ISSN: 2038-0925

L’atelier de l’historien-ne: post #56

Per la rubrica L’atelier de l’historien-ne, questo mese proponiamo la traduzione del post «Le matriarcat : une idée fantasmée?», pubblicato sul blog “Carnets de Terrain”, blog della rivista Terrain.

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.

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Il matriarcato: un’idea fantasma?
11 marzo 2022

di Pascale-Marie Milan

Fig. 1. Una madre e sua figlia divenute dabbe, ovvero incaricate degli affari di casa, preparano la lana da filare a mano sul bordo del focolare femminile 2012. P.-M.Milan, Fornita dall’autrice.

Pascale-Marie Milan, antropologa e ricercatrice associata all’Istituto francese di ricerca sull’Asia dell’Est (IFRAE / UMR 8043) e al LARHRA (UMR 5190), Université Lumière Lyon 2.

Le Na di Cina (Yunnan/Sichuan), molto note in antropologia per essere un caso esemplare di società matrilineare (filiazione trasmessa dalle donne) e matrilocali (residenza stabilita dalla madre) sono regolarmente citate come prova dell’esistenza di società matriarcali. In mandarino sono chiamate Mosuo (in inglese Moso) e la loro notorietà presso il grande pubblico è dovuta ad un’opera che le presenta come una «società senza padre né marito»[] (secondo l’antropologo Cai Hua), un’interpretazione che senza dubbio ha contribuito ad alimentare la vecchia fantasia di società in cui le donne dominerebbero e avrebbero autorità sugli uomini.
Nel saggio pubblicato intitolato Le società matriarcali[], la filosofa Heidi Göttner-Abendroth propone tuttavia un’altra definizione di matriarcato a partire dal secondo significato della parola greca ἀρχή, cioè “principio” o “origine” per individuare le donne “all’inizio di tutto” della vita e della società. Ora, nonostante l’autrice citi le Na a sostegno della sua tesi, si può davvero parlare di matriarcato nel loro caso?

Un’immagine esotica delle Na

Le antropologhe Françoise Héritier, Nicole Claude Mathieu e, più recentemente, Annie Benveniste e Monique Selim hanno sottolineato che questa visione, più politica che scientifica, è il frutto di azzardate speculazioni che rientrano nel mito.
Diciamolo subito: Heidi Göttner-Abendroth attribuisce alle donne una “natura feconda” con lo scopo dichiarato di fare del matriarcato un’alternativa sociale alle società patriarcali. Il suo approccio si basa su scritti evoluzionistici e lavori etnologici cinesi le cui interpretazioni sono discutibili. Tenta di stabilire una serie di contrasti che valorizzino la figura femminile nell’organizzazione sociale Na e nel campo religioso, omettendo di precisare il ruolo degli uomini.

Mitizzando il potere delle donne, l’autrice produce un’immagine esotica delle Na: sarebbero cape, i rapporti sociali sarebbero più egualitari e incentrati sul dono, e le divinità sarebbero esclusivamente femminili, onorate da sacerdotesse. I miti Na sull’origine dell’umanità o i canti recitati da specialiste dei rituali (daba), in diverse cerimonie parlano di divinità maschili e femminili e di una coppia originaria, non di un’unica figura femminile. Per quanto riguarda il ruolo degli uomini, sembra necessario interrogarsi ulteriormente sulla questione dei rapporti sociali sessuali dato che esistono, contrariamente all’idea proposta da alcuni autori, termini per designare i genitori (ave) e i partner sessuali delle donne (haechube), confermando così che hanno un proprio posto nella società Na. Torniamo dunque ai fatti.

