Devenir historien-ne: post #4
Prosegue la partnership avviata con Devenir historien-ne, il blog di informazione sulla storia mantenuto da Émilien Ruiz, collaboratore di Diacronie. Questo mese proponiamo la traduzione del post «Utiliser la lexicométrie en histoire (1): panorama historiographique».
La traduzione e l’adattamento dal francese sono stati curati da Elisa Grandi e Jacopo Bassi.
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panorama storiografico
Ho scoperto la lessicometria leggendo il libro di Claire Lemercier e Claire Zalc sui metodi quantitativi per gli storici1. Ma il desiderio di conoscere queste metodologie è stato messo a dura prova, dal momento che non riuscivo a trovare un lavoro di sintesi che potesse costituire un punto di partenza per le mie ricerche e che illustrasse il panorama della storia della lessicometria, dei software che si potevano utilizzare e una bibliografia generale. Ho potuto finalmente realizzare il mio progetto grazie all’aiuto di Claire Lemercier2 e soprattutto di Benjamin Deruelle, che mi hanno spiegato in cosa consisteva la lessicometria e come potesse essere utilizzata nella mia ricerca3.
Il ricordo di queste prime difficoltà mi ha spinto a scrivere una serie di post sulla lessicometria che propongono una sintesi delle mie letture, ma anche dei corsi che ho potuto seguire alla Sorbona e all’École Normale Supérieure. Spero che, descrivendo il mio utilizzo della lessicometria, questi post* possano contribuire a far conoscere questi metodi, ancora piuttosto poco diffusi e aiutare chi abbia intenzione di usarli.
Che cos’è la lessicometria?
Di solito gli storici lavorano così (semplificando di molto la questione): ricopiano o fotografano le loro fonti e poi le leggono e le rileggono in modo da appropriarsi del contenuto, farne una critica e proporne un’interpretazione. Queste letture permettono di costruire il discorso storico. La lessicometria nasce dalla messa in discussione di questo metodo e dalla volontà di superarlo. Per i suoi promotori, questa lettura informativa del documento, che non si interroga sulla forma del testo e sul suo senso intrinseco4, non è sufficiente.
Propone infatti una scala di analisi complementare, quella della forma delle parole. Si tratta di capire, grazie a dei metodi matematici, la ripartizione delle parole e come esse funzionano nel corpus (che definiamo come la somma di tutti i testi scelti dallo storico secondo precisi criteri). L’utilizzo delle parole nei testi è quantificato e comparato, permettendo di comprendere meglio la struttura del corpus e arrivare a un livello di comparazione più fine.
Non si può comprendere né l’oggetto, né l’originalità di questo metodo, senza prendere in considerazione la storia della lessicometria e le controversie che hanno scandito la sua emergenza e la sua legittimazione come metodo. Per questa ragione ho deciso, in questo primo post, di soffermarmi sul contesto nel quale la lessicometria è nata e di mostrare come sia stata sminuita rispetto ad altri metodi definiti “qualitativi”. Spiegherò infine come una lessicometria rinnovata abbia recuperato lo status di metodo accreditato per la ricerca storica5.
I primi usi: dalla speranza alla disillusione
- Una linguistica nuova maniera…
La lessicometria si è sviluppata negli anni Sessanta grazie ad alcuni linguisti influenzati da due correnti intellettuali: lo strutturalismo e il quantitativismo.
Lo strutturalismo6 metteva in discussione la filosofia individualista7 che aveva predominato fino a quel momento. Lévi-Strauss8 mostra infatti che l’individuo non può definirsi come un «omuncolo»9, che si oppone alla società grazie alla sua personalità e alle sue caratteristiche personali, ma piuttosto deve essere visto come membro dipendente della società, che lo plasma e gli impone regole di cui non gli rimane coscienza. Il soggetto si inserisce quindi nella società sottomettendosi a queste regole, ma può anche, a sua volta, plasmare la società attraverso la sua azione10. La lingua è uno degli elementi in cui la società si impone all’uomo, come dimostrato da Saussure11. Si rifà infatti al dialogo del Cratilo12, spiegando che la lingua è una scelta arbitraria della società e che non ha dei suoni “naturali” per indicare un significante. La grammatica e la sintassi sono altri ambiti in cui la società impone la sua decisione rispetto all’uso che ogni individuo fa delle parole. Di fatto, nessuna lingua si definisce solo rispetto all’individuo, ma si definisce piuttosto rispetto al parlante e alla società che lo plasma. Per questo Lacan dirà che la lingua è un’azione attraverso la quale l’individuo si riflette nell’altro13.
