L’atelier de l’historien-ne: post #54
Per la nuova rubrica L’atelier de l’historien-ne, questo mese proponiamo la traduzione del post «Les pratiques alimentaires des gens de mer à Saint-Malo au début du XVIIIe siècle, par Denis Le Guen», pubblicato sul blog “Gouverner les îles”, blog della programma scientifico GOUVILES (École Française de Rome, Università degli Studi di Palermo, Université Toulouse Jean Jaurès).
La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.
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di Hugo Vermeren
Incrociare le informazioni provenienti dagli archivi giudiziari e dall’archeologia sottomarina
Incrociare le informazioni provenienti dagli archivi giudiziari e dall’archeologia sottomarina permette di espandere il nostro sguardo sull’alimentazione delle genti di mare, al di là delle poche allusioni che si possono ritrovare sui giornali di bordo o nelle grandi ordinanze che fissano le razioni quotidiane distribuite ai marinai. Prendendo l’esempio della corsa a Saint-Malo all’inizio del XVIII secolo, si tratta innanzitutto di mettere in evidenza le interazioni sociali che si intessono nel momento di forte socialità che il pasto rappresenta, e poi dimostrare che le navi sono anche un laboratorio di nuove pratiche, in un periodo in cui i contatti con l’Europa e il resto del mondo sconvolgono profondamente le società dell’epoca moderna.
Il naufragio della Dauphine a Saint-Malo nel 1704
I dati archeologici provengono dal relitto della Dauphine, una fregata corsara che naufragò al largo di Saint-Malo all’inizio della guerra di successione spagnola (1701-1713). Gli scavi sono stati realizzati da Michel L’Hour e Elisabeth Veyrat del DRASSM tra il 1999 e il 2008 e hanno permesso di scoprire migliaia di reperti archeologici. Nella parte anteriore della nave, la concentrazione di oggetti per cucinare indica la posizione delle cucine: le strutture in mattoni della caldaia con i suoi calderoni e le sue pentole, le stoviglie di stagno, le ciotole e cucchiai di legno, barili e botti al cui interno si ritrovano ancora resti di animali. Circa un quarto degli oggetti ritrovati sulla nave è legato all’alimentazione.
Fig. 1. Stoviglie in stagno, cuoio e vetro del relitto della Dauphine, 1704 (Cliché F. Osada, ADRAMAR / DRASSM).
Gli archivi fanno eco a queste vestigia. Corrispondono ai documenti e alle procedure dell’Ammiragliato di Saint-Malo all’inizio del XVIII secolo e forniscono informazioni preziose sull’alimentazione della gente di mare. La vendita all’asta delle navi ci informa, ad esempio, sui viveri imbarcati e sugli utensili da cucina. Gli inventari post-morte elencano gli effetti personali. Gli stessi procedimenti civili e criminali sono particolarmente interessanti perché evocano, in modo quasi casuale, le pratiche alimentari durante i pasti: quando scoppiava una discussione i testimoni descrivevano ciò che stavano mangiando, sempre che il conflitto non riguardasse l’organizzazione del pasto stesso.
Fig. 2. Interrogatorio del marinaio François Duval, a seguito dell’ammutinamento della fregata corsara il Marquis de Guémadeuc, nel 1704. Gli ammutinamenti erano spesso innescati dal deterioramento delle provviste. In questa vicenda, la rivolta scoppiò quando i marinai gettarono in mare i barili di sidro che li fecero ammalare (AD 35, 9B 225 2, ottobre 1704).
La tavola e la scodella: la nave, microcosmo della società dell’Ancien Régime
Le procedure dell’Ammiragliato di Saint-Malo contrappongono continuamente la ciotola del marinaio con la tavola del capitano, definendo così la gerarchia sociale. Le bottiglie di vetro e i piatti di stagno scoperti sul relitto della Dauphine rivelano i gusti, le regole dello stare a tavola e le strategie di distinzione di questi ufficiali arricchiti dal commercio e desiderosi di ascesa sociale. I piatti, insieme alle posate e ai mobili ad essi associati, sono particolarmente numerosi per navi a volte di dimensioni modeste. Attestano una prassi rivelata anche in altre fonti di archivio: l’abitudine di ricevere a tavola ufficiali di altre navi o partner commerciali durante gli scali, per negoziare o affinare strategie militari o commerciali. Le tovaglie, i candelabri e le belle posate servivano per l’occasione.
