ISSN: 2038-0925

Devenir historien-ne: post #37

Prosegue la partnership avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione storica di Émilien Ruiz, Assistant Professor in Digital History presso il Dipartimento di Storia di Sciences Po a Parigi. Questo mese proponiamo la traduzione del post «L’historien et l’iconographie du XVIIIe siècle».

La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Ludovica Lelli, curatrice della versione italiana della rubrica.

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Lo storico e l’iconografia del XVIII secolo
18 gennaio 2017

di Aurore Chery

FONTE: Gallica / Bibliothèque nationale de France.

Per il mio lavoro di tesi dedicato alle immagini di Luigi XV e Luigi XVI mi sono basato su un corpus in gran parte iconografico. Stranamente, mi rendo conto che da quel momento sono stata considerata più come una storica dell’arte che come una storica pura. Questo mi sorprende molto perché gli storici hanno giustamente legittimato lo studio iconografico da molto tempo. Vorrei quindi proporre qui una breve riflessione su questo tipo di fonti, sulla modalità di trattamento e sulla loro particolare utilità per lo studio del XVIII secolo. Infatti, si dimostrano fondamentali per comprendere un periodo iniziato con il Salone di pittura e scultura, durante il quale l’incisione si è ampiamente diffusa e che è stato oggetto di continui perfezionamenti tecnici. Vorrei cominciare da una frase di Olivier Blanc, storico che ha proposto un approccio al periodo molto originale – spesso, pur non condividendone tutte le conclusioni, mi è sembrato molto pertinente – nella sua opera Portraits de femmes. Artistes et modèles à l’époque de Marie-Antoinette[]: «lo storico spesso si limita ad accompagnare la riproduzione di un ritratto con un commento critico sul supporto e la tecnica di pittura, la provenienza e, più raramente sul soggetto correttamente inquadrato nel suo contesto spazio-temporale o considerato coproduttore della propria immagine, cosa che, dal punto di vista storico, non è priva di interesse»[]. È esattamente la questione del soggetto come coproduttore della propria immagine che ha acquistato molto spazio nella mia tesi. Infatti, con l’età dei Lumi, la rappresentazione reale tradizionale, iconicamente incarnata dal Luigi XIV di Rigaud, è diventata meno significativa. È, invece, ciò che rappresenta più accuratamente il regno di Luigi XVI, periodo durante il quale la rappresentazione reale non finisce mai di reinventarsi facendo propri modelli già sperimentati altrove in Europa. Si trattava di nutrire un sentimento filomonarchico di stampo popolare, di far nascere un sentimentalismo che si potesse esprimere in favore della famiglia reale, ispirandosi alla pittura di genere e privilegiando i supporti più facilmente diffondibili, come la stampa. Così, restiamo sbalorditi dal numero di stampe rappresentanti Luigi XVI durante il suo regno che sono state conservate (soprattutto nelle collezioni della BNF, ma anche in altre raccolte europee), nonostante l’iconoclastia successiva alla Rivoluzione. Si tratta di un fenomeno che si può spiegare attribuendolo ad un doppio fenomeno. Da una parte, il re lo incoraggiò in modo più o meno esplicito, sia sollecitando segretamente alcuni artisti per rappresentarlo grazie all’intermediazione del suo primo valletto di camera, Thierry de Ville-d’Avray, sia lasciando le immagini diffondersi spontaneamente. Dall’altra parte, il sentimento filomonarchico, così alimentato, creò una domanda che mantenne un mercato che a sua volta generò un circolo virtuoso di inflazione dell’immagine reale. In un tale contesto, quindi, è un peccato che nel momento in cui l’iconografia contraddice la storiografia basata su fonti scritte, sia la prima a dover avere torto. Al contrario, la riflessione sarebbe molto più fruttuosa se ci si facessero delle domande sulla contraddizione. Di questo ho già parlato a proposito dell’Allégorie à la mort du dauphin di Lagrenée. È vero che non sempre le immagini sono così facilmente interpretabili: ci mancano spesso gli elementi di contesto e la comprensione dei doppi sensi visivi dell’epoca, oltre al fatto che, essendo questi spesso poco eleganti e molto connotati sessualmente, lo storico potrebbe avere degli scrupoli nell’addentrarcisi. Soprattutto nel caso delle incisioni. Se è vero che sono molto studiate dal punto di vista caricaturale e per il periodo rivoluzionario (Langlois, Duprat, De Baecque…), per quanto riguarda i decenni precedenti ciò avviene molto meno, senza dubbio perché si presuppone, a torto, che siano ancora più esplicite. In realtà, attualmente disponiamo di strumenti preziosi che ci permettono di interpretarle meglio. Se è vero che spesso erano vendute