Questo passaggio dalla filologia14 – che Oswald Ducrot definisce come il fatto di pensare il linguaggio come «un’espressione del pensiero»15 – allo strutturalismo – che pensa l’individuo come un’entità inserita in una struttura che va oltre l’individuo stesso – è determinante per la linguistica. Il discorso, pensato fino a quel momento come qualcosa che aveva un senso trasparente16, diventa portatore di un senso di cui l’individuo non ha coscienza e che si dovrà mettere in evidenza per accedere alle strutture interne della società17. La maniera in cui l’individuo si esprime, pensata fino a quel momento come un dettaglio che poteva essere lasciato a parte, rispetto alla ricerca delle informazioni contenute nel testo, diventa centrale nella comprensione delle strutture interne della società. Questo tipo di analisi è pensato come la maniera di «svelare ciò che non è rivelato nel testo»18.
In quest’ottica, la lettura delle fonti che era stata applicata fino a questo momento diventa insufficiente, perché non permette di mettere in evidenza la struttura del corpus, dal momento che l’occhio umano è rapidamente superato dalla grandezza del corpo. È dunque fondamentale comparare i testi tra loro per trovarne la struttura. Per farlo, bisogna inventare una nuova metodologia. Questa prima esigenza di comprensione dei rapporti tra le forme delle parole si associa al bisogno di quantificazione. Siamo infatti in un momento in cui la storia quantitativa raggiunge il culmine19. Quest’ultima considera che «i numeri possono rivelare il peso delle strutture»20. Se la struttura della società può essere studiata attraverso la comparazione delle evoluzioni dei prezzi o della demografia, la struttura del corpus dovrebbe poter essere studiata grazie alla statistica testuale e all’indicizzazione dei nomi. Da quel momento in poi, la statistica testuale è chiaramente pensata come una sottodisciplina della storia quantitativa21. La statistica garantisce che le idee messe in evidenza dall’analisi siano effettivamente espresse attraverso il discorso della maggioranza della popolazione studiata. Si inventano quindi i primi strumenti statistici d’analisi del testo: l’analisi distributiva americana22 e l’indicizzazione dei nomi.
La trasformazione della linguistica strutturalista è fondamentale perché permette di pensare il linguaggio come un approccio alle strutture interne della società, come suggerito anche dalle teorie di Lacan. La volontà di comprendere queste strutture spinge i linguisti ad analizzare in modo nuovo i discorsi, utilizzando i metodi quantitativi, in precedenza poco adottati.
- …che fa invidia agli storici…
Negli anni Sessanta gli storici sono molto interessati ai primi successi di questa nuova linguistica. La vedono come un metodo d’analisi che potrà assicurare la scientificità dei loro risultati e conferire scientificità alla disciplina23. Questo passaggio è ben descritto da Régine Robin: «Se i linguisti forniscono allo storico nuove tecniche grazie a questo protocollo metodologico, si potranno leggere e interpretare i testi in modo nuovo […]. Pensiamo di poter colmare le assenze e le lacune attraverso tecniche ben sperimentate, il cui carattere formalizzato offre tutte le garanzie necessarie»24. Pensano quindi che il ruolo del linguista è quello di «insegnare» allo storico «a leggere quello che si trova nel testo», e di «aiutarlo a ordinarlo»25. E lo storico, attraverso questi metodi, sarà poi capace di trarre le dovute conclusioni sui rapporti sociali.
La convinzione della maggioranza degli storici di aver trovato un metodo scientifico è rivelatrice dell’effetto moda suscitato dalla lessicometria negli anni Settanta. Lo si può notare in Antoine Prost, che si sente in dovere di sottolineare che il suo approccio non è condizionato da questa «moda»26. Tale entusiasmo, tuttavia, si è manifestato molto di più nei linguisti nei confronti della storia che non negli storici nei confronti della linguistica.
