ISSN: 2038-0925

Devenir historien-ne: post #20

Prosegue la partnership avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione storica di Émilien Ruiz, Assistant Professor in Digital History presso il Dipartimento di Storia di Sciences Po a Parigi. Questo mese proponiamo la traduzione del post «L’histoire et ses publics : une question d’historiographie ou de modes de diffusion ?».

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.

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La storia e i suoi pubblici: una questione di storiografia o di modalità di diffusione?
4 dicembre 2014

di Claire Lemercier

La pubblicazione in open access (della Cambridge University Press) di History Manifesto, opera breve ma ricca di slogan di David Armitage e Jo Guldi, ha fatto scalpore. Gli autori avevano già dato avvio al dibattito presentando in diversi seminari un testo più corto in cui facevano riferimento a un «ritorno della lunga durata» in prospettiva «anglo-americana». Il testo sarà pubblicato in francese nel 2015 nelle «Annales HSS»1 (online invece è stata pubblicata esclusivamente una versione preliminare in inglese). Gli autori vi difendono una collaborazione, presentata come perfettamente naturale, tra lunga durata – soggetto «serio» tanto quanto la storia politica, economica e ambientale – e gli strumenti propri della storia digitale. Insieme ad altri colleghi mi è stato richiesto di dare un riscontro sul testo. Questo, pubblicato nelle «Annales», sarà basato sulle sfide della storia digitale e sui problemi che il silenzio rispetto al rapporto con scienze sociali e le questioni di casualità pone. Inizialmente avevo pensato di proporre due ulteriori parti per l’articolo, più direttamente basate su un lavoro empirico, che avrebbero rimesso in discussione due elementi centrali della dimostrazione di Armitage e Guldi: l’idea stessa di un declino della lunga durata (che loro attribuiscono all’essere al centro del mirino della micro-storia) e quella di un’associazione tra lunga durata e pubblico non necessariamente limitato agli storici di professione.
Ringrazio vivamente Émilien Ruiz che ha accettato di pubblicarlo su Devenir historien-ne e Étienne Anheim delle «Annales» per la sua richiesta iniziale, i suoi commenti e la sua decisione di pubblicare il risultato finale.

Se le produzioni storiche sono poco considerate dalla classe dirigente è colpa della micro-storia?

La questione della divulgazione o della diffusione della ricerca mi sembra cruciale per i propositi di Armitage e Guldi che si augurano che i movimenti sociali e coloro che prendono le decisioni politiche ascoltino gli storici e le storiche, ma che rimane stranamente in disparte nel loro testo (come mi è parso nel caso dell’articolo delle «Annales» e del loro libro, benché io ammetta di non aver ancora studiato frase per frase quest’ultimo). Si rammaricano per la mancanza di emuli di Howard Zinn; ma, anche se ce ne fossero, non è certamente all’interno di tesi o collezioni monografiche universitarie che si dovrebbe andare a cercarli, così come l’Histoire populaire des Etats-Units non era la tesi di Zinn.
Il loro articolo dà l’impressione (ma ci piacerebbe avere più dati empirici a sostegno) che gli studenti e le studentesse delle università dei loro due paesi non solo vengano incitati/e a produrre tesi basate su soggetti e periodi molto limitati (così come avviene per i libri o gli articoli frutto di tali tesi), ma che anzi, siano spinti/e a non occuparsi di nient’altro. Se questa è certamente la realtà di alcuni paesi, non sono sicura che si possa dire la stessa cosa della Francia. Esistono degli storici e delle storiche non considerati/e tali dagli altri membri della comunità scientifica storica, ma si possono trovare diversi indizi dell’infiltrazione della ricerca di prima mano verso un pubblico ben più ampio di quello delle monografie risultanti dalle tesi. Per esempio, l’interesse per la Seconda guerra mondiale dal punto di vista di uomini e donne che la vissero permette a qualcuno che si occupa di storia per professione di consigliare una serie TV (Jean-Pierre Azéma per Un village français) mentre a qualcun altro, magari, di aumentare i guadagni, i commenti entusiasti di internauti profani e le vendite del testo pubblicato grazie agli studi per l’abilitazione come direttore di ricerca. In storia moderna, i temi dell’incontro coloniale e della celebrità, trattati nell’arco di tempo di un secolo o due, hanno offerto la stessa possibilità ad altri due storici, una decina d’anni dopo il loro dottorato: probabilmente questo è avvenuto tanto in virtù della loro scrittura quanto della lunga durata di cui trattano, o dell’importanza dei temi considerati, benché non sia sicuro che potrebbero convincere Armitage e Guldi2.

