire che una ricerca storica si legge in prima battuta a partire dalle note, come sciveva Marc Bloch nel passaggio citato più sopra: «la parte più utile di questi lavori bisogna sovente cercarla in cantina»¹.

Le possibilità che si dispiegano a poco a poco con l’avvento del digitale probabilmente cambieranno la forma (è possibile, per esempio, immaginare pubblicazioni multisupporto, che permettano al grande pubblico di non dover leggere le note, ma offriranno, al contempo, la possibilità per gli specialisti di consultarle) ma la qualità dell’apparato critico di un prodotto storiografico (dalla tesi di laurea all’opera pubblicata da una grande casa editrice, passando per un articolo di rivista e, com’è ovvio, una tesi di dottorato) e il modo in cui è stato realizzato e interpretato resterà ancora a lungo uno degli elementi essenziali di valutazione della serietà di una ricerca.

Ho volutamente scritto “la qualità” dell’apparato critico: non si tratta di annegare le affermazioni in un diluvio di note a piè di pagina, ma unicamente di soddisfare «[…] i precetti più elementari di una morale dell’intelligenza»².

Linea di separazione
  1. BLOCH, Marc, Apologia della storia o il mestiere dello storico, Torino, Einaudi, 1969, p. 87. []
  2. Ibidem. []

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