Negli anni Settanta, due istituzioni decidono di sviluppare la disciplina e servirsene come strumento di comprensione dei testi: l’École Normale Superieure di Saint-Cloud e l’Università di Nanterre (Paris X). La loro particolarità è di fare lavorare linguisti assieme a storici. L’oggetto di studio è piuttosto specifico. Si interessano infatti principalmente degli uomini politici del XIX e XX secolo. La letteratura e la storia moderna sono poco trattate, a parte la Rivoluzione Francese che porta a ricerche approfondite sul discorso dei contemporanei27. Lo sviluppo di una linguistica nuova fa sì che gli storici auspichino di rifondare la loro disciplina come scienza. Principalmente se ne occupano due gruppi di ricerca, ma, purtroppo, questa speranza viene rapidamente dissolta dalle critiche incrociate di linguisti e storici.
- …che rimangono presto delusi
L’uso di questi nuovi metodi porta rapidamente a una forte polemica tra i sostenitori e gli oppositori della lessicometria. Le critiche provengono soprattutto da linguisti e storici. I primi rimproverano ai loro colleghi di aver accettato che la parola sia la scala d’analisi della lessicometria, visto che la definizione stessa di parola e la sua stessa legittimità ad essere considerata come elemento base della frase è un dibattito aperto nella disciplina28. Inoltre, sostengono che l’indicizzazione delle parole svuoti la frase, la sintassi e la grammatica, rendendo impossibile una buona comprensione del discorso. I secondi rimproverano di avanzare considerazioni di matrice contemporanea (come il concetto di lotta di classe) ai secoli passati. Questo anacronismo si ritroverebbe, secondo loro, nell’uso, da parte degli storici, di «parole-cardine»29. Questo metodo consiste nel cercare parole specifiche in un discorso, dopo averle precedentemente scelte. Quest’introduzione della soggettività dello storico e gli errori a cui porta renderebbero impossibile l’utilizzo della lessicometria. Infine, anche l’uso della statistica viene attaccato, sostenendo che i numeri non hanno senso in sé stessi30 e che servono solo a dare al lettore un’illusione di scientificità31. Possiamo notare che queste critiche, sono, da un lato, proprie della lessicometria, dall’altro, comuni al più generale dibattito sulla storia quantitativa32, che avrebbe cancellato la singolarità delle strutture, introdotto un culto feticista per i numeri e non avrebbe portato a nessun beneficio nel suo tentativo di rendere la storia più scientifica attraverso l’uso della statistica. La lessicometria non è stata in grado di affrontare queste critiche violente e, a volte, giustificate. È caduta in disgrazia proprio nel momento in cui i computer potevano dotarla delle capacità di calcolo che gli specialisti della disciplina sognavano.
Il rinnovamento della lessicometria
Il fango gettato sulla lessicometria non ha scoraggiato tutti gli storici. Alcuni, come André Salem, Alain Guerreau o Jean-Philippe Genet hanno continuato a interessarsene e hanno utilizzato le critiche che erano state fatte per migliorare i software di analisi lessicometrica. È grazie alla loro determinazione che sono nati i tre software più importanti della lessicometria: Alceste33, Lexico3 e Hyperbase34. Questi strumenti non potevano risolvere il problema della scelta della parola come unità di base di un testo, rendendo inutile la maggior parte delle critiche avanzate verso gli usi della lessicometria. Tutti e tre usano la contestualizzazione, cioè lo studio del contesto delle parole nel corpus. Dire che la lessicometria, isolando le parole, renda incomprensibile il loro senso reale diventa quindi una critica obsoleta. Questo studio del senso profondo delle parole, permesso dalla contestualizzazione, si unisce a una ricerca sulla frase. Né la sintassi, né la grammatica sono sacrificate. Lo studio di Damon Mayaffre35 sui pronomi e i tempi utilizzati nei discorsi dei Presidenti della Quinta Repubblica lo dimostra. Infine, il problema dell’intrusione dello storico nella scelta delle parole si è risolto utilizzando l’analisi fattoriale delle corrispondenze36 (AFC), gli studi sulle specificità del corpus e delle ricorrenze.
