L’atelier de l’historien-ne: post #59
Per la rubrica L’atelier de l’historien-ne, questo mese proponiamo la traduzione del post «L’histoire à travers champs», pubblicato sul blog Devenir historien-ne, curato da Emilien Ruiz.
La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.
.
di Gabriel Galvez-Behar
Il post è un resoconto della conferenza tenuta da Dan Wadhwani, professore di management all’Università del Pacifico (California), a Lille il 14 gennaio 2016.
Sarebbe importante che chi si occupa di storia facesse attenzione a come questa viene approcciata fuori dal suo ambito specialistico. Nei campi delle scienze politiche, della sociologia o dell’economia, si possono scoprire non solo diverse modalità e tipologie di utilizzo, ma forse addirittura un rapporto del tutto nuovo con la conoscenza storica.
La conferenza tenuta a Lille da Dan Wadhwani è stata il contesto in cui si è potuto discutere di quale posto oggi la storia occupi nelle scienze del management, facendo riferimento al testo che ha pubblicato nel 2014 per Oxford University Press insieme a Marcelo Bucheli. Organizations in Time: History, Theory, Methods non sembra aver suscitato particolare interesse in Francia, in particolare all’interno della comunità storica. Rimane sempre un po’ un mistero comprendere quali siano le ragioni per cui alcune opere straniere vengono accolte meglio di altre e sarebbe un peccato se questo libro conoscesse un destino simile a quello capitato ad un altro testo importante, The Logics of History di William Sewell, a cui gli autori di Organizations in Time fanno spesso riferimento e che in Francia si è imposto solo molto tardivamente[↩]
Qui non si vuole fare un riassunto esaustivo di Organizations in Time, ma sottolineare alcuni dei suoi contributi essenziali e riportare la discussione che i partecipanti alla conferenza del 14 gennaio hanno avuto. Diciamo subito, però, che tra i punti forte del testo si riscontrano sia la familiarità del contenuto, per chi si interessa un po’ all’epistemologia della storia, che, soprattutto, l’originalità della prospettiva. Infatti, il pubblico a cui gli autori si rivolgono e il punto di partenza che hanno scelto conferiscono al contenuto teorico una luce unica che permette di cogliere elementi già ben noti da nuovi punti di vista.
Organizations in Time parte dalla constatazione di un rinnovato interesse per la storia nelle scuole di commercio e nelle facoltà di management. Questo boom arriva a seguito di un lungo periodo in cui la storia era stata fortemente rifiutata e mentre l’affermazione e la professionalizzazione del management nelle strutture di insegnamento superiore avevano preso piede. In quel periodo, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, il management si stava istituzionalizzando ispirandosi a modelli scientifici o facendo ricorso a metodi quantitativi. Dagli anni Ottanta in poi, tuttavia, il campo degli organizations studies, ha cominciato a diventare più eclettico, favorendo così l’emergere di lavori critici in cui la storia è tornata ad occupare un ruolo importante. Questo ritorno, inizialmente timido, sembra essersi affermato nel primo decennio degli anni 2000, con la nascita di un certo numero di riviste. Naturalmente, come Behlül Uskidin e Matthias Kipping hanno precisato nel loro libro[↩], il futuro di questa evoluzione rimane ancora molto incerto, ma resta il fatto che la conoscenza storica in questo campo ha ormai assunto un ruolo ben definito.
Bisogna però sapere di che storia si parla. La parte più interessante del libro è proprio la riflessione epistemologica e metodologica sulla conoscenza storica, di cui vengono sottolineate tre caratteristiche principali:
il suo carattere costruttivista, che conduce chi la studia a domandarsi non solo come le azioni si formino nel tempo, ma anche ad opera del tempo. La questione delle temporalità è primordiale. Chi agisce progredisce in contesti che lo superano e che non evolvono al suo stesso ritmo: la sua storicità fa sì che le esperienze passate e le rappresentazioni abbiano un impatto sulle aspettative sul futuro; chi agisce lo fa in maniera sequenziale – se è vero che associa risorse eterogenee, lo fa comunque con un ordine preciso, che influisce sull’azione stessa;
il suo carattere cognitivo, che incita chi la studia ad interessarsi alle motivazioni, alle rappresentazioni e ai significati a cui chi viene studiato si è ispirato per le proprie azioni;
il suo carattere critico, nella misura in cui la storia non dà mai per scontata una generalizzazione.