Una visione evoluzionista del matriarcato

Il concetto di matriarcato trova la sua origine negli scritti scientifici di corrente evoluzionista del XIX secolo, ossia “la tendenza generale a supporre e a ricercare una legge evolutiva nella serie di cambiamenti osservabili o prevedibili”. In questo momento il concetto è formalizzato da storici e storiche del diritto, specularmente a quello del patriarcato. Secondo questa corrente evoluzionista, sarebbe esistito un diritto materno originale, tesi difesa da Johann Bachofen e ripresa da Morgan a proposito delle società arcaiche. Successivamente, Marx e Engels si sono appropriati di questa idea, in particolare nelle loro riflessioni sull’origine della famiglia, per sostenere l’esistenza di un comunismo primitivo come stadio evolutivo delle società. Queste teorie hanno esercitato una grande influenza sullo studio delle “nazionalità minoritarie” in Cina durante la seconda metà del XX secolo.
Gli etnologi cinesi che si sono impegnati a operare ricerche sulle caratteristiche sociali e culturali delle popolazioni minoritarie della Cina hanno ripreso le interpretazioni evoluzioniste per definire la società Na un “fossile vivente”.
Così, il fatto che in questa società gli uomini vadano a visitare le donne durante la notte ma non convivano con loro fu interpretato come una forma di promiscuità sessuale primitiva che avrebbe attraversato le ere. Questi lavori hanno poi portato a qualificare il sistema Na come un “matriarcato primitivo” mettendolo sotto le luci della ribalta della scena turistica a partire dagli anni Ottanta.

Un’attrazione turistica

Infatti, promosse come società matriarcali da ogni tipo di media, guide e agenzie di viaggio, le Na conoscono un turismo di massa a partire dagli anni Novanta. La regione del lago Lagu, dove per la maggior parte abitano, è stato ribattezzato “regno delle donne” come un’eco al “regno femminile dell’Ovest” (Dongnüguo) riportato negli annali cinesi e menzionato da Marco Polo, un regno che sarebbe stato governato da donne durante la dinastia Tang (618-907). Più di un milione di turisti cinesi si accalcano ogni anno per viaggiare verso questo «sé semplice e antico», secondo l’espressione dell’antropologo Charles McKhann, spesso con il desiderio di rapporti sessuali liberi o romantici.
Per beneficiare anch’essi delle ricadute del turismo e occupare un posto nell’agenda modernista dello Stato cinese, le Na giocano con queste fantasie e con l’immagine attesa dai turisti di una società matriarcale. Così questi credono di vedere nell’istituzione tradizionale di “visita notturna” degli uomini presso le donne, la possibilità di una libertà sessuale extra matrimoniale in opposizione alle norme della società cinese. Queste rappresentazioni esprimono tuttavia i rapporti sociali sessuali conosciuti tra le Na.

Fig. 2. Performance di canto in occasione delle feste notturne dedicate ai turisti, che generalmente prevedono canzoni d’amore per sedurre il pubblico femminile. 2013. P.-M.Milan, fornita dall’autrice.

Attraverso l’analisi della costruzione sociale della persona, dei rapporti sessuali e del rispettivo ruolo di uomini e donne a cui ci invita Nicole Claude Mathieu, l’antropologa Naiqun Weng spiega l’importanza di considerare la casa come la base a partire da cui si organizza la vita sociale delle Na. Esse pensano che l’eredità sia la trasmissione delle ossa dalle madri a figli e figlie. Le donne occupano così “i ruoli di figlia, sorella, madre, madre della madre” mentre gli uomini sono “figli, fratelli, fratelli della madre”. La donna è essenzialmente pensata attraverso la figura della madre, l’uomo attraverso quella del figlio.
Generalmente una casa porta il nome del matrilignaggio a cui è associata una localizzazione geografica o il nome della donna che ha fondato la sua matrilinea e casa.

Il sistema di auto-aiuto permette una buona comprensione dell’importanza di questa unità sociale collettiva alla base dell’organizzazione sociale, che si distingue dalla nozione di famiglia. Come gruppo di parentela e di discendenza, una casa deve poter contare sulle persone da cui è composta per assicurare il suo sostentamento, ma anche sui rapporti di reciprocità che intrattiene con le altre case.

Fig. 3. «Stanza principale a destra, chiamata awo zhimi, e stanza dedicata alla pratica buddista a sinistra, chiamata galazé. 2013. P.-M.Milan. Fornita dall’autrice.