Questo importante rinnovamento della lessicometria, propiziato da un enorme lavoro sui software e una profonda riflessione epistemologica, ha permesso numerosi studi. La natura delle fonti è cambiata profondamente. Anche se questi lavori affrontano spesso l’aspetto politico dei testi, si passa da uno studio quasi esclusivo del discorso politico a uno studio di nuove fonti, come i prologhi delle chansons de geste37 e la stampa38. Lavori particolarmente originali ed interessanti. Ciò nonostante, restano poco conosciuti, come dimostra il fatto che alcuni tentano di utilizzare la lessicometria definendola attraverso nuovi nomi (lessicologia, analisi testuale attraverso il computer39), in modo da nascondere il carattere lessicometrico dei loro lavori ed essere così accolti nelle loro comunità accademiche. Si prospetta quindi un problema fondamentale: perché adesso che gli strumenti informatici sono così efficaci, gli storici continuano a rifiutarli?
A mio parere ci sono due interpretazioni possibili: da una parte può trattarsi di una resistenza, da parte degli storici francesi, alla formazione informatica. I corsi universitari ne sono un sintomo40. L’informatica è spesso lasciata da parte, per concentrarsi su altre discipline considerate più nobili. Eppure, si tratta di strumenti ormai indispensabili. Quest’inerzia potrebbe quindi essere un’eccezione francese, rispetto alla Germania o al mondo anglofono, dove le teorie dell’informazione e l’uso della lessicometria sono molto più sviluppate.
La seconda sarebbe da ricercare nel rifiuto, da parte degli storici, di cambiare le loro abitudini di ricerca, fondate su un modello ipotetico-deduttivo41. Il più delle volte gli storici si rivolgono alle fonti a partire da una problematica. Chi usa la lessicometria si allontana da questo habitus, perché – pur non opponendosi alla formulazione di una problematica42 – sceglie di non pronunciarsi in anticipo su quello che ci dice una fonte, ma di lasciare che quest’ultima “parli da sola”, attraverso il risultato statistico. Il principio è di lasciarsi sorprendere da questo dato statistico e di analizzarlo in funzione delle problematiche che l’hanno formulato, o riconsiderare queste ipotesi. Questo metodo non risolve il problema dell’interpretazione della fonte, necessariamente soggettivo, dal momento che nessun numero ha senso in sé e deve inevitabilmente essere interpretato. Posticipa però il momento dell’interpretazione, permettendoci, grazie ai risultati “grezzi”, di astrarre dalle interpretazioni predeterminate riguardo alla fonte e dal desiderio del risultato. È quindi uno strumento euristico di grande qualità, che permette anche di risolvere il problema ricorrente dello statuto della citazione, come mostra Antoine Prost. Grazie agli strumenti di ausilio alla selezione della citazione, le citazioni che gli storici usano per comprovare i loro argomenti non sono il frutto di una preferenza personale, ma una citazione davvero rappresentativa del corpus. Affinché i risultati statistici abbiano un senso e siano assimilabili, il corpus deve seguire delle precise regole di composizione, che mostrerò in dettaglio in un prossimo post.