La conoscenza storica può applicare tutte queste caratteristiche a se stessa, rendendosi di fatto riflessiva: deve quindi soffermarsi sulle condizioni della propria produzione.
Naturalmente, tutto questo potrebbe sembrare banale per chi si occupa di storia e si interessa alla teoria della propria disciplina [↩], ma l’importanza di Organizations in Time risiede nell’aver riattivato un intero filone di riflessione teorica sulla storia con un riscontro particolare nelle scienze del management e delle organizzazioni.
Gli autori di Organizations in Time, infatti, partono dall’assunto che la loro riflessione teorica si inserisca in un dibattito particolare che richiede di tener conto di cosa interlocutori ed interlocutrici si aspettano. Così, quando si vuole collaborare con colleghi/e di altre discipline, è necessario che chi ha esperienza della storia non dia per scontate aspettative che troppo spesso rimangono implicite. Non è possibile mantenere i saperi segreti: nel dialogo interdisciplinare è fondamentale esplicitarne i fondamenti teorici e metodologici, il che, naturalmente, presuppone che si conoscano. Contemporaneamente, però, bisogna tener conto della specificità del dialogo: spiegare le basi teoriche ed epistemologiche della storia deve essere fatto in modo differente a seconda della persona a cui ci si rivolge.
Durante la conferenza, una buona parte delle domande riguardava proprio il carattere dialogico della storia. Che questa sia un dialogo basato sul rapporto tra il Sé e l’Altro è un’idea spesso accettata e certamente giusta. Per Dan Wadhwani, questa caratteristica della storia spiega la reinvenzione permanente della conoscenza storica, che non smette mai di essere segnata da svolte – strutturalista, linguistica, pragmatica… Ma questo dialogo che la storia intrattiene con se stessa dovrebbe farci dedurre che bisognerebbe che fosse coinvolta anche in un confronto con altre discipline? Non rischierebbe di diventare una scienza ausiliaria? Posta in questi termini (da chi scrive questo post), la domanda è senza dubbio caricaturale, ma rimanda a dibattiti talvolta accesi tra storici e storiche e chi invece si rifà a discipline diverse. Reciprocamente si rimproverano, da una parte, di non essere abbastanza fedeli alla metodologia tradizionale, soprattutto per quel che riguarda lo studio delle fonti, dall’altra, di rinchiudersi in un isolamento tanto più insensato quanto va di pari passo con una totale assenza di riflessioni teoriche.
Concludiamo con alcune osservazioni più personali. La storia come disciplina non può più conservare la fantasticata nostalgia di avere il monopolio del passato o della conoscenza storica stessa. Quando gioca con questa nostalgia, infatti, lo fa al prezzo di associazioni infelici. Non può più sognarsi come regina delle scienze umane e sociali, in realtà non lo è mai stata. L’innegabile frammentazione del campo delle scienze sociali e umanistiche rende questi desideri del tutto irrealizzabili. Ci porta a pensare le nostre discipline non tanto come territori delimitati in un vasto continente, ma come un arcipelago in cui ci si può spostare da isola ad isola. Dalla propria scialuppa, chi studia la storia può scambiare molte cose: il proprio interesse per i periodi più lontani, il rapporto con la lunga durata e persino il sogno un po’ folle di una storia totale o di una completa resurrezione del passato. Lungi dal perderci, il dialogo e lo scambio ci permettono di ritrovarci.
Ringraziamo gli autori di Organizations in Time per averci dato l’opportunità di ricordarcelo.
- Sia su Cairn, piattaforma di riferimento per le pubblicazioni scientifiche francesi, che su Persée, biblioteca digitale open access, i riferimenti che si trovano all’opera di Sewell sono pochissimi: 22 articoli sulla prima piattaforma, 0 sulla seconda, nessun riassunto.
- USKIDIN, Behlül, KIPPING, Matthias, History in Management and Organization Studies. From margin to mainstream, London, Routledge, 2020.
- Tra le diverse opere che trattano il tema: DELACROIX, Christian, DOSSE, François, GARCIA, Patrick, OFFENSTADT, Nicolas (dir.), Historiographies, 2 voll., Paris, Gallimard, 2010.
.
.