France Culture, di cui l’audience, per quanto possa sembrare limitata è in realtà molto più ampia del numero di persone che frequenta l’università, riceve come ospiti di una propria trasmissione un gran numero di storici e storiche (che a volte stanno ancora studiando). Nel giugno 2014, per esempio, hanno trattato della battaglia dei Dardanelli, del paesaggio nella pittura romantica, dei neo-caledoniani, del genocido in Rwanda, della «fabbrica della storia mondiale» con Lynn Hunt e della volontà d’Iba Der Thiam, Hamady Bocoum e Buuba Diop di scrivere una storia del Senegal dalle origini ai giorni nostri3. Sembrerebbe difficile poter classificare tutti questi temi all’interno della definizione di «serietà» indicata dai nostri autori – né in quelle dei successi letterari della micro-storia che, a loro avviso, sarebbero immeritati.

E se parlassimo invece del libero accesso alle produzioni scientifiche…

Infine, gli storici e le storiche francesi hanno potuto incidere più dei loro omologhi americani/e o britannici/e cogliendo le occasioni offerte da Internet di entrare in contatto con nuove tipologie di pubblico, anche se, sotto questo punto di vista, altre discipline sono ancora più avanti. Questo è stato possibile prima di tutto perché il caricamento online delle riviste francesi è per lo più fatto in open access, sia che sia completo (su portali come Revues.org e Persée), sia che sia messo a disposizione con qualche anno di ritardo rispetto alla pubblicazione (su portali come Cairn).

Contrariamente a Jstor, Muse o ai portali di editori anglofoni, questi siti non sono frequentati esclusivamente da universitari/e. In parte, come per il portale Scielo in America latina, si tratta di una scelta derivante dalla sfiducia nella capacità di generare un ricavo: a differenza di Jstor o Muse, le riviste francesi all’inizio non avevano la sicurezza che adottare un modello chiuso e a pagamento sarebbe stata una strada percorribile. In ogni caso, questa scelta ha dato grandissima visibilità a riviste che non necessariamente ne godevano nella loro versione cartacea, e soprattutto la possibilità che alcuni articoli potessero essere letti per serendipità, partendo da motori di ricerca, da collegamenti da siti personali o dai media. È sorprendente che Armitage e Guldi non abbiano per nulla preso in considerazione questo punto, perché anche loro stessi si sono preoccupati che il loro libro fosse pubblicato in open access (oltretutto con una licenza Creative Commons, che prova un raro interesse per il web) e riportano anche tutti i commenti fatti in proposito sui differenti blog scientifici.

L’esistenza di questo tipo di lettura è evidente all’interno delle statistiche di consultazione, che mostrano, per Cairn, degli enormi aumenti di flusso da quando i loro contenuti vengono pubblicati in open access e, per tutti i portali, delle preferenze per tematiche che si possono collegare a interessi privati, militanti, professionali o di tipo ricreativo – che però non per forza strizzano l’occhio alla lunga durata o a quelli che Armitage e Guldi considerano temi seri. Per esempio, nel 2012, secondo le statistiche trasmesse da Cairn al comitato di redazione della rivista di storia contemporanea Le Mouvement social tre articoli staccano gli altri nettamente con più di 2000 consultazioni: trattano di «cambiamenti del lavoro sociale nel XX secolo», «una rassegna degli scioperi del maggio-giugno 1936» e dell’«inuguaglianza uomo-donna all’interno del mercato del lavoro giapponese». Questo podio conferma logiche militanti e d’interesse per il lavoro sociale. Un solo articolo non ancora in open access ha già sollevato un grande interesse con più di 1500 consultazioni del suo riassunto di presentazione (che ha portato all’acquisto di 13 “copie virtuali” dell’articolo e a un po’ più di 500 consultazioni dalle università, confermando così che l’open access permette anche ad un altro tipo di pubblico di interessarsi ai contenuti) : intitolato «una lettura della rivoluzione tunisina», rappresentava la pura attualità, proponendo il genere di analisi in prospettiva storica che Armitage e Guldi sembrano desiderare.