L’equilibrio di genere e il numero della casa permette di garantirne la prosperità e la continuità. Le “persone della casa” si aiutano a vicenda per farla prosperare dividendosi il lavoro a seconda delle forze di ciascuna/o. I bambini e le bambine spesso si occupano del pascolo degli animali, mentre le donne svolgono la maggior parte dei lavori legati al sostentamento della casa. I fratelli, i figli o gli zii danno man forte durante i picchi stagionali. Solitamente si occupano di costruire le case e tagliare la legna. Questa ripartizione non è fissa, ma dipende dalla composizione della casa.

Il o la dabbe: un ruolo essenziale

La persona in carico della gestione della casa (dabbe), definisce insieme agli altri membri una ripartizione equa del lavoro e coordina queste necessità con quelle delle altre case. Questo incarico non è esclusivamente femminile: può essere svolto anche da uno dei fratelli. Chi a tempo debito succederà al ruolo di gestione viene designato/a fin da giovane.

Fig. 4. Pausa pranzo durante le fasi di taglio della legna: un fratello e una sorella. 2012. P-M.Milan, Fornita dall’autrice.

Nel momento in cui una casa non ha più persone sufficienti a garantirne la prosperità o donne per assicurarne la continuità possono essere messe in atto strategie per attrarre partner sessuali. A volte l’adozione temporanea – o definitiva – di bambini/e da una casa madre – in cambio di istruzione – potrebbe essere un’opzione.
Il sistema di auto-aiuto tra le case, tuttavia, il più delle volte rimedia alla mancanza di uomini e i partner delle donne vengono sollecitati in tal senso. Non c’è convivenza, ma l’aiuto reciproco è consuetudine.

Fig. 5. Lavori di raccolta dell’orzo effettuati da due donne e un uomo. L’uomo è di aiuto alla casa della sua compagna (chumi). 2014. P-M.Milan, Fornita dall’autrice.

Uno studio dedicato all’investimento paterno nell’educazione di figli e figlie evidenzia che anche se non c’è convivenza, gli uomini si preoccupano di fornire un aiuto economico per gli studi e a rendere loro visita regolarmente. Ci sono anche feste di presentazione del bambino o della bambina da parte dei genitori che consentono il riconoscimento del legame di paternità. La funzione sociale dell’uomo, però, non è paragonabile a quella di un padre, perché l’essenziale della socializzazione dei figli e delle figlie si svolge all’interno della casa e quindi del lignaggio materno.
Nei villaggi in cui i rituali religiosi sono ancora numerosi, gli officianti sono sempre uomini: specialisti daba o assistenti. Possiedono la conoscenza necessaria relativa agli antenati matrilineari per la riproduzione simbolica delle case. Non ci sono sacerdotesse, ma uomini e donne che si occupano delle offerte quotidiane rituali per onorare antenati e antenate.

Fig. 6. Rito di protezione di una casa fatto da uno specialista daba. 2012. P-M.Milan, Fornita dall’autrice

I dati etnografici suggeriscono una società in cui le donne sono valorizzate e gli uomini non sono svalutati, piuttosto che una in cui i rapporti sono egualitari o dominati dalle donne come la teoria delle società matriarcali supporrebbe. In molte comunità matrilineari, l’autonomia e l’autorità delle donne all’interno del gruppo domestico sono senza dubbio più importanti che nelle società patriarcali, ma questo non significa che siano «liberate dalla spinta alla maternità e all’eterosessualità, perché la responsabilità la perpetuazione dei lignaggi e della società tramite i figli e, soprattutto, le figlie ricade su di loro», sottolinea N.C. Mathieu.
La riproduzione sociale si basa quindi sulla valorizzazione dello status e del ruolo sociale di madre, senza per questo che tale responsabilità svuoti quello degli uomini. Le riflessioni sui rapporti uomo-donna e il genere sono riferiti esclusivamente alla casa e alla sua continuità matrilineare. Semplicemente, l’organizzazione dello spazio domestico si estende all’intera società.

L’articolo è pubblicato in collaborazione con The Conversation.

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  1. CAI, Hua, A society without fathers or husbands: the Na of China, New York, Zone Books, 2001.
  2. GÖTTNER-ABENDROTH, Heidi, Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo, Venezia, Venexia, 2013.

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