Fig. 3. Una bottiglia di vino appoggiata su un piatto di peltro nel relitto della Dauphine, 1704 (Cliché F. Osada, ADRAMAR / DRASSM).
Le bottiglie di vino ritrovate sul relitto sono spesso fissate assieme ai piatti in stagno. L’insieme indica la preoccupazione di proteggere questi oggetti dai movimenti della nave, ma anche il loro utilizzo durante il viaggio. La bottiglia è un oggetto di servizio, non di conservazione, le bevande erano infatti contenute in botti sul fondo della stiva. Sia gli ufficiali che i marinai godevano di una relativa libertà di accesso ai vini e alle acquaviti. Prelevavano delle quote dalle loro razioni e costituivano delle scorte che compravano o barattavano sulla nave o durante gli scali e che venivano poi divise tra loro. Le bottiglie di vetro permettevano di immagazzinare temporaneamente gli alcolici e servivano come unità di misura per gli scambi a bordo.
La capacità dei marinai di approfittare di una pausa, di un tempo morto o di uno scalo per bere, ristorarsi e condividere viveri e ciotole veniva guardata con sospetto dagli ufficiali. La pretesa di fare una buona spesa turbava l’ordine sociale. Nei casi che riguardano la morte sospetta di un marinaio, le versioni non sono mai le stesse: per gli accusatori il marinaio era morto per percosse e privazioni da parte degli ufficiali, per questi ultimi la morte era sempre dovuta ad una successione di eccessi. Quando le botti venivano saccheggiate dai membri dell’equipaggio, i resti del vino ritrovati tra le stoviglie deli imputati per i testimoni potevano rappresentare, a seconda del punto di vista, un primo elemento a carico o l’evidente segno di un disordine sociale.
La nave, laboratorio di nuove pratiche alimentari
Alcuni oggetti rivelano tuttavia un processo di trasformazione e di individualizzazione delle pratiche alimentari. La mescolanza di uomini di origini e condizioni diverse, il contatto con altri mondi, rende la nave un laboratorio in cui si evolvono pratiche e gusti. Il relitto della Dauphine, per esempio, ci ha restituito frammenti di cocco riutilizzati per essere impiegati come recipienti o cucchiai. Questi oggetti ricordano i cocos della marina spagnola, il cui legno è talvolta finemente cesellato e rifinito con manici in metallo e i numerosi esemplari esposti nei mobiletti delle curiosità[↩]. Frammenti di cocco lavorati si ritrovano su un importante numero di relitti, così come negli inventari post mortem dei marinai abituati ai viaggi verso le isole e al traffico di paccottiglie.
Fig. 4. Frammenti di noce di cocco dal relitto della Dauphine, 1704 (Cliché T. Seguin, ADRAMAR / DRASSM).
Questi resti mostrano la possibilità che i membri dell’equipaggio avevano di avere accesso a una vasta gamma di prodotti esotici. La gente di mare sembra svolgere un ruolo fondamentale nell’ assimilazione dei nuovi prodotti alimentari. I marinai di Saint-Malo commerciano con gli indiani a Terranova, si procurano carne in Africa e zucchero o cacao nelle Antille. A Santo Domingo, nel 1701, due di loro conservarono nella stiva della loro nave il Pontchartrain, un piatto creolo con brandy, pane, zucchero e succo di limone. Questa preparazione si ritrova nella ciotola di alcuni membri dell’equipaggio e suscita invece sfiducia in altri. Negli archivi si chiama Souscaï, un nome creolo che appartiene ancora oggi al patrimonio culinario delle isole.
- Mobili, o talvolta anche stanze, dove vengono immagazzinate ed esposte cose rare, nuove o singolari in una tradizione che esiste fin dal XVI secolo.
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