Tra gennaio e agosto 2014, nell’insieme dei portali in open access Revues.org che comprende riviste di scienze umane e sociali sempre meno esclusivamente francofone, il secondo articolo più consultato (circa 28 000 volte in inglese e 6 000 nella sua traduzione francese), anche se pubblicato nella «Revue annuelle de politique de développement», era opera di uno storico, Gareth Austin, che faceva il punto sulle controversie del legame tra colonialismo e sviluppo economico all’interno di un dossier per i 50 anni dell’indipendenza dell’Africa4. I lettori e le lettrici sembrano essere arrivati a questa rivista tramite motori di ricerca o consigli social, piuttosto che seguendo link provenienti da altri siti.

Il quattordicesimo articolo in francese (tradotto dal russo e datato 1997) più consultato era ancora più sorprendente perché si occupava de «Il ruolo della donna nella società dell’Asia centrale sotto i Timuridi e gli Shaybanidi», all’interno di un fascicolo destinato a «L’eredità timuride: Iran-Asia centrale-India, XV-XVIII secolo».

Come circa 13 000 internauti siano arrivati a questa pagina partendo da una ricerca come «la donna nella società» può essere certamente spiegato da una buona indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Non è neanche detto che abbiano lasciato la pagina subito: l’introduzione generale dell’articolo, che oppone alla figura stereotipata della donna musulmana confinata in un harem una relativa protezione giuridica, potrebbe aver incuriosito qualcuno/a. Se adesso cerchiamo gli articoli più letti tra quelli pubblicati in Francia, tra la decima e la ventesima posizione troviamo altri titoli storici o, più precisamente, riguardanti il patrimonio rurale. Scritti da una storica dell’architettura e da un architetto trattano del tema delle abitazioni coloniali degli antichi territori francesi d’America e delle strutture come elemento di datazione, in particolare nel caso di Ginevra, sono stati pubblicati sotto il patrocinio del ministero francese della Cultura, su «In Situ, Revue des patrimoines», che si presenta come una rivista di ricerca applicata. Chi legge proviene dal sito del ministero, da blog specialistici e, soprattutto, da ricerche spesso molto dettagliate sui motori di ricerca a proposito di un luogo, una tecnica o una forma di edilizia abitativa.

Esistono quindi storici e storiche che trovano un ampio pubblico interessato ad articoli con tematiche molto specifiche (realizzati a partire da un minuzioso lavoro negli archivi), sia grazie all’open access che al diversificato interesse delle persone, che si tratti di ragioni militanti o di piacere. Se Armitage e Guldi preferirebbero, forse, dei lettori e delle lettrici il più possibile vicino alla classe dirigente (che le statistiche non permettono di identificare) e a temi seri, questi esempi mostrano che non è la scelta di trattare la lunga durata o della vicinanza rispetto alle fonti a privare chi si occupa di storia dalla possibilità di essere letto/a da un pubblico più vasto rispetto a quello strettamente dei propri pari.

… e dei blog di ricerca (e quale miglior esempio per questo di un blog molto letto?)

Un’ultima conferma, forse anche più eclatante, è data dallo sviluppo, in Francia (e sempre più anche all’estero), del blogging scientifico grazie alle centinaia di «blog di ricerca», ad esempio quelli di OpenEdition che riscontrano un grande successo e un alto tasso di fidelizzazione del pubblico. Sarebbe bello che a questo proposito Armitage e Guldi ci dicessero quello che succede nel mondo «anglo-americano». In Francia, del resto, gli economisti hanno cominciato ad utilizzare questo mezzo ben prima degli storici – spesso questi stessi scrivono anche delle «repères», brevi sintesi molto vicine al lavoro di ricerca. E benché queste due attività siano poco considerate in un mondo centrato sulle pubblicazioni in riviste di spicco anglofone come quello della ricerca economica, sono in realtà state fondamentali perché l’economia stessa potesse arrivare a coloro che prendono le decisioni o ai movimenti sociali.