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La lessicometria ha dunque conosciuto tre fasi di sviluppo. È nata negli anni Sessanta da due importati correnti intellettuali: lo strutturalismo e il quantitativismo. I suoi risultati sono stati presto contestati perché usava parole-cardine, mitizzava il numero e applicava concetti anacronistici. Sembra comunque che si sia «buttato via il bambino con l’acqua sporca», visto che il rifiuto totale del metodo non ha tenuto conto del suo rinnovamento e dello sviluppo di strumenti che avevano integrato e risolto le critiche fatte. Questo rifiuto manifesta una critica più profonda, una problematizzazione più compiuta dei lavori che non utilizzavano questo metodo. Dispiace vedere che queste metodologie così efficaci trovino poco spazio nelle pratiche dello storico quando, invece, potrebbero costituire un interessante complemento per una lettura non mediata dall’uso del computer. Insisto sul termine ‘complemento’: gli storici che usano la lessicometria non vogliono rimettere in questione i risultati di chi non la usa, ma piuttosto proporre un metodo innovativo ed efficace che potrebbe apportare nuove prospettive di ricerca. Concludo citando l’appello lanciato da Antoine Prost ai suoi colleghi (indicati come «i primi»):
I primi sono più numerosi in Francia e non speriamo di convincerli, a meno di un tentativo leale da parte loro, come quello che noi proponiamo. Che comincino, come abbiamo fatto noi, a leggere i testi senza apparato statistico e ci mandino per iscritto le loro considerazioni. E che si proceda poi a una seconda lettura, usando questa volta il metodo quantitativo: faranno in questo modo delle considerazioni qualitative a cui non avrebbero neanche pensato quando rifiutavano l’uso del numero43.
- LEMERCIER, Claire, ZALC, Claire, Méthodes quantitatives pour l’historien, Paris, La Découverte, 2008. [↩]
- Ho avuto occasione di assistere all’atelier di Claire Lemercier e Claire Zalc, L’histoire et l’historien-ne face au quantitatif. Per ulteriori ragguagli su questo seminario si veda, URL: < http://www.quanti.ihmc.ens.fr/Atelier-2011-2012.html > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- Ho seguito i seminari di Benjamin Deruelle sulla storia e l’informatica a Paris 1. I suoi corsi sono disponibili sull’Espace Numérique de Travail della Sorbona all’indirizzo, URL: < http://tdhist.univ-paris1.fr/ > (accesso riservato agli studenti di Paris 1) [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- *Il post è il primo di due; il seguito è disponibile a questo link. [↩]
- Il tema dell’analisi della forma stessa del testo è molto ben esposto nel libro di Dinah Ribard e Judith Lyon-Caen: RIBARD, Dinah, LYON-CAEN, Judith, L’historien et la littérature, Paris, La Découverte, 2010. Questo obbiettivo è dichiarato nell’introduzione: «Quest’opera si ascrive decisamente al punto di vista della storia, ma di una storia che non fa della letteratura un deposito di fonti, ma il suo stesso oggetto [di ricerca]» RIBARD, Dinah, LYON-CAEN, Judith, L’historien et la littérature, Paris, La Découverte, 2010, p. 5. Su Devenir historien-ne è possibile consultare il post dedicato agli usi storiografici della letteratura, redatto da GIMENEZ, Émilie, MARTIGNON, Maxim, «Des usages historiens de la littérature», in Devenir historien-ne, 9 novembre 2011, URL: < http://devhist.hypotheses.org/712 > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- Questo post, necessariamente sintetico, non pretende di essere esaustivo, soprattutto riguardo allo strutturalismo, alla linguistica e alle teorie di Lacan. [↩]
- DUCROT, Oswald, Che cos’è lo strutturalismo? Linguistica, poetica, antropologia, psicanalisi, filosofia, Milano, ISEDI, 1976. [↩]
- Idee espresse successivamente da Rousseau e Locke. ROUSSEAU, Jean-Jacques, Le confessioni, Milano, Garzanti, 2006 e LOCKE, John, Saggio sull’intelletto umano, Milano, Bompiani, 2007. [↩]
- Tra le altre opere: LÉVI-STRAUSS, Claude, Tristi Tropici, Milano, Il saggiatore, 2001. [↩]