per loro stesse, una grande parte degli incisori del tempo venivano ispirati da pubblicazioni a cui le incisioni facevano da frontespizio o da illustrazioni o per le quali era disponibile un paratesto qualsiasi (annuncio di vendita, presentazione critica all’interno di quotidiani…). Internet ormai permette di collegare molto più facilmente le stampe a queste altre informazioni, dando la possibilità di interpretarle più accuratamente. Vedremo come l’immagine spesso dica ben di più di quello che solo il testo lascerebbe intendere. Prendiamo ad esempio questa stampa dell’epoca che rappresenta il matrimonio del futuro Luigi XVI, presentata in Gallica come Allégorie du mariage de Louis XVI et Marie-Antoinette di Charles Eisen e Joseph de Longueil. Una ricerca complementare permette di comprendere che è stata utilizzata come frontespizio per l’opera del poeta Claude Joseph Dorat, Les Baisers, précédés du mois de Mai, pubblicata nel 1770. Les Baisers sono una celebrazione dell’erotismo del bacio in tutte le sue forme, nella tradizione di Ovidio, Le Mois de Mai è un elogio alla gloria dell’amore coniugale e un omaggio al matrimonio principesco del 16 maggio 1770. Concludendo, per Dorat si trattava di far evolvere la sua voluttuosa poesia in una forma più compatibile al periodo di ritorno all’ordine morale verso cui si stava tendendo. Quello che il frontespizio ci mostra è la trasformazione della coppia reale in personaggi di finzione. Se il poema onorava il loro matrimonio, lo faceva facendo ricorso ad un universo in cui i due si confondevano con ninfe vestite da pastorelle e altri pastori di fantasia. L’abito che indossano nella stampa li proietta immediatamente in questo mondo immaginario e lo stretto legame tra realtà e fantasia diventa immediatamente un importante strumento di propaganda reale. La coppia reagisce davanti al pubblico delle scene ispirate a La Nouvelle Héloïse e si colloca sotto la protezione di Enrico IV, colui di cui la storia ha conservato soprattutto il personaggio dell’opera di Collé, La Partie de chasse de Henri IV. La stampa, così riassociata ad un testo di accompagnamento, ci offre una nuova chiave di lettura per comprendere la ricomposizione dell’immagine reale del periodo. Permette anche di cogliere una tappa del processo di elaborazione fantastica del potere, che in fondo non era altro che una riappropriazione della forma di racconto dei pamphlet, l’utilizzo di mondi fantastici per accusare qualcuno la cui identità si può indovinare solo tramite elementi chiave. I pamphlet non erano scomparsi, ma si cominciava ad imporre sempre più l’idea di lottare sullo stesso livello piuttosto che perseguire il chimerico obiettivo di sradicarli. Per esempio, vediamo che le immagini hanno raramente un valore unicamente illustrativo: rinforzano informazioni su cui il testo non si spende particolarmente, possono aggiungere senso o, eventualmente, contraddirlo. Meritano quindi tutta l’attenzione dello storico che, spingendosi ben oltre l’analisi dell’opera e del suo contesto di produzione, potrebbe farne un vero e proprio oggetto di studio.

Linea di separazione
  1. BLANC, Olivier, Portraits de femmes. Artistes et modèles à l’époque de Marie-Antoinette, Paris, Carpentier, 2006. []
  2. Ibidem, p. 5. []

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