Cosa se ne fanno gli storici di questo mezzo di diffusione? Tra i blog Hypothèses5 più frequentati due si occupano di storia: si rivolgono da una parte ad addetti ai lavori, cioè insegnanti delle scuole secondarie (Aggiornamento hist-geo con circa 70 000 visitatori diversi tra gennaio e agosto 2014), dall’altra a ricercatori e ricercatrici in formazione (Devenir historien-ne con circa 83 000 lettori). Un blog più recente, che tratta di storia, ha appena conosciuto un successo ancora più clamoroso (più di 97 000 visitatori): scritto in inglese ed edito da tre storiche che lavorano negli Stati Uniti, in Germania e Canada e affiancato da molti collaboratori, The Recipes Project ha anche un accattivante sottotitolo «Food, Magic, Science and Medicine». Il pubblico è certamente composto in buona parte da persone che vogliono provare nuove ricette, ma per chi è interessato sono presenti anche numerosi rinvii bibliografici e precise presentazioni dei manoscritti. Il post più letto del momento (circa 45 000 visualizzazioni) non contiene ricette, ma si presenta come «un esercizio di critica delle fonti a proposito di Attalo III, re di Pergamo conosciuto per le sue competenze farmacologiche».

Un po’ meno frequentato (con comunque con più di 42 000 lettori) è Criminocorpus. Il blog, che gode del sostegno del CNRS funge da collettore tra guide ed edizioni di fonti, bibliografie ed attualità della ricerca sulla «storia della giustizia, dei crimini e delle pene». Qui, il pubblico è differente: di norma giunge qui rinviato a post specifici dai motori di ricerca (nessun articolo è letto più di 2 000 volte), anche se spesso decide anche di andare a leggere articoli più vecchi. È senza dubbio più vicino alla ricerca, ma non solo in storia – ci si immagina per esempio di potervi trovare praticanti o formatori/formatrici del mondo della giustizia.

Tra i post più consultati, considerando tutte le discipline presenti sul portale Hypothèses tra settembre 2013 e agosto 2014, si trova – con più di 22 000 consultazioni – un articolo del 2009 del blog Homosexus. Histoire, sociologie et pensée politiques des rapports sociaux de sexe, che rimanda ad un ulteriore articolo della rivista «Clio» (sempre open access) in cui viene riportato il dibattito sul diritto al voto per le donne nel 1944: la coniugazione tra anniversario e militanza spiega senza dubbio il rinnovato interesse per un post che, ancora una volta, non è altro che la presentazione di una fonte. Un articolo sulla ricerca riguardante i giornali più vecchi, in inglese e ricca di consigli pratici, ha ricevuto più di 12 000 visite – poco più di quelle di un terzo articolo, di forma molto accademica, che presenta in inglese un riassunto delle conclusioni di un libro in francese sulla religione ellenica6.

Si potrebbe continuare ancora questa lista interessandosi alla pubblicazione online di testi o capitoli di opere collettive che cominciano ad avere successo, ma senza dubbio non è necessario presentare prove ulteriori: la micro-storia non ha allontanato gli storici e le storiche dal pubblico non universitario, anche se è ciò di cui Armitage e Guldi ci vogliono convincere. Non solamente si può mettere in discussione il fatto che «la micro-storia» in sé abbia avuto un impatto incisivo (quanto è stato supposto), ma soprattutto che i temi legati alla vita quotidiana abbiano preso il sopravvento – almeno fino a che gli/le autori/autrici si preoccupano di rendere le proprie ricerche accessibili, perché in questi casi l’accesso concreto al testo conta tanto quanto la semplificazione della scrittura.