- Questo concetto di omuncolo è sottolineato da Irène Théry nella sua analisi della filosofia filosofia individualista. Si veda THÉRY, Irène, Des humains comme les autres, bioéthique, anonymat et genre du don, Paris, EPHE, 2010. [↩]
- L’idea di paratopia è tratta da Dominique Maingueneau (MAINGUENEAU, Dominique, Le Discours littéraire, paratopie et scène d’énonciation, Paris, Armand Colin, 2004). [↩]
- De SAUSSURE, Ferdinand, Corso di linguistica generale, Roma-Bari, Laterza, 2005. De Saussure ha sviluppato queste idee di struttura molto prima di Lévi-Strauss (è infatti morto nel 1913). Malgrado ciò queste teorie, durante l’epoca in cui sono state formulate, non ebbero l’eco che hanno conseguito in seguito, grazie a Jackobson e Lacan che le hanno riscoperte, diffuse e che hanno fatto sì che fossero riconosciute. [↩]
- PLATONE, Cratilo, Roma-Bari, Laterza, 2008. [↩]
- L’aforisma lacaniano è illustrato da Michel Arrivé (ARRIVÉ, Michel, Linguaggio e psicanalisi. Linguistica e inconscio. Freud, Saussure, Pichon, Lacan, Milano, Spirali, 2005). [↩]
- Antoine Prost (PROST, Antoine, Les mots, in RÉMOND, René, Pour une histoire politique, Paris, Seuil, 1988, pp. 255-287) evidenzia, a sua volta, questo passaggio. «L’affermazione, negli anni Sessanta, di una linguistica ben differente dalla filologia, di cui fino a quel punto era parte, ha costituito una svolta maggiore» (PROST, Antoine, Les mots, in RÉMOND, René, op. cit., p. 255). [↩]
- DUCROT, Oswald, Qu’est-ce que le structuralisme? Le structuralisme en linguistique, Paris, Seuils, 1968, p. 18. [↩]
- Il manifesto del circolo di Vienna esprime chiaramente questa idea, come ricorda François Rastier (RASTIER, François, Arts et sciences du texte, Paris, PUF, 2001). [↩]
- Claude Lévi-Strauss spiega nel suo Tristi Tropici (op. cit., capitolo XX) che le società sono composte, così come gli oggetti che ci circondano, di elementi differenti che possono essere classificati – come fece Mendeleev nella sua tavola – e che l’obbiettivo è di trovare «la tavola periodica delle società». [↩]
- MAINGENEAU, Dominique, L’analyse du discours, introduction aux lectures de l’archive, Paris, Hachette supérieur, 1991. [↩]
- DELACROIX, Christian, DOSSE, François, GARCIA, Patrick, Les courants historiques en France. XIXᵉ-XXᵉ siècles, Paris, Gallimard, 2005. [↩]
- Citato da LEMERCIER; Claire, ZALC, Claire, op. cit., p. 9. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Metodo inventato da Leonard Bloomfield negli anni Trenta del Novecento: consiste nel cercare di comprendere e quantificare le differenti posizioni che prendono i sintagmi in una frase. Su questo punto si vedano i due siti: URL: < http://www.larousse.fr/encyclopedie/nom-commun-autre/distributionnel/44076#328607 > [consultato il 30 novembre 2012]; URL: < http://www.universalis.fr/encyclopedie/distributionnalisme/2-le-debat-avec-la-linguistique-generative/ > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- ROBIN, Régine, Histoire et linguistique, Paris, Armand Colin, 1973. [↩]
- Ibidem, p. 16 [↩]
- Ibidem. [↩]
- PROST, Antoine, Vocabulaire des proclamations électorales de 1881, 1885 et 1889, Paris, PUF, 1974, p. 6. [↩]
- È il gruppo di Fontenay che se ne occupa prioritariamente. Ecco una lista dei principali contributori dei due gruppi – e dei loro successori – con le tipologie di lavoro che hanno portato avanti: Jean Dubois (direttore dell’équipe dell’École normale supérieure de Fontenay-Saint-Cloud), Antoine Prost (che ha proposto il primo studio fondato sulla lessicometria nel già citato Vocabulaire des proclamations électorales de 1881, 1885 et 1889, op. cit.), Louis Girard, Jean-Philippe Genet (storico specialista di Medioevo e della costruzione dello Stato moderno), Ludovic Lebart (polytechnicien, ha lavorato con André Salem per creare il software Lexico3), André Salem (linguista), Jean-Pierre Faye, Régine Robin (storica e sociologa, studia i discorsi dei controrivoluzionari), Jacques Guilhaumou (con Régine Robin, lavora sull’analisi degli eventi all’ENS di Fontenay-Saint-Cloud), Denise Maldindier (partecipa con Guilhaumou negli anni Settanta all’analisi dei discorsi; la sua tesi tratta i discorsi della guerra d’Algeria), Denis Peschanski (analizza il vocabolario de «l’Humanité» tra il 1934 e il 1936), Alphonse Dupront (analizza il vocabolario dei cahiers de doléance). [↩]