Per capire il rapporto tra chi si occupa di storia e pubblico, sarebbe interessante soprattutto parlare meglio delle diverse motivazioni, a seconda del paese e della fase della carriera dopo il dottorato, che spingono a pubblicare opere di sintesi o blog. In ogni caso è possibile che queste attività siano meno svalutate in Francia che fuori, dal momento che non sono costituiscono un passaggio obbligato. Va dunque constatato che ci sono colleghi e colleghe che se ne accorgono ed incontrano il favore del pubblico su certi temi tenendo conto delle durate che sfidano qualsiasi semplice categorizzazione. L’accesso diretto alle pubblicazioni scientifiche e il blog permettono a questo pubblico di confrontarsi con fonti edite o con monografie molto vicine alle fonti senza intermediari, e le statistiche di frequenza non mostrano affatto una preferenza univoca per le sintesi.

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  1. La prima traduzione italiana è pubblicata da Adelphi. []
  2. BERTRAND, Romain, L’histoire à parts égales. Récits d’une rencontre Orient-Occident, XVIe-XVIIe siècle, Paris, Le Seuil, 2011 ; LILTI, Antoine, Figures publiques. L’invention de la célébrité 1750-1850, Paris, Fayard, 2014. []
  3. Si tratta di temi affrontati nel giugno 2014. Anche se la produzione e l’analisi dei dati meriterebbero un commento meglio argomentato, si può notare che France Culture può contare su circa il 2% dell’audience radiofonica e sembrerebbe averla fortemente ampliata coi podcast. La fabbrica di storia, fa parte delle trasmissioni più seguite con circa 250000 download nel 2012, il 5% del totale. []
  4. Le statistiche di OpenEdition sono pubblicamente accessibili all’indirizzo http://logs.openedition.org/; l’autrice in questo caso ha fatto ricorso a statistiche più precise (resegli disponibili in quanto presidentessa del consiglio scientifico di OpenEdition). Essendo le modalità di calcolo differenti, non è pertinente compararle direttamente con quelle di Cairn. La questione resta evidentemente capire cosa voglia dire « consultare » un articolo universitario su cui una lettrice o un lettore può arrivare da un motore di ricerca (anche se si possono indicare dei limiti, per esempio almeno 30 secondi trascorsi sulla pagina): non sarà mai possibile sapere fino a che punto l’articolo sarà stato letto, compreso, etc… ma del resto si può dire la stessa cosa dei libri comprati o presi in prestito… In questa sede parliamo piuttosto della probabilità che pubblico e testi si incontrino. Gli articoli citati in questo paragrafo sono:
    GARETH, Austin, «Développement économique et legs coloniaux en Afrique», in Revue internationale de politique de développement, tradotto da Emmanuelle Chauvet, 1, 2010, pp. 11-36;
    MUKMINOVA, Raziya, «Le rôle de la femme dans la société de l’Asie centrale sous les Timourides et les Sheybanides», in Cahiers d’Asie centrale, tradotto da Alié Akimova, 3/4, 1997, pp. 203-212 ;
    CHARLERY, Christophe, «Maisons de maître et habitations coloniales dans les anciens territoires français de l’Amérique tropicale», in In Situ. Revue des patrimoines, 5, 2004, URL : < https://journals.openedition.org/insitu/2362 >;
    ROLAND, Isabelle, «L’étude des charpentes comme élément de datation du patrimoine rural : l’exemple genevois», in In Situ. Revue des patrimoines, 9, 2008, URL: < https://journals.openedition.org/insitu/3619 >. []
  5. Hypothèses è una piattaforma di ricerca in scienze umane e sociali che raggruppa diverse migliaia di blog di vario ambito. I testi sono in libero accesso e rivolti sia ad un pubblico generalista che agli specialisti. []
  6. HILLGAERTNER, Jan, Being new in the field : current projects in newspaper history, in newspaperhistory [consultato il 20/06/2013]; PAUL, Stéphanie, Cos: A Typical Example of Hellinistic Religion ? in Anathema [consultato il 09/10/2013]. []

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