- RASTIER, François, op. cit. [↩]
- Viallaneix, trova, nello studio dell’opera di Michelet, delle coppie di nozioni come popolo/razza, popolo/patria, popolo/rivoluzione e dimentica di giustificare queste scelte, puramente personali. Il concetto di parola-cardine è spiegato da Jacques Guilhaumou (GUILHAUMOU, Jacques, op. cit., p. 15). [↩]
- Antoine Prost, storico specialista di lessicometria, sottolinea questo problema: «Una frequenza è un dato grezzo, di per se stesso senza significato. Nei proclami del 1881 […], il termine Francia è impiegato 60 volte su 10.000 di testo. Che cosa possiamo desumere da questa constatazione? Niente». PROST, Antoine, op. cit., p. 14. [↩]
- Régine Robin, partigiana della lessicometria, mette in evidenza questa deriva: «In realtà si può far dire al meccanismo statistico qualsiasi cosa» (ROBIN, Régine, Histoire et linguistique, Paris, Armand Colin, 1973, p. 16). [↩]
- DELACROIX, Christian, DOSSE, François, GARCIA, Patrick, op. cit. [↩]
- Programma concepito da Max Reinert negli anni Novanta. Per maggiori informazioni si veda, URL < http://www.image-zafar.com/index_alceste.htm > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- Programma creato negli anni Ottanta per rendere disponibili i testi della Rivoluzione francese. Si veda, URL: < http://www.unice.fr/bcl/spip.php?rubrique38 > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- MAYAFFRE, Damon, Paroles de président: Jacques Chirac et le discours présidentiel sous la Vᵉ République, Paris, Champion, 2004. [↩]
- L’Analisi Fattoriale delle Corrispondenze è un metodo di visualizzazione delle ripartizioni delle parole in un corpus. Ritornerò su questo argomento in un prossimo post; si veda, URL: < http://www.quanti.ihmc.ens.fr/-Analyse-factorielle-.html > [consultato il 30 novembre 2012]. Si veda anche CIBOIS, Philippe, L’Analyse factorielle, analyse en composantes principales et analyse des correspondances, Paris, PUF, 1983. [↩]
- DERUELLE, Benjamin, «Enjeux politiques et sociaux de la culture chevaleresque au XVIᵉ siècle: les prologues de chansons de geste imprimées», in Revue historique, 655, 2010, pp. 551-576. [↩]
- MATA, Tiago, LEMERCIER, Claire, «Speaking in Tongues, a Text Analysis of Economic Opinion at Newsweek, 1975-2007», in Duke University Center for the History of Political Economy Working Paper, 2, 2011, URL: < http://ssrn.com/abstract=1753164 > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- MAINGENEAU, Dominique, op. cit. [↩]
- Su questo punto si vedano le riflessioni proposte da Émilien Ruiz: RUIZ, Émilien, «La boîte à outils des historiens: (in)formations numériques pour les jeunes chercheurs», in Les aspects concrets de la thèse, 9 giugno 2011, URL: < http://act.hypotheses.org/1195 > [consultato il 30 novembre 2012]; RUIZ, Émilien, «Les historiens seront-ils finalement programmeurs?», in La boîte à outils des historiens, 22 settembre 2011, URL: < http://www.boiteaoutils.info/2011/09/les-historiens-seront-ils-finalement.html > [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- Mi sono resa conto di questa seconda possibile interpretazione grazie all’intervento di Benjamin Deruelle durante una conferenza sull’uso della lessicometria in storia, alla terza edizione de “Outils informatiques pour les historiens”, che si è tenuta all’École des Hautes Études en Sciences Sociales il 25 ottobre 2011. Si veda il resoconto su La boîte à outils des historiens [consultato il 30 novembre 2012]. [↩]
- Nessuno, tra gli storici citati in questo post, mette in discussione la storia problematizzata. [↩]
- PROST, Antoine, op. cit., p. 14. [↩]
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